1 Dicembre 2005

194 e dintorni

Oriella Savoldi, della Segreteria Flai Cgil Lombardia

E’ viva in me l’indignazione per l’iscrizione nella legislazione italiana e precisamente nella L.40, legge sulla procreazione assistita, della soggettività giuridica dell’embrione: prioritaria rispetto alla stessa soggettività giuridica riconosciuta a una donna, fortemente alimentata in questi tempi nel dibattito politico e nella campagna di colpevolizzazione dell’aborto, che, a partire dal potere ecclesiastico, dai livelli istituzionali e dai mass-media, mette le donne sul banco degli imputati.

 

Se è vero che il Parlamento italiano è pesantemente segnato dall’esperienza maschile, per via delle presenze, ma anche del pensiero prevalente, la Legge è traduzione diretta di questa esperienza del mondo e, per questo, svelatrice della idea maschile in fatto di rapporti fra uomini e donne.

 

Le donne vengono ridotte a soggetto minore, non sovrano, al massimo oggetto di cura, di assistenza, di sostegno da parte dello Stato o della Chiesa, a condizione che si facciano puro contenitore e veicolo di una nuova vita, ad ogni costo.

 

Che dire di diverso della nuova indagine sull’applicazione della 194 – da sempre sotto osservazione -, o dell’assegno di sostegno alla gravidanza a lavoratrici precarie, la cui condizione di precarietà di vita sembra non preoccupare, se non per via di una idea di maternità troppo legata alla condizione economica?
Chi come me opera nel sindacato, sa bene delle battaglie fin qui sostenute per garantire accesso e sostegno economico alla “maternità” di lavoratrici, tutte, contro posizioni, tutt’ora vive, di quanti, troppi, le vorrebbero fuori dal lavoro per via del loro essere madri potenziali e/o reali e sa bene delle differenze nei trattamenti che restano ingiuste.
Queste battaglie non hanno la pretesa di intervenire sulle scelte delle lavoratrici né, di ridurre la loro libertà nella scelta di farsi attraverso il proprio corpo portatrici di un’altra vita, a questione di condizioni economiche.
Queste condizioni sono importanti, ma interrogano la odierna situazione del lavoro, più che mai diventata fonte di incertezza e di sofferenza, soprattutto per le giovani generazioni di donne e uomini.

 

Del resto la stessa posizione espressa dal Cardinale Ruini al Forum del Progetto Culturale della CEI, il 2 dicembre, conferma la gravità di quanto ho espresso in premessa.
La Legge 40, dice il Cardinale, ha segnato uno “spartiacque importante, visto che ha rappresentato un forte motivo di impegno e di unità fra cattolici italiani” e, soprattutto, continua: “di incontro e convergenza con significativi rappresentanti della cultura laica.”
Cattolici e laici, dunque, uomini soprattutto e ahimè, donne che tollerano un confronto riduttivo dell’umanità femminile -per me fonte di indignazione e sofferenza-, e ne alimentano la posizione di miseria.
Posizioni incredibili, che riducono la maternità alla gestazione, riproponendo un’idea fascista della donna.
Fingono sollecitudine verso le donne, stanziano un miliardo di € per i bebè, contemporaneamente ne tagliano sei, di miliardi di €, su sanità, Comuni, politiche sociali e da anni tolgono risorse all’integrazione scolastica per gli alunni e le alunne in difficoltà.
Una maternità libera e serena ha bisogno di garanzie dallo Stato Sociale, nei suoi pilastri fondamentali: sanità, assistenza, istruzione, previdenza e disoccupazione.
Invece protervia ed ipocrisia sorreggono un attacco che potrebbe consentire di far attecchire, anche in Italia, movimenti e posizioni oltranziste antiaboriste di stile statunitense, violente ed estremistiche.
Questo confronto imposto resta molto distante dalla vita e dalla coscienza reale delle donne, dalle lavoratrici, così come il dibattito parlamentare sulle “quote rosa”; tuttavia queste posizioni non vanno sottovalutate.
Vanno, invece, contrastate e sconfitte, nella consapevolezza che le parole, il dettato della legislazione non sono privi di conseguenza sulla vita concreta e sulla formazione di nuovo pensiero.
Per questo prendo la parola, per questo ho partecipato alla assemblea promossa a Milano il 29 novembre scorso e sostengo l’iniziativa della Manifestazione Nazionale prevista nel prossimo gennaio: in gioco è la libertà femminile e con essa la qualità dei rapporti fra uomini e donne, della loro convivenza e quella del mondo che condividiamo.
Se questa è la posta in gioco, fuori dall’uso strumentale di una battaglia necessaria, un attacco e una riduzione delle donne così gravi, non riguarda uomini e donne? O sarà lasciata, ancora una volta, sulle spalle delle sole donne?
Un conto è riconoscere loro che in questo campo ne sanno più degli uomini, riconoscere la loro autorità, ma un altro è esonerarsi dalla lotta politica.

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