1 Ottobre 2014
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Isis; Tawakkul Karman, Nobel per la Pace, all’HuffPost: “Crimini orribili contro le donne, non nel nome dell’Islam”

 
“Prima hanno invocato e praticato la “jihad del sesso”, ora decapitano anche le donne. Chi agisce in questo modo, chi si macchia di crimini così orribili e lo fa invocando l’Islam, è doppiamente colpevole, e una condanna senza riserve deve venire dal nostro interno, da quel mondo arabo e musulmano che ha visto proprio le donne protagoniste di una stagione di libertà che non è tramontata”. Così dice in esclusiva all’Huffington Post Tawakkul Karman, 35 anni, yemenita, Premio Nobel per la Pace 2001, insieme alle liberiane Leymah Gbowee ed Ellen Johnson Sirleaf.Dolore. Rabbia. Indignazione. E una volontà insopprimibile di dire “no, non nel nostro nome”. Nel nome delle donne che incarnano, con la loro storia, il loro impegno, la convinzione che Islam non è sinonimo di barbarie, e che le donne che abbracciano questa fede non intendono soccombere alla feroce “dittatura della sharia” consacrata dai tagliagole al servizio di Abu Bakr, il “Califfo Ibrahim”, capo riconosciuto dell’autoproclamato Stato Islamico. Il primo Stato jihadista al mondo. L’Isis ha decapitato ieri 4 combattenti curdi, di cui tre erano donne, catturati durante gli scontri nella zona dell’enclave siriana di Kobane, e le teste dei miliziani sono state esposte nella città di Jarablis.Da qui partono le considerazioni della giovane donna divenuta il simbolo, al femminile, della “Primavera araba” yemenita. “Non è un caso – rimarca con forza la Nobel per la Pace – che siano state proprio le donne e i giovani, in prima fila in quelle rivoluzioni che hanno segnato tanti Paesi arabi, tra cui il mio, lo Yemen. Vecchi regimi corrotti e dispotici, così come un integralismo retrivo e oscurantista, temono e combattono le donne perché sanno che esse si battono contro una doppia oppressione, facendosi interpreti di una volontà di cambiamento che all’idealità sa unire una straordinaria concretezza”.Per il suo attivismo politico e in difesa dei diritti umani, Tawakkul Karman ha conosciuto le prigioni dell’allora padre-padrone dello Yemen, il presidente Ali Abdallah Saleh. Era il 2011, e Tawakkul era presidente dell’associazione “Donne giornaliste senza catene”. “Il mondo evocato dai miliziani dell’Isis – continua la Nobel per la Pace – m’indigna e mi fa orrore. E nell’affermarlo, sento di condividere questi sentimenti con tutte le donne islamiche, come me, che continuano ad unire le loro voci e le loro forze nella lotta contro la violenza e lo sfruttamento sessuale”.Al tempo stesso, Karman non crede affatto nella palingenesi dei bombardamenti come via per sconfiggere lo Stato Islamico. “La guerra – dice – è il problema e non la soluzione. E la crescita dell’estremismo è anche il prodotto delle scelte sbagliate compiute dall’Occidente, che invece di sostenere le istanze di libertà di cui erano e continuano ad essere portatori i protagonisti delle “Primavere arabe”, ha scelto di stare con chi, in nome della “lotta al fanatismo”, quelle istanze ha cercato di reprimere. Ed è ciò che avviene ancor oggi nello Yemen come accade da anni in Siria. L’Occidente dovrebbe riflettere sul disastro provocato dalle guerre in Iraq e dal mancato sostegno a quanti, agli albori della rivolta siriana, si erano ribellati, in nome della democrazia e non della Jihad, al regime dispotico di Bashar al-Assad”.L’Islam “rosa” contro l’Isis che usa le donne come macabri trofei da esibire in video, ovvero come oggetto di piacere sessuale, alla mercé del “Riposo del guerriero” islamico. Le tre peshmerga curde non sono le prime donne giustiziate dai miliziani di al-Baghdadi. Samira Salih al-Nuaimi, avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani, ha avuto il torto di vivere a Mosul, la città irachena diventata capitale dello Stato islamico. Lo scorso 17 settembre è stata arrestata, portata davanti a una Corte islamica, torturata per cinque giorni e infine condannata a morte e uccisa in pubblico secondo le usanze islamiche. La sua colpa? Aver criticato su Facebook la distruzione di monumenti ed edifici religiosi da parte dei miliziani di Isis: la condanna è stata motivata dall’accusa di apostasia. Samira Salih al-Nuaimi era un nome molto noto nel mondo degli attivisti che si occupano dei diritti umani. Contro ogni oscurantismo fondamentalista. A sostegno dei diritti delle donne arabe. L’impegno di una vita. L’impegno di Nawal El Saadawi, l’autrice egiziana femminista più conosciuta e premiata. I suoi scritti sono tradotti in più di trenta lingue in tutto il mondo. Per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per la democrazia nel mondo araba, la scrittrice egiziana, 83 anni, compare su una lista di condannati a morte emanata da alcune organizzazioni integraliste.“Definirsi inorriditi e indignati di fronte a questo scempio di vite umane non basta, non deve bastare – afferma all’Huffington Post la scrittrice egiziana – Occorre trasformare questa rabbia in ribellione, volgendola contro questi aguzzini vestiti di nero, espressione estrema, la più brutale, di una cultura patriarcale, maschilista, fondamentalista dentro la quale sono stati allevati. E questa rivolta non può che partire dalle donne, le prime vittime di una violenza che non ha fine. Spesso praticata in nome della religione. Questi aguzzini dicono di agire per conto dell’Islam ma loro sono i primi nemici dell’Islam”. Di un Islam che crede possibile unire tradizione e modernità, e che per questo sfida, per dirla con Nawal El Saadawi, la macabra caricatura dell’Islam praticata, col sangue e con il terrore, dagli integralisti “teocratici e sessuofobici”.“Costoro – aggiunge – spesso si nascondono e trovano fonte di legittimazione nelle “fatwe” lanciate da qualche imam che più che l’Occidente “apostata” teme l’emergere nel mondo arabo e musulmano di una società civile che non si lascia ingabbiare da una fede brandita come una sciabola e, a volte, come un coltellaccio con cui sgozzare o decapitare il “nemico””. E’ un’idea alta di civiltà quella di cui la scrittrice egiziana si fa portatrice. Così come è una visione alta, “rivoluzionaria”, della pace quella evocata dalla Nobel yemenita. “Pace per me – sostiene Tawakkul Karmal – è molto di più che porre fine a una guerra. E’ contrastare e sconfiggere ogni forma di oppressione di ingiustizia”. Una sfida che l’Islam rosa” continua a portare avanti. Contro i tagliatori di teste e i “decapitatori” di diritti. L’Islam del terrore, ricordano Tawakkul Karman e Nawal El Saadawi, non è il “nostro Islam”.
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