16 Ottobre 2005

Aborto: la nostra competenza e quella dei vescovi

Luisa Muraro

Una settimana fa, da Roma dove si teneva l’assemblea (il Sinodo) dei vescovi cattolici, è venuta una notizia che riguarda l’aborto. Leggo dai giornali: “È peccato votare i candidati politici che ammettono leggi a favore dell’aborto”, ha detto il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (monsignor Levada, il successore di Ratzinger, che è diventato papa). Sostenere leggi favorevoli all’aborto e votare i politici che le sostengono, è un peccato grave che comporta l’esclusione dalla comunione.
In molti paesi (fra cui gli Usa e l’Italia), alla presa di posizione dei vescovi sull’aborto si risponde da parte delle forze laiche con accuse d’ingerenza clericale nella vita politica. Questo tipo di risposta ha dei limiti che vorrei segnalare, per tentare di seguire un’altra strada che è di far intendere all’autorità religiosa il buono che c’è nel nuovo venuto con la fine del patriarcato. La separazione tra la politica e la religione, oltre a non essere universale, ha il limite ulteriore di non essere vera, nel senso che non è primaria, è una separazione importante e va mantenuta, ma è secondaria, introdotta per fare ordine nei rapporti tra Stato e Chiesa, tra certi poteri e altri poteri, ecc. Nel concreto della vita i sentimenti religiosi o antireligiosi si mescolano con quelli politici, inutile negarlo, lo dice la storia e lo dice la testimonianza interiore. (La storia dice anche che il risultato di queste mescolanze non è univoco, ma, al contrario, molto e molto vario.)
Passo così alla cosa che più m’interessa, e cioè che i commenti sia favorevoli sia contrari alla presa di posizione dei vescovi, hanno dato per scontata che questa colpiva (anche) la legge 194 della nostra legislazione, che regolamenta la pratica dell’aborto. Ma è sbagliato, perchè la legge 194 non è abortista e non è opera di legislatori abortisti, basta leggerla per rendersene conto. I politici che la hanno votata e quelli che oggi la difendono, per questo semplice fatto non sono degli abortisti. (Potrebbero esserlo per altri aspetti, ma è tutto da vedere.) La lettura della legge mostra infatti che essa fu scritta e approvata dal Parlamento per tutelare la salute delle donne. La legge, infatti, non autorizza l’aborto, al contrario condiziona la sua pratica a certi limiti, fra cui l’obbligo di rivolgersi ad una struttura sanitaria pubblica. Oltre a questo, essa mira a diffondere la cultura preventiva delle gravidanze indesiderate, che portano spesso le donne alla decisione di abortire. Tant’è vero che l’introduzione della legge 194 non avrebbe portato ad un aumento degli aborti ma, al contrario, oltre a renderli meno pericolosi per la salute delle donne, essa avrebbe contribuito a limitarne il numero.
Sto dicendo cose già dette e provate. Le richiamo per impedire che la presa di posizione dei vescovi prenda un significato abusivo, entrando nel discorso politico contingente. C’è una competenza di valutazione della realtà di questo mondo che non è dei vescovi, ma dei laici, come ha insegnato Montini, da prete, da vescovo e da papa (Paolo VI). Una donna come me, simile a tante altre che hanno riflettuto a lungo sull’aborto, è in posizione per conoscere il senso di quella legge meglio di qualsiasi vescovo. Non ero una sostenitrice della 194, devo dire, ero infatti per la semplice depenalizzazione dell’aborto, ma anche da questa posizione critica vedo il valore di quella legge e dico, con la necessaria autorità, che non è una legge abortista, al contrario.
Non deve ripetersi l’errore del card. Ruini nei confronti di Prodi impegnato a disegnare, con i Pacs, una risposta sensata e praticabile alla domanda di riconoscimento che viene dalle coppie che non possono accedere al matrimonio. L’errore di Ruini viene da una certa prevaricazione, non rara in quell’uomo. Se però vogliamo che la competenza e l’autorità di coloro – noi – che si misurano anima e corpo con le cose di questo mondo, valgano nella mente dei vescovi o di altri capi religiosi, facciamole valere anche nella nostra. Non difendiamoci dal clericalismo con la separazione Stato-Chiesa, questo voglio dire, ma con la dimostrazione del vero e del giusto.

Print Friendly, PDF & Email