28 Febbraio 2015
Corriere della Sera

Seguite l’esempio di Monica Maggioni

di Maria Serena Natale

 

«Noi abbiamo deciso di fermarci oggi». Così la direttrice di Rai News Monica Maggioni ha annunciato che la sua testata non trasmetterà più i video diffusi dai terroristi, scelta maturata in un confronto redazionale che s?inserisce nel dibattito mondiale sul ruolo del giornalismo al tempo dell?Isis.La macchina della propaganda fondamentalista ha mostrato il fianco scoperto dei mezzi d?informazione colti di sorpresa dalla padronanza del linguaggio mediatico-spettacolare dei miliziani del Califfato percepito in Occidente come espressione di un anacronistico spirito anticrociato. Di fronte all?esecuzione del pilota giordano Muath Al Kasaesbeh, arso vivo in una gabbia, le maggiori emittenti americane si sono divise e l?unica a trasmettere il filmato integrale è stata Fox News .Monica Maggioni, perché fermarsi ora?«Perché quel messaggio ha raggiunto un livello di sofisticazione che impone al giornalista, in modo non più rinviabile, di riavocare a sé il ruolo di mediatore, riappropriarsi degli strumenti piegati al folle racconto della controinformazione degli estremisti. Dal punto di vista tecnico, nell?ultimo anno e mezzo la costruzione grafica e visiva delle loro pubblicazioni online si è enormemente evoluta. Dabiq per esempio, la rivista dello Stato Islamico, potrebbe essere edita dall?occidentale Condé Nast».E l?evoluzione «tecnica» chiama i professionisti a riscrivere regole e confini dell?informazione.«Il punto centrale non è alzare la soglia etica dell?attenzione rispetto alla violenza, che non è mai calata, ma interrompere la catena narrativa. Non si tratta semplicemente di oscurare le immagini raccapriccianti, come si è sempre fatto, ma di fermare la corsa di quelle immagini per destrutturare il messaggio dei terroristi».Questo implica anche un maggiore sforzo di decodifica, come realizzarlo?«Raccontando di più, non di meno. Non censurando ma togliendo ai filmati il sottofondo musicale o quel logo che supererebbe l?esame di un nostro art director, scegliendo un frammento da contestualizzare, eliminando il dato spettacolare che li rende più simili a videogiochi o a un?opera di Ridley Scott che a un documento di morte. Perché alla fine, in riva al mare, i 21 cristiani copti muoiono davvero. È tempo che i registi dell?Isis trovino un altro pubblico».Oltre ad avere un forte impatto emotivo, il livello di professionalità aiuta a conquistare alla causa jihadista «personale specializzato»?«Contribuisce a un modello di reclutamento rivolto a giovani non per forza emarginati e senza risorse, dice: ?Non siamo primitivi digitali, unitevi a noi?».Crede che finora i mezzi d?informazione abbiano fatto il gioco dei terroristi?«La forza dell?Isis resta nella fascinazione esercitata da quel messaggio. Facciamo il loro gioco quando cadiamo nella trappola delle parole e cediamo a un racconto che banalizza i fenomeni come le primavere arabe o individua nemici facili. Quando non ci obblighiamo ad approfondire, come nel caso dell?Iraq. Per otto anni abbiamo lasciato che il Paese sprofondasse nello schema delle divisioni settarie voluto da Nouri Al Maliki (premier dal 2006 al 2014, ndr ), insostenibile per i sunniti. Abbiamo finto che non ci riguardasse, ci sbagliavamo».



( Corriere della Sera, 28 febbraio 2015)

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