12 Maggio 2021
la Repubblica

Ddl Zan, il coltello del pedagogista

di Michele Ainis


Legge sull’omofobia, l’ultima trincea di guerra. Ma è possibile prendere partito senza intrupparsi negli schieramenti di partito? Si può ragionarne laicamente, mentre destra e sinistra si fronteggiano in due blocchi compatti? Perché è questo che è avvenuto: la militarizzazione del dibattito. Peraltro nemmeno un gran dibattito, nulla di simile al confronto d’opinioni sul divorzio, sull’aborto, sulle unioni civili, sulla fecondazione assistita. Quando i partiti lasciavano libertà di coscienza ai propri eletti, sicché i fronti si mescolavano, si contaminavano a vicenda. Adesso, viceversa, nessuna libertà, ammesso che sopravviva la coscienza. E in Parlamento è muro contro muro: l’anno scorso Lega e Fratelli d’Italia hanno depositato più di 800 emendamenti, ora l’ostruzionismo continua fra schermaglie procedurali e progetti alternativi al disegno di legge Zan.

Eppure avremmo avuto tutto il tempo di rifletterci senza pregiudizi, dato che il primo testo venne presentato da Nichi Vendola nel 1996, un quarto di secolo fa. E la riflessione chiama in causa i due valori fondanti della democrazia: libertà d’espressione e tutela delle minoranze. Giacché la legge in questione intende offrire una speciale protezione contro l’hate speech, le parole d’odio basate sull’orientamento sessuale. Per arginarle, per incriminarle, introduce un reato e una specifica aggravante. Da qui tutto il sale della legge, come ha dichiarato Alessandro Zan al Corriere della sera: in futuro nessuno potrà dire che i gay devono essere bruciati nei forni.

E perché, adesso si può dire? L’istigazione a delinquere è già un reato, punito dall’articolo 414 del codice penale con la reclusione fino a cinque anni; e infatti il consigliere regionale della Lega che nel 2016 avrebbe pronunziato quella frase è stato denunciato. Del resto pure l’aggravante figura già nel nostro ordinamento: si chiama circostanza aggravante per motivi abietti o futili, e a norma dell’articolo 61 del codice penale comporta l’aumento fino a un terzo della pena.

Qual è allora il “di più” di questa legge? Una tecnica normativa che rifugge dalle clausole generali, confezionando regole minute e puntute come spilli. Anziché dire «è vietato insultare il prossimo», si preferisce elencare gli insultati – i neri, gli ebrei, e poi i gay, i trans, le donne, i disabili. Anche a costo di gonfiare a dismisura il diritto penale, come se 35mila fattispecie di reato – già in vigore per gli accidenti più svariati – in Italia non fossero abbastanza.

Tuttavia su quest’aspetto non c’è troppa differenza fra il ddl Zan e i disegni di legge proposti dalla destra. Anzi: quest’ultima rivendica un aumento perfino maggiore delle pene, in caso di discriminazione e di violenza. La differenza sta piuttosto nell’intenzione, nello scopo. La destra si muove in una logica puramente repressiva; per la sinistra la nuova disciplina avrà invece una funzione pedagogica. Come traspare fin dal primo articolo del ddl Zan, con il diritto all’affettività verso ogni sesso, con l’enunciazione dell’identità di genere come “identificazione percepita” della propria sessualità. E come dimostra l’istituzione di una Giornata nazionale contro l’omofobia, oltre che di programmi informativi nelle scuole.

Però, attenzione: talvolta il pedagogista danneggia i propri allievi. Ne è prova il sondaggio realizzato da varie associazioni femministe e diffuso dalla Stampa, dove il 66% s’oppone al self-id, la libera autocertificazione del proprio genere sessuale. Non è forse la cancellazione del femminile, dopo decenni di lotte per difenderne la specificità? E infatti in Gran Bretagna l’identità di genere è finita nel cestino dei rifiuti. Ma anche i gay e le lesbiche potrebbero rimetterci, alla fine della giostra. Perché ogni misura di speciale protezione verso questa o quella minoranza rischia d’abbassarne l’autostima, alimentandone il senso d’inferiorità sociale. «Non avevo mai fatto caso alla mia pelle finché non sono stato ammesso al college in quanto nero, grazie a un piano di affirmative action», disse uno studente dell’università di Berkeley. È il coltello del pedagogista: un’arma a doppio taglio.


(la Repubblica, 12 maggio 2021)

Print Friendly, PDF & Email