Angela Marchionni
Greve il carro. (Canada 8 aprile ore)
Una televisione, un generale che parla. Impettito dietro il podio snocciola la sua litania: 18.000 missili Tomahawk, 10.000 bombe di precisione, 5000 pacchi di aiuti umanitari sganciati su Bagdad dall¹inizio della guerra. Con competenza professionale mostra il video di due bombardamenti “chirurgici”: uno sulla casa di Chemical Alì, ben riuscito, e uno nel fiume Sun: errore del pilota che all’ultimo momento soltanto si accorge dei civili nella zona. Un riquadro ne ritaglia l’immagine nell’angolo in alto dello schermo. A sinistra in basso la riva sabbiosa di un fiume e, dietro, una strada piena di palme, dietro ancora le case. Non c’è audio ma ogni tanto rotolano e corrono dei corpi. Scoppi improvvisi di fuoco e fumo si alternano a pochi momenti di calma mentre le palme svettano fra tanto fumo nero. Un uccello solitario passa.
Lo scenario cambia e la caption sul lato basso dello schermo ci dice che sono immagini di questa mattina e dunque non in diretta: un gruppo di uomini in divise sporche esulta con i fucili alzati per la strada. Consapevoli delle telecamere, si affollano apposta attorno ad esse. Una macchina esce dal corteo, c’è un ragazzo al finestrino con la bandiera irachena in mano. Se non fosse per i fucili in mano potresti confondere questi uomini per dei tifosi di calcio. Nel riquadro alto l’ufficiale ha smesso di parlare. Guadagnato il tempo per un break pubblicitario.
Questa la cronaca oggi. Misura di un atroce istupidimento del reale proiettato in sala da pranzo a intervalli regolari in poche riconoscibili e terribili salse. Rassicuranti. Così il telegiornale irrompe nella pubblicità e la rafforza. Così un potere assolve irresponsabili massacri mentre di fatto vende la bontà dell’(ab)uso delle armi in nome di un ”dopo Saddam” e della democrazia universali… Proprio allo stesso modo in cui vende la bontà dell’(ab)uso del detersivo in nome di un’igiene universale che avvelena le acque. Lo spettatore/consumatore può decidere di non comprare e ritenersi sufficientemente politico in questa posizione, ma resiste alla seduzione di una comunicazione venduta come assoluta libertà di scelta? Questa sì che è un¹altra storia.
“E non si diventa padroni ridisegnando percorsi che alterata la naturalità la fissano e la rischiano? E gli spettatori, quelli che non perdono nulla, non perdono la vita viva per sempre?” ( Julia Postuma A. Marchionni Filema Ed. 1999, Napoli).
Facile oggi spegnere la tivvù, ma non l’assuefazione al sogno del “potere d’acquisto” garantito dalla “protezione” delle armi e con denaro alienato ai tanti che mai hanno guadagnato qualcosa dalla guerra. Con stage di buone domeniche, reality show, nonché numerose manifestazioni contro la guerra doverosamente riportate sui telegiornali di turno. A rischio ancora più alto d’inflazione delle banconote vere proprie, le parole e le immagini si sprecano, si ripetono. Non costando nulla, servono solo a farci sentire meglio, perciò vengono usate.
Foemina Vox – e della morte e dell’onda
Non c’è bisogno di essere eclatanti, visibili, soddisfatti “d’essere presenti”e di fatto rimandare tutto al prossimo convegno, alla prossimo sciopero, alle prossime elezioni. Perché l’etica di una comunicazione capace di restituire agli umani integrità e singolarità in accordo all’urgenza del reale e del bisogno, si rende necessaria per non imbarbarirsi. È sempre necessario agire. E basta la sottrazione. Misura di parola e d’immagine che solo testimonia, di ciò che esiste, quello che non si addormenta comodo nella beata speranza di un domani migliore. Una cavalla dallo zoccolo alzato sovrasta immobile la foto aerea di un villaggio arabo. Le palme sono intatte, le case sono intatte. Silenziose reggono il tondo di una cavalla che si esprime e solo esibisce il suo rilievo in uncinetto e cemento, testimonianza di un lavoro di intreccio di materie ( e relazioni)di sessuata tradizione. Nell’angolo, in basso, una macchia rossa in espansione. Sangue. Unica traccia di un tempo che scorre ancora uguale a sé nella sofferenza. E, tra cavalla e villaggio, la voce che da sempre, a rovescio, ha segnato il tempo, il progresso, la storia. Una impagabile moneta che mai si è arresa e annullata in nessuna equivalenza, e non è merce, e non compra e non vende. Testimone suo malgrado di una vittoria dell’ipocrisia fatta di non attenzione al diverso, al reciproco, che distrugge la società perché rende equivalente l’incommensurabile e ne fa merce di scambio e di profitto.
Beatrix vt Bologna