28 Ottobre 2025
Rivista Plurale Online Ytali-Venezia

Venezia. Il cambio di passo delle donne

di Alessandra De Perini, Franca Marcomin, Maria Teresa Menotto, Silvana Tonon, Désirée Urizio


Lavoriamo insieme su diversi progetti almeno da una decina di anni, ma da più di un anno abbiamo costituito un gruppo di riflessione politica sulla città, che si è dato il nome di Labfem5.0: ci incontriamo una volta al mese da ottobre 2024 per ragionare come semplici abitanti, tenendo conto del nostro essere donne e della lunga esperienza politica e sociale di ognuna, sui problemi, le contraddizioni, le potenzialità, i punti di forza e di debolezza della città in cui abitiamo.

Ci siamo collocate tra quelle e quelli che amano la città, ne usano spazi e risorse, ma anche sentono l’obbligo di restituire, rimettere in ordine, prendersi cura, impegnarsi per il cambiamento.

Abbiamo adottato il punto di vista di chi percorre la città a piedi tutti i giorni, ne fa esperienza diretta, tocca con mano le contraddizioni, vede i problemi, intreccia trame di incontri, parla con le persone che incontra: l’edicolante, il commerciante, il postino, il farmacista, la parrucchiera, donne e uomini che stanno dietro i banchi di frutta e verdura al mercato, donne e uomini che si impegnano nella politica della città.

Molte le cose che abbiamo fatto: abbiamo individuato aspetti diversi del vivere quotidiano, problemi irrisolti che si ripresentano a ogni cambio di governo; abbiamo descritto i luoghi della città che più frequentiamo; abbiamo elaborato un elenco di ciò che della città ci piace e ciò che non ci piace, facendo differenza tra le cose che vanno bene e possono restare e quelle che, secondo noi, vanno messe in discussione e cambiate.

L’intenzione comune è stata quella di trarre dai nostri racconti, dalle nostre descrizioni dell’esistente riflessioni e indicazioni utili per orientare le future scelte politiche e prospettare possibili soluzioni dei diversi problemi o modalità più efficaci di affrontare le criticità presenti in città e nel nostro territorio.

Consapevoli che una città è tenuta insieme dalla sapienza di pratiche minuziose e pazienti, da gesti di cura che appartengono alla sfera domestica, affettiva, ma trasferibili e traducibili anche in altri ambiti, in contesti più ampi, abbiamo guardato alla città come un’interazione di soggettività che agiscono contemporaneamente, trasformando il quotidiano.

Con l’arrivo negli ultimi trent’anni dal Sud e dall’Est del mondo di donne e uomini in cerca di lavoro e di una vita migliore, Mestre si è radicalmente trasformata, è diventata un intreccio di lingue, religioni, stili di vita, tradizioni, abitudini, saperi, modi di vestire e di cucinare molto diversi tra loro. La città è spazio in cui si incontrano e si scontrano differenze etniche, religiose, economiche, sociali, culturali e in essa vivono numerose comunità di stranieri per lo più tra loro separate.

Nei quartieri e in alcune zone, dove già negli anni Settanta c’era stata una prima immigrazione dal Sud Italia, ma anche da Venezia – in particolare dopo l’alluvione del 1966, quando iniziò un vero e proprio “esodo” in terraferma – si sono formate nuove comunità e alla prima generazione ora si aggiungono le seconde e le terze.

Negli anni Novanta Mestre era una “città di frontiera”, nel senso che vi si sperimentavano pratiche innovative di integrazione e di accoglienza.

Oggi con la lenta scomparsa di reti amicali, parentali e di vicinato diminuisce anche a Mestre il senso di sicurezza. Ci siamo soffermate a lungo a ragionare sulla sicurezza che passa attraverso la rigenerazione della città, la presenza di negozi, di luoghi di aggregazione, di spazi pubblici dove avvengono incontri e discussioni politiche. La sicurezza, spesso associata a politiche di repressione e controllo, va vincolata secondo noi soprattutto alla partecipazione: prossimità e partecipazione creano, infatti, controllo sociale e di conseguenza senso di sicurezza. Siamo convinte che al diffuso senso di insicurezza che circola in città non si debba rispondere unicamente con la repressione e che questa sia in realtà un grande inganno che fa credere di risolvere i problemi, ma di fatto non lavora lì dove questi nascono. Contemporaneamente ci abitua ad un controllo che limita la nostra libertà individuale.

La città subisce un processo di invecchiamento della popolazione e le giovani generazioni fuggono da Mestre per mancanza di casa e di lavoro.

L’offerta commerciale è diminuita e anche a Mestre c’è il fenomeno della chiusura dei negozi. In compenso, in questa città c’è grande ricchezza di proposte culturali: librerie, cinema, dibattiti, convegni, mostre, gruppi lettura, gruppi di poesia, associazioni culturali.

L’attuale amministrazione non crede veramente nella partecipazione, nell’innovazione e nell’inclusione; è fortemente sicuritaria, ha abolito le Consulte, i Forum, le Municipalità, gli organismi di partecipazione, strumenti decentrati dell’ascolto e dell’agire nella città.

Ci siamo dette che è la vita quotidiana, con le sue infrastrutture fisiche e sociali, che permette di ricucire e integrare rigenerazione e welfare. È la vita quotidiana la chiave di volta che può sostenere una nuova pianificazione dei servizi. È questo il pensiero che ha innervato le pratiche di quante di noi lavorano politicamente all’interno di un partito e che l’attenzione delle donne ci suggerisce. Pensiamo che sia necessario mettere in discussione una visione ormai superata della progettazione urbana che continua a basarsi sull’idea di bisogni “universali” e standardizzati, come se la città fosse abitata da un cittadino medio, neutro, astratto. Questa logica ancora troppo presente nelle politiche pubbliche finisce per ignorare non solo la differenza tra i sessi, ma anche le profonde disuguaglianze sociali, economiche e culturali che attraversano i nostri territori. Progettare la città oggi significa riconoscere e dare spazio alla pluralità: ai corpi, ai bisogni, alle vite che troppo spesso rimangono ai margini. Significa andare oltre l’omologazione e costruire politiche urbane capaci di includere, invece di cancellare.

A un certo punto della nostra ricerca, ci siamo poste anche delle domande sulle quali tuttora siamo impegnate a lavorare. Per esempio: come possono crescere la partecipazione e la disponibilità a costruire con altre e altri?

Come pensare al futuro con uno sguardo che rimotivi alla partecipazione, restituendo ad ogni abitante emozione, desidero di impegno e voglia di lavorare per il cambiamento?

Quale azione politica è possibile per superare la logica individualistica diffusa che mette al primo posto il narcisismo individuale (spesso maschile) e gli interessi privati rispetto a quelli della comunità?

Che cosa rende un insieme di persone, donne e uomini, una comunità generativa e aperta all’agire per promuovere trasformazione politica?

La domanda da cui siamo partite è questa: le porte delle nostre case oggi sono e rimangono “aperte” o le abbiamo chiuse?


(Rivista Plurale Online Ytali-Venezia, 28 ottobre 2025)

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