30 Ottobre 2022
la Repubblica

“Violenze e umiliazioni per non farci mangiare”, la denuncia della farfalla Nina Corradini scuote la ginnastica ritmica


La farmacia era l’unico posto che per due anni ha frequentato, oltre la palestra e la stanza 204 dell’hotel di Cesano Maderno, in provincia di Milano. L’atleta della Nazionale Nina Corradini, adesso diciannovenne ma all’epoca minorenne, ci andava di nascosto per comprare il lassativo Dulcolax, “un estremo tentativo” per soddisfare i parametri del peso della squadra azzurra di ginnastica ritmica e non ricevere così le “pressioni mentali” delle allenatrici della Federginnastica.

«Mangiavo anche sempre meno – confessa – ma ogni mattina salivo sulla bilancia e non andavo bene: per due anni ho continuato a subire offese quotidiane».

Umiliazioni verbali – già denunciate anche da professioniste come la ballerina della Scala di Milano Mariafrancesca Garritano o le britanniche Nicole Pavier e Eloise Jotischky – che Nina Corradini ha deciso di raccontare adesso, un anno e mezzo dopo che è riuscita a uscire dal “circolo vizioso”, come lo definisce lei.

«Me lo ricordo il giorno in cui ho trovato la forza di andare via, era il 14 giugno 2021. Avevo passato ogni minuto degli ultimi mesi precedenti a desiderare di scappare da lì. Ora voglio informare e proteggere le bambine più piccole: tutti devono sapere la realtà».

Riavvolgere il nastro per Nina Corradini non è facile: «Fino a qualche mese fa piangevo ancora, però ora riesco a raccontare tutto senza lacrime. Merito anche delle sedute dallo psicologo, sono in cura da un anno». Aveva quindici anni quando, nella primavera del 2019, è stata chiamata dalla Federazione per una prova. «Poi mi hanno convocato per i tre mesi estivi a Follonica, al termine dei quali sono stata confermata in squadra».

Così la ginnasta romana, che a dodici anni dalla Lazio Ginnastica Flaminio era passata alla Faber Ginnastica Fabriano, si è trasferita con le Farfalle a Cesano Maderno: 7-8 ore di allenamento al giorno, poi le lezioni fino alle 20.00 per la scuola privata. I primi due mesi sono trascorsi con serenità, poi il mondo che aveva idealizzato è svanito: «Per le allenatrici ero solo una pedina, non c’era rapporto umano. Non mi hanno mai chiesto come stessi».

Nina quotidianamente veniva pesata con le altre compagne, «in mutande e davanti a tutti, sempre dalla stessa allenatrice», che segnava i dati su un quadernino ed emetteva il proprio giudizio: «Cercavo di mettermi ultima in fila, non volevo essere presa in giro davanti alla squadra. L’allenatrice mi ripeteva ogni giorno: “Vergognati”, “mangia di meno”, “come fai a vederti allo specchio? Ma davvero riesci a guardarti?”. Una sofferenza».

Il controllo del peso avveniva dopo la colazione: «Infatti per due anni non l’ho mai fatta. Ogni tanto mangiavo solo un biscotto, ovviamente di nascosto, mentre ci cambiavamo per l’allenamento». Nina non sapeva più come fare: «Mi pesavo quindici volte al giorno. Il lassativo mi disidratava e, non mangiando, non avevo più forze. Mi ammalavo, avevo poco ferro nel mio corpo. Una volta sono svenuta a colazione, ma le allenatrici mi hanno fatto andare lo stesso in palestra, pensavano fosse una scusa».

Un incubo a occhi aperti, vissuto da sola, da cui si è svegliata a diciott’anni: «Sul treno mi sono sentita sollevata. Durante il mio periodo in squadra non ho mai parlato dei problemi con i miei genitori, neanche con le compagne: la competizione era molto alta, era più forte dell’amicizia. Inoltre credevo che loro stessero bene, mi sentivo quasi in colpa a stare male».

Addirittura, sostiene Nina, il rapporto delle allenatrici con le atlete variava in base al loro peso: «Se eri dentro i loro canoni ti trattavano in modo diverso». Ma qual è lo standard? Non lo sa, Nina: «Non ce l’hanno mai detto. Io pesavo sui 55 chili (per 175 cm di altezza, Ndr), ma l’allenatrice aveva sempre da ridire. Il cibo era diventato un incubo, pensavo alle conseguenze del mangiare determinati alimenti. Avevo imparato che di notte perdevo 3 etti e che un bicchiere d’acqua ne pesava 2». Le istruttrici erano tre, più la maestra di danza.

«Ma soltanto una era quella che si esprimeva con commenti negativi, era sempre la stessa, le altre si limitavano a leggere i dati sul quaderno. Non so se la Federazione sia a conoscenza di questo metodo: magari dei controlli sì, ma del trattamento e delle umiliazioni no». E la Federginnastica, contattata da Repubblica, ha dichiarato che per il momento preferisce non commentare.

La testimonianza di Nina è importante. I suoi genitori sono contenti che abbia deciso di parlare: «Non è stato facile raccontare a loro quanto accaduto e i reali motivi che c’erano dietro la mia decisione di abbandonare la ginnastica ritmica. Gliene ho parlato separatamente: mamma si è messa a piangere in un ristorante, papà invece si è arrabbiato tanto con le allenatrici. Anche perché ero minorenne».

Tuttora Nina, al primo anno di Scienze della comunicazione, deve fare i conti con i fantasmi del passato: «Faccio fatica a mangiare davanti ad altre persone». Con le sue parole vuole rompere il silenzio che si cela su queste pressioni psicologiche. «Spero di dare voce a tutte le altre vittime di queste pressioni».


(la Repubblica, 30 ottobre 2022)

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