27 Novembre 2025

Il tesoro di Luisa Muraro

Recensione di Maria Concetta Sala


La pubblicazione nell’ultimo dei Quaderni di Via Dogana della conversazione integrale inedita di Luisa Muraro con Clara Jourdan svoltasi nel 2003 (Esserci davvero, Libreria delle donne, Milano 2025) ha anzitutto il pregio di farci scoprire gli aspetti meno scontati e più sorprendenti della personalità della ben nota filosofa della differenza sessuale. Sollecitata con garbata finezza da Clara Jourdan che non si limita a formulare domande ed esporre le proprie osservazioni, ma contestualizza, mette a punto, sottolinea rimandi a vita e opere, Luisa Muraro coglie e accoglie suggestioni, schizza una sorta di autoritratto enunciando i propri pensieri con audacia e nondimeno con sobrietà, si sofferma con franchezza sui tratti spinosi del proprio percorso esistenziale-politico sino ad affievolire l’alone di una certa baldanza caratteriale e a tentare di svelarne il punto cieco.

Esserci davvero si apre con il riferimento di Luisa Muraro alla madre che ogni due mesi «sentiva l’esigenza interiore di andare al Santuario di Monte Berico» edificato sui colli di Vicenza e dedicato alla Madonna: un pellegrinaggio in forma di «divertimento autorizzato delle donne»; «una specie di allungamento religioso del cristianesimo, ma, sappiamo, era la religione precristiana della grande dea», data la presenza della Madonna sotto il cui manto trovano rifugio tutti; un viaggio verso un luogo di devozione mantenuto in vita dal sentimento religioso dell’umanità femminile. Ma non c’è traccia di una rappresentazione idealizzata della madre, giacché Luisa Muraro puntualizza: «[…] l’importanza di mia madre nella mia vita e per me è anche problematica e oscura. Io non sono una donna che ha avuto un rapporto buono con sua madre, nel senso di un rapporto felice. Ho avuto un rapporto buono nel senso di un rapporto che c’era effettivamente».

Poche pagine più avanti le sue risposte acquisiscono una tonalità sempre più confidenziale: confessa che i suoi studi, in particolare nella giovinezza, sono stati orientati da qualcosa di instabile, nondimeno presente dentro di lei «in una maniera molto segreta»; invece, «per esserci concretamente in carne e ossa», dichiara di aver avuto bisogno di appoggiarsi a delle persone in una relazione, nella quale gioca «una parte non piccola di egocentrismo. Cioè, sono io che ho bisogno, e l’altro, l’altra, sono l’appoggio simbolico. Non è tanto una relazione di scambio. Certo che la relazione si stabilisce, e lo scambio si stabilisce, ma è uno scambio dispari». Così di volta in volta le è capitato di appoggiarsi «a chi ha l’aria di sapersi orientare» (Bontadini, Rosetta Infelise, Fachinelli, Lia Cigarini) e via via di sganciarsene, tranne nel caso dell’incontro con il femminismo della Cigarini, ovvero «una pratica di relazione, il partire da sé e l’efficacia che ha la modificazione di sé, della propria relazione con le cose». Grazie a questo incontro Luisa Muraro è infatti uscita dall’esserci «truccando i dadi», «facendo carte false», e ha avvertito finalmente con felicità un «esserci in prima persona in qualcosa che accade», un esserci davvero.

Il desiderio fisiologico di scrittura che caratterizza il suo itinerario esistenziale, o meglio la sua strategia esistenziale, finisce dunque con il trovare casa e dimora nella pratica politica delle donne assunta come forma simbolica che le avrebbe permesso di scrivere. È ciò che le accadde con La Signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe (Feltrinelli, 1976), il libro che segna un cambiamento di rotta nella rappresentazione storiografica delle donne: «Avevo un materiale, perché la caccia alle streghe mi interessava da tempo; avevo un materiale emotivo e anche contenutistico, culturale, gli ho dato la forma di una pratica politica che ha reso possibile la scrittura». È ciò che accadrà con le opere che più risolutamente aderiscono a questa strategia esistenziale, ne dà conferma la stessa autrice non senza cercare di snidare un altro suo aspetto radicato in profondità: «Certo, non è solo la scrittura, è l’avere a disposizione una domanda di scrittura – Luisa, scrivi! – che motiva e autorizza che io possa dedicarmi a questa attività che probabilmente fa dentro di me un ordine simbolico. Qualcosa che ha a che vedere con il dare forma, a me».

Dopo essere stata sviata dalla ricerca su Della Porta (Giambattista Della Porta mago e scienziato, Feltrinelli 1978) e dopo la virata sulla linguistica che le ha ispirato quel piccolo grande libro che s’intitola Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia (Feltrinelli 1981), Luisa Muraro racconta come è andata con Guglielma e Maifreda. Storia di un’eresia femminista (La Tartaruga 1985), «una storia di grandezza femminile». Commuove leggere delle relazioni intrattenute con altri studiosi/e, va dritta al cuore la straordinaria    passione che ha accompagnato il suo lavoro alla Biblioteca Ambrosiana: «… ero come in perenne estasi, perché ero tutta presa da questa ricerca, proprio in una maniera che dice qualcosa di questo rapporto che ho, quando la materia della storia, o della mia vita, o della vita degli altri, si può trasformare in scrittura». Ammaliata dagli sprazzi narrativi e dai brevi inserti speculativi – un’alternanza-commistione che è la cifra della scrittura di Muraro – vengo così a conoscenza anche del prezioso lavorìo di tessitura che sta dietro la sua composizione di Non credere di avere dei diritti (Rosenberg & Sellier, 1987), una messa in parole di una pratica politica, «una narrazione libera di donne che vogliono raccontare la loro storia», quella vissuta fra il 1966 e il 1986 a Milano e non solo.

E questo vale altresì per l’impresa di Diotima, la comunità filosofica femminile nata tra il 1984 e il 1985 all’Università di Verona, e per il primo testo di Diotima, Il pensiero della differenza sessuale (La Tartaruga, 1987) come per quelli successivi. E ovviamente in Esserci davvero non può mancare il riferimento all’apporto fondamentale dato da Luisa Muraro fin dal primo numero, del giugno 1991, a Via Dogana, la rivista della Libreria delle donne di Milano che era stata inaugurata nel lontano 1975 e di cui ricorre quest’anno il cinquantenario. Una rivista di politica delle donne, vale a dire una politica che non mira alla spartizione del potere, perché quando è in gioco la libertà femminile il cambiamento «si sviluppa con la presa di coscienza e questa ha la stessa natura del fuoco, si accende, si alimenta e non diventa possesso» – come si legge sul sito https://www.libreriadelledonne.it/categorie_pubblicazioni/viadogana/.

A proposito del libro coevo alla pubblicazione del primo numero di Via Dogana, L’ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, 1991), che segna un taglio nella storia del pensiero, Luisa Muraro ne espone la genesi e riconosce che pur essendo autentico è per lei un libro oscuro: «l’ho scritto in condizioni che me lo rendono non uno specchio per me, e d’altra parte io sono una che non si specchia volentieri. Però le altre donne, non tutte, ma molte altre donne si sono specchiate nel libro e me lo hanno detto, diventando loro lo specchio per me. E allora ho capito. Più che nei miei prodotti io confido nelle lettrici. […] i lettori, le lettrici sono fondamentali per l’esistenza di un’opera – questo viene sempre più riconosciuto – ma possono essere fondamentali anche per la sopravvivenza degli autori».

L’ultima tappa di questa conversazione così variegata e piroettante che è Esserci davvero riguarda la decisione di Luisa Muraro di dedicarsi allo studio di Margherita Porete (si veda Lingua materna scienza divina. La filosofia mistica di Margherita Porete, D’Auria M. 1995) e la sua dedizione alla scrittura mistica di donne. Sono pagine nelle quali si percepisce l’intensità del fervore che connota la scoperta della «libertà delle donne [che] diventa proprio un’apertura d’infinito», la scoperta di una teologia in lingua materna – e il pensiero corre a Le amiche di Dio. Scritti di mistica femminile (D’Auria M. 2001) e soprattutto a Il Dio delle donne (Mondadori 2003).

La più bella intuizione che grazie a questo suo attraversamento delle mistiche mi/ci viene donata è che «tutto è storia ma la storia non è tutto. C’è qualcosa che eccede e questo qualcosa è vuoto, non è nominabile, non è dicibile, è un niente, è un niente che però io considero un passaggio all’essere». C’è altro, sostiene Muraro, ovvero c’è «il senso della incompiutezza di ogni impresa umana. Non è che vada sanata con la dimensione religiosa che per noi è perduta, ma la consapevolezza del c’è altro, il senso della incompiutezza e della fragilità, va salvaguardato, e senza cadere nel nichilismo e nella disperazione: come nella mistica, è nell’attesa che questo altro venga a noi».

Si tratta di disfare la maglia di questo mondo per fare posto ad altro: «Altro, che cosa?». Luisa Muraro ha cercato la risposta nei testi delle scrittrici beghine e delle poetesse preferite e ha trovato, «come risposta, che questo “altro” è l’impossibile: la teologia in lingua materna insegna in pratica (e, entro certi limiti, anche in teoria) a stare al mondo con la certezza che in esso ha luogo, o può trovarlo, anche l’impossibile» (Il Dio delle donne, 2003, p. 84). In tempi di apparente agonia dell’umano imposta dai potenti di turno il tesoro di Luisa Muraro si racchiude in definitiva nella potenza del c’è altro, che tradotto nella nostra quotidianità consiste per l’appunto nella salvaguardia della fragilità e dell’incompiutezza e prepara ogni singolo/a a un altro ordine di rapporti ora, qui, su questa Terra.   


Palermo, 20 giugno 2025


(www.libreriadelledonne.it, 27 novembre 2025)

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