Esserci davvero, un volume a cura di Clara Jourdan edito dalla Libreria delle donne di Milano
«Il femminismo era una correzione di un esserci facendo carte false: è stato un esserci in prima persona in qualcosa che accade. Che certo ha una sua importanza […] ma era un esserci davvero, è stata la cifra più importante». A dirlo è Luisa Muraro nella lunga conversazione (quasi cento pagine) con Clara Jourdan depositata nelle pagine di Esserci davvero (Libreria delle donne, Quaderni di Via Dogana, pp. 245, euro 15). Comparsa in versione ridotta nel 2006 e registrata tra maggio e luglio del 2003, l’intervista è ora pubblicata in forma integrale e inedita.
Grazie a Clara Jourdan, nella seconda parte del libro, interamente a sua cura, c’è la bibliografia che va dal 1963 al 2024, un lavoro che Jourdan ha iniziato nel 1998 insieme a Franca Cleis, e che dà conto cronologicamente di una poderosa quantità di scritti, monografici, in riviste, collettanee, giornali (tra cui non manca il manifesto); tutti luoghi e occasioni di un impegno attivo e infaticabile che nasce già in relazione e che, nel caso di Muraro, si è profuso anche nell’ambito della traduzione (basterebbe forse citare la prima traduzione italiana di Speculum, di Luce Irigaray, nel 1976 per Feltrinelli).
La prima parte dialogante consegna allora il percorso, qui intimamente umano e politico, della filosofa che indica quanto grande sia stato quell’esserci davvero quando le è stato chiaro che se il cattolicesimo e il comunismo erano «a certe condizioni che non si sono realizzate», è stato l’incontro con il femminismo a fornirle delle condizioni «che si sono realizzate». La chiama, questa, la sua «logica esistenziale» ed è forse il primo dei numerosi fili del procedere, nel confronto con Jourdan, che le consentono di indicare alcuni dei termini del suo apprendistato, mai solitario ma sempre con altre donne accanto, con alcuni nomi (e nel libro ce ne sono davvero tanti) che brillano dal primo incrocio restando con lei tutta la vita, come Lia Cigarini dalla fine degli anni Sessanta.
Il movimento delle donne, il separatismo, l’autocoscienza, la scommessa del femminismo che era a quell’altezza, anche in Italia, un accadere, con diverse pratiche e gruppi, e che diventa spazio collettivo e di libertà femminile, oltre che di elaborazione teorica in cui, nel 1975, nasce la Libreria delle donne di Milano segnando un’attenzione, già inaugurata, a quella parte del femminismo francese che arrivava da Psychanalyse et Politique.
C’è in un tale fervore sorgivo, che in quel momento non può più essere di mera partecipazione alla cosiddetta società degli uomini colti, un modo che ha Muraro di farsi leggere (o di farsi ascoltare, poiché la sua produzione ha seguito in questi anni scambi pubblici, mai pacificati e per questo ancora più preziosi, in presenza) facendoci attraversare, insieme a lei, la sostanza di una donna che pensa, che riconosce di questo suo procedere la circostanza imperfetta di una ricerca a partire da sé.
Sempre ha scritto per la lettrice anonima, per una donna che non sa chi sia, dice a Jourdan in uno dei molti momenti della conversazione, perché «il lavoro della scrittura mi portava e mi porta in una vicinanza, nel confine tra simbolico e fisiologico».
Già nel 1976, con La Signora del gioco, assume la qualità di un inaggirabile posizionamento, facendone affondare i prodromi nell’autocoscienza: «ho preso la pratica politica delle donne come forma simbolica che mi permetteva la scrittura». Del resto, anche nella esperienza della lettura «il libro diventa una macchina pensante dentro di me».
Quell’oggetto che non resta mai fermo, che «non è mai se stesso» le consente di consegnarci la passione autentica di una relazione: è infatti l’oggetto dentro di lei che, racconta, si muove e la muove. Succede però altro perché l’oggetto, in questo caso un libro, le permette di contrattare la sua libertà, «perché do ammirazione e dopo delle strattonate per significare la mia libertà». In questo alternarsi, movimento nei riguardi di ciò che ha scritto e di come sia stata letta anche lei stessa, ha ripetuto spesso che «tutto è storia ma la storia non è tutto». Elemento utile perché «c’è qualcosa che eccede e questo qualcosa è vuoto, non è nominabile, non è dicibile, è un niente, è un niente che però io considero un passaggio all’essere». Vengono forse qui a chiarirsi parte delle critiche che le sono state mosse riguardo l’approdo metafisico soprattutto del suo L’ordine simbolico della madre (1991, varrebbe la pena conoscerne l’origine tutta interna, e plurale, al movimento delle donne e di cui lei stessa dice: «il libro che mi fa più problemi, ancora oggi»).
Ma anche per capire ciò che è stata la modificazione della sua esperienza nella conoscenza delle scrittrici mistiche (il primo articolo su Margherita Porete è del 1988, stesso anno in cui scrive di Clarice Lispector). Ad esempio nel raffinare l’ascolto per «captare il silenzio, la presenza di un silenzio». Qui il legame può essere rintracciato per un verso nello strabismo di aver confuso, strumentalmente ma anche storicamente, l’assenza delle donne con uno statuto di inesistenza, per un altro verso vi è l’apertura a una cavità della stessa storia che «permette di scrivere quello che non è storia».
La mistica, libera ricerca di Dio «come forma della libertà femminile», rispondente politicamente al «primato delle pratiche» in cui il posto delle cose non viene occupato dalle costruzioni intellettuali, astratte e neutralizzanti, in cui i corpi scompaiono o non hanno udienza, porge una connessione alla «necessità del metonimico», di cui Muraro ha scritto nel suo libro forse meno letto e più sorprendente: Maglia o uncinetto (1981, se ne segnala la ristampa per manifestolibri del 1998 con la postfazione, splendente, di Ida Dominijanni).
Un procedere tra i libri, dunque, pensando nel frattempo con le altre: è il caso almeno di Guglielma e Maifreda (1985) e di Non credere di avere dei diritti (1987, nel 1990 viene tradotto negli Stati Uniti grazie alla mediazione di Teresa De Lauretis), cui segue Il pensiero della differenza sessuale (1987), primo volume della comunità filosofica femminile di Diotima in cui affiora il «taglio simbolico», perché «facendo un taglio si forma pensiero», sono – prosegue Muraro – «operazioni di ordinamento di un campo».
SCHEDA. Alla Cattolica il convegno “Come quando si accende la luce”
Promosso dai Dipartimenti di Sociologia e di Storia moderna e contemporanea dell’Università Cattolica, la Libreria delle donne di Milano e la comunità filosofica femminile Diotima (Università di Verona), il 20 settembre 2025 all’Università Cattolica di Milano si è tenuto il convegno internazionale «Come quando si accende la luce», dedicato al pensiero di Luisa Muraro.
Dopo l’introduzione di Raffaella Iafrate, con il coordinamento della prima sessione di Carla Lunghi, interventi di Vita Cosentino, Diana Sartori, Ida Dominijanni, Cesare Casarino e Riccardo Fanciullacci. A seguire, dalle 15, con il coordinamento di Maria Livia Alga, interventi di Wanda Tommasi, Carla Lunghi, María-Milagros Rivera Garretas, Annarosa Buttarelli e Paolo Gomarasca.
(il manifesto, 20 settembre 2025)

