Figura di spicco del femminismo italiano, nel 1979 fu tra le fondatrici del Centro culturale Virginia Woolf di Roma, che poi diresse per lunghi anni. Autrice del libro “Cosa vuole una donna”(1995) ha pubblicato numerosi interventi e saggi in Italia e all’estero. Oggi fa parte del gruppo “Se non ora quando Factory”.

Alessandra Bocchetti

L’anno dell’ambiguo materno

Somara! 2022

pp. 166 - € 15

Note, appunti, illuminazioni da un seminario al Centro Culturale Virginia Woolf 1982

“L’anno dell’ambiguo materno” è l’insieme di pensieri e riflessioni fatte da Alessandra Bocchetti durante il seminario che tenne nell’anno ’82-’83 al Centro Culturale Virginia Woolf di Roma. Il “Virginia Woolf”, fondato nel 1978 e attivo fino al 1996, fu uno dei luoghi più autorevoli del femminismo italiano. “Riattraversare la cultura, produrre politica e libertà femminile”, questo è quello che le donne facevano in quel luogo, cioè, a partire dalla loro esperienza, rileggere, salvare o rigettare quello che erano i pensieri, le filosofie, le interpretazioni, le scienze. Era lo spazio per eccellenza del pensiero critico femminile. A frequentarlo erano donne diversissime tra loro, questo è stato il miracolo. Iscritte allo stesso seminario potevano trovarsi, gomito a gomito, donne con tre lauree con donne che avevano solo la quinta elementare, un insieme magico che ha sempre portato dei grandi risultati. In comune: la passione del pensiero, la voglia di rispondere alla domanda “Che cosa è una donna” solo con la propria testa, fare pulizia dei pregiudizi, sentirsi pensare insieme ed essere audaci. A partire dall’anno ’82/’83 venne introdotto il tema unico, una ipotesi di ricerca comune per i vari seminari. Il primo fu appunto “L’ambiguo materno”. “Il tema dell’ambiguità del ‘materno’, inteso come amore, come passione e insieme come un modo di stare al mondo, la nostra adorata Virginia Woolf l’aveva messo a tema a suo tempo, invitandoci noi tutte figlie, prima che madri, alla complicità criminale; perché con gesto niente affatto irresponsabile, noi figlie uccidessimo la madre -quella madre ‘angelo del focolare’ che contribuiva giorno dopo giorno a creare il padre e il figlio e il fratello. Perché questo aveva capito Virginia; e cioè, quello che sempre diceva mia madre, rievocando un luogo comune, che senz’altro a lei aveva tramandato sua madre: “ci vuole una donna per fare un uomo.” Cioè a dire, le nostre madri erano state complici nel coltivare una certa idea di ‘uomo’. E una certa idea di mondo. Ma si poteva, acquistando coscienza della nostra potenza, ‘cambiare’: cambiare il mondo, cambiare gli uomini – figli, padri, compagni. Smettere di sentirsi vittime, smettere di obbedire – noi lo stavamo facendo.” (dalla prefazione di Nadia Fusini).

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