31 Dicembre 2014
www.comune-info.net

Giustizia è fatta: doña Máxima resta a casa

di Aldo Zanchetta

 

Non è stato ucciso nessuno e dovranno trascorrere ancora molti anni prima che una donna diventi presidente del Perù. Eppure, dalle aule giudiziarie di un paese andino che ha visto e raccontato pagine leggendarie sulla resistenza dei comuneros e dei campesinos, arriva una notizia di eccezionale importanza. Una notizia buona, una volta tanto. Doña Máxima Atalaya, la señora Chaupe, uno dei simboli più semplici e straordinari dell’opposizione all’avanzata del devastante business minerario e della sua ideologia, l’estrattivismo sviluppista, potrà vivere sulla sua terra (andate a rileggere una storia bella qui). I giudici hanno dato ragione a lei e torto alla potente compagnia mineraria Yanacocha, che le aveva fatto bruciare la casa. Per questa volta abbiamo vinto noi

 

Ricordate Máxima Acuña Chaupe? Abbiamo seguito nel tempo e con ansia le sue vicende nello scontro con la poderosa Yanacocha Gold Mine, che non ha risparmiato mezzi ed energie per appropriarsi della parcella di terreno su cui la famiglia Chaupe vive. Incastrato nei 5.700 ettari di proprietà della miniera, più che un reale ostacolo fisico, quel conteso pezzo di terra è un importante simbolo di riferimento per molte delle resistenze ai disastri che l’estrattivismo a cielo aperto sta causando in decine di località del Perù e del Sudamerica.

 

La famiglia Chaupe è diventata proprietaria del terreno nel 1994, come dimostrano le carte che ha in mano. La Yanacocha nel 2001 acquistò una serie di proprietà nella zona della futura miniera, per un totale di 5.700 ettari, ma ha sempre sostenuto che la proprietà di Máxima vi rientra di diritto essendo a soli 100 metri da una strada di passaggio degli automezzi della miniera. Ricordate la favola del lupo e dell’agnello?

 

Máxima però non ci sta a fare l’agnello della favola. E ha intrapreso una tenace resistenza senza farsi impaurire. L’11 agosto del 2011, dopo averla fatta sloggiare con l’aiuto della DIMOES, la feroce sezione di polizia nazionale ‘per le operazioni speciali’, la Yanacocha ha fatto bruciare la sua casa. La famiglia Chaupe, con l’aiuto di molti amici, l’ha ricostruita e vi si è insediata nuovamente. Questo è valso l’accusa, da parte ella Yanacocha di usurpazione aggravata perché ‘violenta’, e il giudice Tohmy Padilla Mantilla, del tribunale di Celendín, competente territorialmente, con un processo farsa e senza base documentale, il 5 agosto 2014 ha condannato la famiglia Chaupe a due anni e otto mesi di carcere, con sospensione della pena, e a una multa di 5.500 soles.

 

Máxima non si è data per vinta. Col supporto di amici e confortata dalle oltre 116.572 firme raccolte a suo sostegno in varie parti del mondo, ha fatto ricorso al Tribunale d’appello di Cajamarca, dove esiste un piccolo nucleo di giudici che in vari casi precedenti hanno dimostrato di non temere le pressioni dei prepotenti. Giovanni Tessa, un cooperante italiano che ha assistito all’udienza, ci ha scritto del disperato tentativo dei legali della Yanacocha che, consapevoli di non avere le carte per dimostrare la proprietà della cliente, hanno tentato accanitamente di far rinviare il giudizio all’anno nuovo, anche perché a inizio gennaio ci sarebbe stato un avvicendamento dei giudici. Ma i tre giudici costituenti il collegio giudicante hanno resistito, rigettando la richiesta e confermando la validità dei documenti presentati dalla famiglia Chaupe che attestano il regolare acquisto del terreno.

 

Non so se ci sia a Berlino il famoso giudice che sarebbe stato evocato da Brecht, ma a Cajamarca questa volta sì, i giudici ci sono e sono stati ben tre. Basterà la sentenza a chiudere la vicenda? Vedremo, Yanacocha ha annunciato di voler far ricorso alla corte Suprema. Intanto doña Máxima, la famiglia Chaupe e tutti i loro numerosi sostenitori nel mondo festeggiano. Non è la prima e non sarà l’ultima volta, Davide può sconfiggere Golia.

 

Print Friendly, PDF & Email