23 Novembre 2025
Corriere della Sera - Io donna

Donne nella storia: Lina Merlin, la senatrice che chiuse le “case” e aprì le coscienze

di Luisa Taliento


Socialista, femminista, si unì alla Resistenza. All’Assemblea costituente e poi al Senato sfidò un mondo che ancora non contemplava la parola “uguaglianza” e portò avanti la sua lunga battaglia: abolire la prostituzione regolata dallo Stato. Oggi libri e teatro ripropongono la forza della sua modernità


«Questo Paese di viriloni che passano per gli uomini più dotati del mondo e poi non riescono a conquistare una donna da soli! Inoltre, che giovani sono questi che per avere una donna devono farsela servire su un vassoio come un fagiano?». Quando Angelina Merlin, detta Lina, pronunciava queste parole in Senato, molti colleghi distoglievano lo sguardo. Era il prezzo da pagare per chi aveva osato sfidare uno dei tabù più radicati dell’Italia postbellica: affrontare il tema delle case di tolleranza. A lei si deve la legge n. 75 del 20 febbraio 1958, quella che chiuse i bordelli e abolì la regolamentazione pubblica della prostituzione, sancendo per la prima volta che lo sfruttamento non poteva avere il sigillo della legalità.

La battaglia di Lina Merlin

La battaglia durò dieci anni. In Parlamento la chiamavano con ironia “la senatrice delle case chiuse”, ma lei accettava il soprannome come una medaglia: «Non chiudo le case» rispondeva, «apro la coscienza di un Paese». Con quella legge furono eliminati circa seicento bordelli ufficiali, e con loro un’intera struttura amministrativa che regolava, controllava e umiliava migliaia di donne. Le condizioni erano drammatiche: orari massacranti, controlli medici invasivi, nessuna tutela legale. La miseria, l’isolamento sociale e la violenza erano quotidiani. Le malattie sessualmente trasmissibili, la coercizione e lo sfruttamento fisico e psicologico erano all’ordine del giorno.

Da allora la legge Merlin è rimasta un punto di equilibrio instabile.

C’è chi la considera superata, chi la difende come presidio di civiltà, chi ne invoca un aggiornamento. Negli ultimi anni c’è chi ha persino proposto la riapertura delle case di tolleranza, parlando di una presunta “regolamentazione sicura”. Ma l’eredità di Merlin resta chiara: la dignità non è materia negoziabile.

Come lei stessa ricordava in un celebre intervento: «Onorevoli colleghi, molti di voi sono insigni giuristi e io no, ma conosco la storia. Nel 1789 furono proclamati in Francia i diritti dell’uomo… e le costituzioni degli altri Paesi si uniformarono a quella proclamazione che in pratica fu solo platonica, perché cittadino fu considerato solo l’uomo con i calzoni e non le donne». Questa frase sintetizza il filo conduttore del suo impegno: portare la coscienza storica dentro le aule parlamentari e trasformare la critica in azione concreta.

Lina Merlin, ritratto di un’antifascista

Una donna minuta, dallo sguardo fermo e la voce chiara, capace di sfidare un mondo che non contemplava ancora la parola “uguaglianza”. Nata nel 1887 a Pozzonovo, nel Padovano, in una famiglia numerosa e borghese, crebbe tra libri e ideali. Fin da giovane mostrò un senso istintivo di giustizia: non sopportava la prepotenza, né quella domestica né quella dei potenti.

Quando nel 1919 decise di iscriversi al Partito Socialista, fu una scelta di campo e di vita. In casa la chiamavano “pacefondaia”, un nomignolo affettuoso e pungente per la sua ostinata fede pacifista, che la portò a opporsi all’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Una guerra che le portò via due fratelli, e rafforzò in lei l’idea che nessuna causa potesse valere tanto dolore. Negli anni successivi, la parola diventò la sua arma.

Collaborò a La difesa delle lavoratrici, la rivista simbolo del socialismo femminile, fondata da Anna Kuliscioff, di cui divenne direttrice, e al settimanale padovano L’eco dei lavoratori. Fu in quell’ambiente di militanza e carta stampata che incontrò Dante Gallani, medico e deputato socialista: tra i due nacque un’intesa profonda, di idee e di sentimenti. Nelle riunioni del partito, Lina si faceva notare per la tenacia e la lucidità. Nel 1924 le affidarono un compito straordinario per una donna dell’epoca:guidare la campagna elettorale socialista in Veneto. In quei mesi raccolse e documentò le violenze degli squadristi fascisti, un dossier che consegnò a Giacomo Matteotti, poco prima del suo celebre discorso contro il regime.

Dopo il rapimento e l’assassinio del deputato,la giovane militante venne schedata come sovversiva, e in meno di ventiquattro mesi licenziata dal suo impiego di insegnante perché rifiutatasi di prestare il giuramento di fedeltà al regime, obbligatorio per gli impiegati pubblici, e arrestata cinque volte: nel 1926, nel pieno della repressione fascista, tentò di riparare a Milano, ma finì in carcere e poi al confino in Sardegna. Tornò in libertà in un Paese ormai piegato dal fascismo, sposò Gallani, rimasto vedovo e padre di due figli, ma la loro felicità fu breve: lui morì dopo quattro anni.

All’indomani dell’8 settembre 1943, Lina era di nuovo in prima linea. Partecipò alla Resistenza organizzando, con Ada Gobetti e altre antifasciste, i Gruppi di Difesa della Donna: una rete di coraggio, sostegno e azione. Dopo la Liberazione, il Partito Socialista la chiamò a far parte della direzione e del governo regionale lombardo del Cln (Comitato Liberazione Nazionale) Alta Italia, dove si occupò della riorganizzazione delle scuole come vicecommissaria all’Istruzione.

Nel 1946 divenne una delle 21 donne elette all’Assemblea costituente. A lei si deve l’inserimento delle parole “distinzione di sesso” nell’articolo 3 della Costituzione, tra i criteri che non possono determinare discriminazioni: un parametro fondamentale per impedire leggi dal carattere discriminatorio nei confronti delle donne. Due anni dopo fu eletta senatrice e, nel 1953, restò l’unica donna in Senato. «Si diceva che il Senato avesse una donna sola, ma una di troppo» raccontava, con un sorriso che non mascherava l’amarezza.

Nel 1958 fu eletta alla Camera e partecipò alla Commissione antimafia. Ma la sua coerenza, spesso scomoda, le costò isolamento e critiche anche dentro il suo partito. Nel 1961 lasciò il Psi, delusa ma mai domata. Negli anni seguenti si ritirò dalla vita politica attiva, respingendo ogni invito a candidarsi di nuovo. Si dedicò invece a scrivere la propria storia, sollecitata dalla figlia adottiva. Le sue memorie, pubblicate postume nel 1989 per iniziativa della senatrice Elena Marinucci, restituiscono il ritratto di una donna che non cercò mai il consenso, ma la coerenza.

La memoria prende voce

Per le studiose contemporanee di storia delle donne, Lina Merlin è una figura chiave della modernità italiana. Luciana Percovich, docente e ricercatrice della Libera Università delle Donne di Milano, ne ha letto il profilo in chiave di “femminismo delle origini”. La scrittrice e saggista Elisabetta Rasy ha raccontato la sua capacità di coniugare etica e politica, intelligenza e concretezza, dentro un mondo ancora ostile alle donne.

Lina Merlin, morta nel 1979 a novantadue anni, socialista, era tra gli autori della Costituzione.

La memoria, però, non vive solo nei libri: torna anche nei teatri, dove la vita e l’impegno di Lina Merlin vengono restituiti attraverso la voce e il corpo degli attori. Tra gli spettacoli più recenti: Una delle tante di Nicole De Leo, che fa rivivere le lettere delle donne delle case chiuse in dialogo con la senatrice; Donne perdute di Daria Martelli, che ripropone le testimonianze degli anni Cinquanta; e la recente lettura scenica Maestre di vita e pensiero – Lina Merlin curata da Ombretta De Biase, che ha avuto luogo alla Libreria delle Donne di Milano e che riporta in vita il suo pensiero politico e l’impegno concreto.

La sua memoria si intreccia anche con lo spazio urbano: diverse città italiane l’hanno ricordata attraverso strade, piazze, targhe e un giardino a Padova. Ogni intitolazione è un segno tangibile del riconoscimento del suo impegno e un invito a non dimenticare le battaglie per la dignità e la parità. Il giardino, in particolare, diventa una metafora potente: come Merlin ha aperto spazi di libertà dove prima regnavano sfruttamento e silenzio, cosìi luoghi che la ricordano raccontano oggi un’Italia diversa, fatta di scelte coraggiose.

La senatrice si spense a Padova nel 1979 e riposa nel Cimitero Monumentale di Milano: la sua sepoltura fa parte di un percorso dedicato alle grandi donne.


(Corriere della Sera – Io donna, 23 novembre 2025)

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