18 Febbraio 2013
il manifesto

La Ribelle Agata: femminista ante litteram e vittima di femminicidio

Elena Caruso

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Eppure quest’anno ho trovato, finalmente, dei profili di interesse in questa ‘Santa’. L’ho spogliata dei suoi santi paramenti e ho cercato Agata, la persona. Ho trovato una mia giovane coetanea, 21 anni, bella e ribelle. Ma una ribelle di quelle doc, da far invidia alle Pussy Riot, una che si è messa contro il Potere. E il Potere, nella Catania del 251 d.C, aveva un nome e un cognome: proconsole Quinziano. Lui la desiderava (o forse desiderava il suo denaro – Agata era anche molto ricca) e intendeva possederla in ogni modo. Agata lo rifiuta, ripetutamente, sopportando inimmaginabili torture, fino all’estremo sacrificio. Siamo nel 251 d.C., eppure Agata si comporta da donna emancipata, si oppone in ogni modo ad una scelta imposta. Da eroina sfida il Potere, rivendicando la libertà di autodeterminazione, la libertà di scegliere. C’è una forza imbattibile in lei dinanzi alla quale i seni strappati e i carboni ardenti suonano come insignificanti cattiverie: la forza che proviene dalla consapevolezza di difendere le proprie idee e la propria libertà. Anche la libertà di accettare la morte. Agata come eroina ribelle diventa un esempio, un modello al quale ispirarsi: Agata, questa Agata, quindi, può ancora parlare e ha qualcosa da dire anche alla nostra generazione.
Sta a ciascuno di noi individuare il Proconsole Domiziano da sconfiggere. Giocando con la Storia, mi piace pensare che il temperamento di Agata nel 251 d.C. riviva, nella nostra contemporaneità, nei corpi giovani e nudi, per esempio, delle ribelli Femen, quelle che hanno protestato in Piazza San Pietro pochi giorni fa, a seno nudo (strumento di lotta e libertà). Ma Agata è stata anche vittima di un femminicidio. A fronte della violenza che ancora oggi viene perpetrata sul corpo della donne, non ci resta che constatare l’amara verità dei fatti: dal 251 d.C. forse non è molto cambiata la sorte per (molte!) donne, anche catanesi (se penso alla giovane Stefania Noce). Agata, Stefania e tutte le altre donne hanno rivendicato il potere di autodeterminarsi contro una cultura maschilista che concepisce le donne come “oggetto” degli uomini, da possedere, di cui disporre, su cui esercitare quello che i Latini chiamavano jus vitae necique. Adesso, quando penso a Sant’Agata, vedo una mia antenata ribelle, una femminista ante litteram. E vedo anche una vittima di femminicidio, di una mattanza che non si è ancora arrestata.

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