11 Novembre 2005

Lettera al direttore, oggetto: riforma Moratti

Elvia Franco

Gentile Direttore,

sono una delle tante insegnanti , che ovviamente applicherà la Riforma Moratti in quanto legge dello stato, pur essendone distante nello spirito e nella sostanza.
In questi giorni mi è stato dato da leggere il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni).
Ho sentito un disagio professionale, piuttosto profondo, che mi ha spinto a dargli pubblica parola.
Nel Profilo non è citata neppure una volta la parola “Creatività”, che pure è la cifra più propria e preziosa di ogni essere umano.
Non è citata neppure una volta la parola “Intelligenza”, anche se è una delle parole chiave della psicopedagogia.
Ovunque si parla di “competenze”, ma non si dice, nemmeno come problema di pensiero, il quadro di riferimento in cui devono poter esercitarsi e prendere senso.
Qual è il contesto in cui impegnare le proprie competenze di lavoro e di relazione? Quello di una cultura di mercato che pensa l’esistenza umana come segnata dalla necessità di produzione e scambio rapido e, sempre aggiornato, di merci?
Oppure quello di un pensiero e di una sensibilità che guardano ai grandi problemi del mondo, delle genti, dell’ecosistema ed hanno anche un occhio rivolto verso la pienezza e la felicità personali e sociali.
Il primo modello è riuscito ad imporsi. Questo tempo è riuscito a vederne i guai, mentre da un numero sempre maggiore di persone è sentita l’esigenza di dare un nuovo ordine, più vivo ed interessante, al problema della vita.
Ho sentito dire che non è compito della scuola rivolgersi verso questa questione. Eppure la scuola prende vita nel legame, oltre che con il mondo economico, anche con i bisogni di elevazione e di ricchezza interiore della gente e con le domande di senso che da sempre il pensiero pone e si pone.
Scorrendo nella lettura di questo documento, ci si accorge che non c’è nessun riferimento importante agli aspetti emozionali ed affettivi, che sono decisivi per lo sviluppo dell’esistenza umana in pienezza, mentre è enfatizzata quella forma della razionalità che ordina ed organizza in forma riduttiva anche gli accadimenti dell’interiorità. “L’alunno, si dice, cerca soluzioni ed alternative razionali ai problemi esistenziali, intellettuali, operativi, morali, estetici, sociali non risolti”.
La ragione, la razionalità matura, a cui la scuola dovrebbe sentire il dovere di avviare, prende linfa e nutrimento dall’humus delle emozioni e degli affetti, non è scollegata dalla sostanza umana profonda. La razionalità viva, e non meccanicistica, ha bisogno dell’ascolto del retroterra che la nutre per dare i suoi frutti. Ha bisogno di adulti che ascoltino i giovani che sono loro affidati.
Non c’è nessun accenno ad una comunità ascoltante e dialogante di adulti, necessaria per originare quel clima che permette ai bambini ed agli adolescenti di entrare in contatto fiducioso con le loro forze interiori, con i loro sogni, con le loro speranze e di liberarle, trasformarle, dare loro forma perché circolino nel mondo e lo arricchiscano. Si afferma invece che “Il ragazzo a 14 anni conosce le regole e le ragioni per prevenire il disagio che si manifesta sotto forma di disarmonie fisiche, psichiche, intellettuali e relazionali”. Mi pare una visione dell’adolescenza irreale, e lontana mille, miglia dai mille e mille studi rivolti a capire questa impegnativa e ricchissima età della vita.
La Riforma preferisce la parola competenza alla parola conoscenza. Ma là dove c’è una competenza importante da formare, sicuramente decisiva per le sorti del mondo di oggi, si parla solo di conoscenza. Si dice che l’alunno deve arrivare a comprendere le caratteristiche della civiltà europea e confrontarle con quelle di altre culture. Non si dice che nella cultura d’Europa, l’adolescente, proprio in essa trova gli elementi e la spinta vitale per un dialogo fattivo con altre culture e religioni.
L’avere forti competenze di dialogo ascoltante e profondo non è nominata, eppure il bisogno di dialogo, e l’incremento alla vita che esso porta, è la costante chiara, e senza ritorno, del pensiero europeo del novecento, senza dimenticarci di Socrate.

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