1 Marzo 2016
www.libreriadelledonne.it

la città della cura – appunti

11di Valentina Tua

Leggendo il titolo “La città della cura” e le righe di spiegazione “…sguardo sull’abitare al femminile” per un attimo ho temuto che avrei assisto ad un incontro sul tema della conciliazione, i passeggini che non salgono sugli autobus, e cose di questo genere.

Per fortuna non è andata così.

Premessa, da dove parto: sono mamma, lavoratrice, militante da tempo, ultimamente mi sono avvicinata al NoExpo e ora ai movimenti territoriali di difesa del territorio. E sento una coerenza profonda con il mio precedente lavoro politico con le donne.

Prendersi cura della città, rendere umani i ritmi della città, la città è organizzata sulla base delle possibili abitudini di un uomo, bianco, in salute. Chi decide sulla città? L’urbanista versus la mamma… Interessante spunto sulla sicurezza come sinecura, esente da rischi, ma chiuso, isolato. Questi alcuni appunti sparsi presi durante la presentazione, leggerò volentieri le proposte politiche contenute nel libro, ho appreso cose nuove circa il rapporto tra architettura e femminismo.

Ma la parte più interessante per me è stata il dibattito, quando si è parlato della ricerca inglese da cui si dipingono le mamme single scandinave ancora più stanche e tristi delle altre europee, perché sole e isolate… Insomma la discussione ha fatto emergere dei punti fondamentali.

Si è parlato di spazio tempo come delle dimensioni in cui avvengono i fenomeni, ad un certo punto una donna ha detto: un momento, c’è anche la materia, noi siamo fatti di materia, così come materia è la terra su cui abitiamo. Ecco questo lo trovo molto femminile, e se si parla di cura dico che mi interessa la cura delle relazione: le donne sono abituate a guardarsi, a guardare e riconoscere il proprio corpo, a partire da sé, dalla propria materia. Questo è sempre più fondamentale, in un’epoca in cui il dibattito è rigidamente scandito dalle prime pagine dei giornali e sembra che non ci sia né spazio né tempo per un dibattito diverso. Non si può parlare di paradigma nuovo usando categorie ormai andate. Ci si può prendere cura delle relazioni, per esperire nuove forme, cercando di creare uno squarcio di possibilità perché il nuovo sia credibile. Questo secondo me è potente. E la questione dello stato è centrale. Che descrizione ci ha regalato Saskia Sassen della città? Le grosse agenzie finanziarie sono protagoniste, e ad un livello a noi quasi invisibile, o molto ben camuffato.

Nel percorso di movimento, ho visto comitati composti da persone preparatissime, parlare con politici ignoranti. Vedo istituzioni pubbliche che servono a creare posti di lavoro per mantenere certi poteri, ma svuotati da una reale capacità di determinare sul territorio (esempio pisapia che dice io su expo non ci posso fare nulla perché la decisione è stata presa, quante volte in questi anni lo abbiamo sentito dire soprattutto dagli amministratori locali? Quel Non ci possiamo fare nulla che fa pensare immediatamente allora perché ti ho votato se non poi agire sul piano reale?). Vedo la sfera del desiderio colonizzata dal mercato, così come quella della cultura e della comunicazione. Il mercato si impossessa dei corpi, della materia. Sono arrivata a sentirmi dire che lo slogan il corpo è mio e lo gestisco io dovrebbe applicarsi anche alla maternità surrogata, della serie: se una donna canadese o americana vuole guadagnarsi chessò i suoi bei 10.000$ facendosi ingravidare per poi dare via il bambino per soldi, è tutto ok! A me vengono i brividi. E infine, a quale sinistra ci appelliamo? A quale partito, organizzazione? Per farla breve, qui è tutto da rifare, dal basso, stando sempre ben attente ai meccanismi di sfruttamento, più o meno evidenti, attraverso relazioni anche legate al bisogno, attraverso l’autorganizzazione, per slegarsi dal dibattito imposto, guardando bene se stesse e parlando tanto. Cosa che le donne sanno fare meglio di tutti gli altri. Nota: è stato detto che una relazione per essere sana dovrebbe essere slegata dai bisogni, e questo in riferimento allo stato forte e presente che ti slega dalla dipendenza che hai ad esempio con la famiglia, cosa che permetterebbe di avere rapporti più autentici, ma io ho rapporti molto importanti con donne su cui ho deciso di fare affidamento, se ho bisogno loro ci sono e io per loro e questo è importante. Mi fido più di loro che dello stato o della polizia, per dirne una. Nota due: ad un certo punto è stato anche detto: bella la teoria, tutto molto interessante, ma la pratica? Dove sta la proposta politica? Questo mi sembrerebbe un ottimo possibile spunto da cui riprendere il discorso.

(www.libreriadelledonne.it, 11 marzo 2016)

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