17 Gennaio 2020

Due risposte alla questione dell’autorità femminile nella Chiesa cattolica

di Luisa Muraro


È uscito un nuovo numero di Donne Chiesa Mondo (gennaio 2020), titolo “Le donne e Francesco”. Il mensile dell’Osservatore Romano mi piaceva di più quando lo guidava Lucetta Scaraffia, ma il cambio di guardia non incide sui motivi del mio interesse per la rivista. È certo che il cambiamento si nota. Una Lucetta Scaraffia, nell’ipotesi poco probabile di una scelta del tema come quello di questo numero, non avrebbe messo in copertina l’immagine del papa che si lascia carezzare in viso da una giovane donna che ha gli occhi semichiusi, forse una ipovedente. L’immagine è dolce e intensa, quasi imbarazzante, poco adatta a comparire su una copertina, tanto meno per illustrare un simile argomento. Per contrasto, un salutare contrasto, ci viene in mente quella devota che il 1° gennaio si è impadronita della mano del Papa e non voleva mollarla, un fatto che trovo più istruttivo per riflettere criticamente sul tema in questione.

Più passa il tempo e più mi pare di capire e stimare quest’uomo che si fa chiamare Francesco. In Donne Chiesa Mondo c’è anche una mia breve intervista, firmata da Elisa Calessi, dove dico che, nell’istituzione Chiesa cattolica, tra quelli che la governano ad alto livello, lui fa eccezione perché non ha l’impronta dell’uomo di potere per cui, aggiungo qui, non deve mascherarsi da “santo uomo di chiesa”.

Lo spazio sulla rivista era limitato e mi sono trovata a dire una cosa che avrebbe richiesto una spiegazione. Questo ho detto: “non si è fatto ancora il passo in avanti di conferire autorità a donne”.

Il caso vuole che, in seguito, il 14 gennaio, il papa abbia fatto una predica sull’autorità dove, fra le altre cose, afferma che avere autorità non vuol dire comandare. È un punto di grande importanza che si accorda con quello che scrive Hannah Arendt, in un testo – Che cos’è l’autorità? – che è il mio riferimento principale sull’argomento, insieme a Lia Cigarini, L’autorità femminile.

Prendo questa occasione per precisare quello che non ho detto nell’intervista. Userò poche parole perché non ne servono molte: secondo me, l’organizzazione gerarchica della Chiesa sommata al fatto che si tratti di una gerarchia solo maschile, ostacola la libera circolazione dello spirito santo che è fonte di autorità, l’unica riconosciuta alle donne nella Chiesa cattolica e, al tempo stesso, la più pura e libera. L’ostacolo della gerarchia maschile ha degli effetti deteriori che si vedono bene e che il papa stesso nota con dispiacere quando, per esempio, critica un certo servilismo femminile dovuto al clericalismo.

Faccio un altro esempio, ben diverso, ma la causa è sempre la stessa. Durante il giubileo della misericordia, c’è qualcuno che abbia citato Giuliana di Norwich? Eppure, non conosco nessuno che abbia scritto cose altrettanto forti e commoventi sulla misericordia divina, di questa reclusa inglese il cui libro, A Book of Showings, da decenni è stato studiato, pubblicato e tradotto anche in italiano (Libro delle rivelazioni, Àncora 1984).

Il paradosso è che, nel fare la distinzione tra autorità e potere, Arendt nomina proprio la Chiesa per dire che questa ha saputo fare sua la distinzione dell’antica Roma fra autorità e potere, e cita un papa, che scriveva all’imperatore “Due sono le cose che regolano principalmente questo mondo: la sacra autorità dei papi e il potere dei re”. I tempi sono abissalmente cambiati ma quel principio del sentire e fare la differenza tra l’autorità e il potere di comandare rimane valido per la filosofa, pena il disordine simbolico per cui in cielo e in terra comanda chi ha più potere di soldi e di armi.

Perché allora la Chiesa non è di esempio agli altri nel mettere in luce l’autorità femminile? L’enfasi con cui i giornali hanno commentato la recente nomina di una donna a un posto di responsabilità nell’apparato vaticano, parla di un ritardo che si cerca di colmare, non di altro. E lo dice l’interessata stessa: essendo una donna, mi meraviglio della nomina, ma che io sia una donna, c’entra poco con il nuovo incarico.

Nel numero appena uscito di Donne Chiesa Mondo la teologa cattolica e femminista Marinella Perroni, pubblica una specie di lettera, Questo vorrei dire a Papa Francesco, in cui a un certo punto dice: l’esodo inarrestabile, tanto silenzioso quanto doloroso, delle molte donne che hanno lasciato le chiese in questi anni, è un grido che le donne per prime hanno lanciato perché non vogliono che si continui a parlare di loro ma vogliono essere ascoltate.

Ecco una possibile risposta al perché: il femminismo non è stato ascoltato o è stato capito male, come una rivendicazione di parità, e le donne nella Chiesa non hanno autorità: non se la danno, non la ricevono, e forse non circola più, non ce n’è per nessuno. E se ne vanno.

Ecco un’altra risposta possibile: i bravi cattolici credono nello spirito santo perché è un dogma, ma in pratica non ci credono e non gli credono quando parla… A pensarci bene, non sono due risposte ma una.


(www.libreriadelledonne.it, 17 gennaio 2020)

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