5 Aprile 2005
D Donna

Miracolo a Ouagadougou

Lila Azam Zanganeh

Sotto un sole abbagliante, in un’arida città senza vento e piena di polvere, quattromila persone battono incessantemente le strade di Ouagadougou alla ricerca di una gemma rara: il miglior film africano dei momento.
Il Festival panafricano del cinema (nell’acronimo francese, Fespaco) si tiene ogni due anni, dal ’66, nella capitale dei Burkina Faso ed è un evento unico ed emozionante che a suo modo sta diventando una specie di Festival d Cannes dell’Africa. Ma Ouagadougou, l’antico cuore dei regno Mossi, lontanissima dal glamour e dai fasti della Croisette, è una città sofferente e stretta nella morsa della povertà in cui mancano tutte le infrastrutture di una moderna capitale culturale. Solo 25 anni fa, perfino la polizia aeroportuale usava le lampade a petrolio perché mancava la corrente. Perciò sembra un vero miracolo che, a dispetto-di tutti i problemi logistici ed economici, sta riuscita a diventare la sede della più grande, interessante e affollata manifestazione culturale del continente.
Dal 26 febbraio al 5 marzo Ouagadougou ha accolto e affascinato migliaia di visitatori da tutto il mondo: filmaker, critici e gente di cinema dall’Europa, dall’America e naturalmente dal resto dell’Africa. Al margine della cerimonia d’apertura, aperta quest’anno al pubblico, un momento di panico nella folla accalcata ha fatto due morti e quattordici feriti, i soliti problemi tecnici, i ritardi e il caldo rovente hanno fatto annullare alcune proiezioni, eppure l’evento è stato un risultato
straordinario, nel bel mezzo di un Paese che non riesce a nutrire tutti i suoi abitanti.
“Uno vede l’Africa in televisione, l’Aids, i massacri, le guerre tribali, la povertà, ma in effetti quello che vede non è l’Africa. L’Africa è invisibile ha scritto il romanziere martinicano Edouard Glissant. Il miracolo dei Fespaco è che in qualche modo l’Africa, nell’arco di sette giorni e attraverso rari momenti di grazia, diventa finalmente visibile.

 

LA MAPPA. Ouagadougou è caotica e iperattiva. I film cominciano tardi, le sale di proiezione sono poche, affollate e spesso senza aria condizionata. Molta gente è seduta per terra e altra resta fuori in coda, per ore. Ma anche questo, innegabilmente, è parte dei fascino dei Festiva[ panafricano, un’allegra anarchia e un’autentica atmosfera di celebrazione. Una festa culturale e insieme un social forum. Non importa tra quanti ostacoli, quest’anno, alla diciannovesima edizione, il Fespaco ha presentato 20 lungometraggi e 20 corti in concorso, scelti tra 170 film realizzati nel continente e tra gli africani della diaspora in Occidente. Le tendenze in corso illustrano bene la posta in gioco nel cinema africano di oggi. Il Sudafrica è sotto l’influenza tecnica e finanziaria dell’America e di conseguenza offre un gran numero di produzioni, Il Nordafrica, da parte sua, continua a produrre film dagli standard molto diversi, apparentemente alle prese con problemi tecnici, ma tuttavia capace di realizzare molte pellicole ogni anno. Infine lo stesso Burkina Faso sembra un’oasi in un continente nero dagli exploit cinematografici isolati e rari.
Tra tutti questi Paesi, è in ogni caso il Sudafrica ad emergere come il vincitore. Le promesse di quella cinematografia, l’unica che si giova dei supporto di una vera industria, sono state largamente mantenute. Da solo, il Sudafrica ha portato al Festiva] 19 opere e vinto cinque premi, compreso il “Golden Stallion”. assegnato dopo 14 ore e 12 minuti di discussione a Drum (Tamburo) del regista Zola Maseko.
Drum è un film fatto per piacere al vasto pubblico, con la sua estetica hollywoodiana e un plot politicamente corretto che ruota attorno a un piccolo gruppo di uomini buoni che si oppone all’affermazione dell’apartheid. Ma in qualche modo Drum, alto budget e riprese perfette all’americana, non è rappresentativo della poetica e della creatività più profonde del Festival.
A contendergli la palma c’era per esempio uno splendido film intitolato Lettere d’amore Zulu, di Ramadan Suleman che ha avuto vasti apprezza menti critici e il premio al miglior regista assegnato dall’Unione Europea. Il film parla dell’Africa contemporanea e della sua difficoltà a tradurre in realtà privata gli assunti pubblici della politica. La protagonista è una donna nera Thandeka, che assiste a un delitto così feroce da impedir le di aderire ai principi della Commissione per la Verità e
la Riconciliazione. E Thandeka è anche alle prese col difficile rapporto con la figlia sordomuta, la cui impossibilità a parlare e ascoltare diventa metafora dell’impasse dei processo nazionale di pace.Assieme al Sudafrica, è il Marocco coi suoi dodici film prodotti all’anno, ad aver acquisito la maggiore visibilità al Festival. Il secondo premio è andato a Stanza buia di Hassan Benjelioun, un film sui traumi della tortura.,Ma i film più toccanti dei Fespaco sono quelli provenienti dall’Africa nera, quattro dei quali sono de Burkina Faso, compreso i vincitore dei terzo premio Ta suma, il fuoco, sulle dilanianti delusioni dei soldati smobilitati dopo la guerra.

 

LA STORIA. “La costruzione di questi film è spesso piuttosto classica, con una minore importanza attribuita alle immagini rispetto al testo” spiega il critico francese Olivier Balet. E la storia a contare soprattutto, in pellicole come La notte della verità di Fanta Regina Nacro, che racconta un Paese immaginario che ricorda il Ruanda dopo il genocidio dei 1994, o Un eroe di Zezé Gamboa, su un reduce mutilato dell’Angola che ha vinto un premio al Festival dei cinema indipendente di Sundance quest’anno.
Ed è per lo stesso motivo che alcuni dei film migliori visti a Ouagadougou sono i documentari, in cui scopo principale, come ha detto il regista Jean-Marie Téno, è “testimoniare senza sosta la storia ed esplorare il presente e il futuro”. Tuttavia Malintesi coloniali di Téno, che racconta le. atrocità tedesche in Namibia e Guardiani della memoria di Eric Kabera, sul genocidio ruandese, sono capolavori dei genere, di fattura sofisticata, sapiente e di impatto commovente, con momenti di autentica bellezza cinematografica. “Cosi il cinema dell’Africa nera” dice il documentarista di nascita belga Thierry Michel, “diventa un’allegoria dei continente oggi, di un continente che tenta di riconquistare la propria dignità”.

 

LA POETICA. Alla fine, l’esito più vero e importante del festival è che riesce a dare un volto più umano all’oscurità, nella percezione collettiva, di questo continente continuamente devastato dalle guerre. Ogni film riesce ad afferrare un suo frammento di verità e a illuminarlo con una scintilla di poesia. E così il Fespaco sembra una straordinaria dimostrazione dell’attualità di una frase che Saul Bellow scrisse a proposito dei campi di lavoro sovietici: “Forse continuare a essere un poeta in quelle circostanze è anche raggiungere il cuore della politica. I sentimenti umani, le esperienze umane, i volti e le forme umane ritrovano il loro posto: il primo piano”.
Non c’è modo migliore per descrivere la portata di quello che succede qui a Ouagadougou. Da Ruanda, Angola, Congo, Sud Africa e Costa d’Avorio, questi film mettono sentimenti umani, esperienze umane. volti e forme umane in primo piano.
E l’avvento della tecnologia digitale si è dimostrato molto utile all’impresa. Come il filmaker senegalese Moussa Touré ha spiegato al Festival, le videocamere hanno consentito agli africani di prendere in mano i loro mezzi di produzione e di parlare per loro stessi e di loro stessi. La generazione più giovane è diventata ancora più autonoma. E l’Africa, sostiene Touré, in questo modo sta finalmente scolpendo il proprio autoritratto.
Il problema principale, tuttavia, è che gli stessi africani, e specialmente quelli dei Burkina Faso dove si è svolto il Fespaco, sono sembrati in buona misura esclusi dal Festival. “Abbiamo bisogno di fare un grande sforzo per portare i film africani al pubblico degli africani”, dice Zezé Gamboa, il regista angolano di Un eroe, che nonostante il premio al Sundance non ha ancora trovato modo di uscire nelle sale del suo Paese. Il circuito della distribuzione è estremamente precario, aggiunge, e bisogna ancora vedere se l’Africa riuscirà a portare gli africani al cinema.
Ma al di là della sfera culturale, c’è anche un potente messaggio politico nel successo del Fespaco. Oggi il cinema africano ha un ruolo cruciale nello sviluppo dell’Africa e perciò deve battersi per
aumentare l’autonomia dei suoi mezzi economici ed espressivi. Poetica e politica si sono allineate, come ha fatto osservare il formidabile regista dei Mali Abderrahmane Sissako, il cui film Aspettando la felicità ha vinto il primo premio al Festival nel 2003. E che concludeva con un lampo di saggio ottimismo: “Non dovremmo pensare a noi stessi come vittime, perché quelli che hanno inventato la tecnologia non sono i padroni della civilizzazione”.

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