29 Luglio 2004
Carta

Amleto nero

Una visita al Centro Desiré Somé di Bobo, Burkina Faso,
il cui nome è quello di un artista morto di Aids a trent’anni
e dove adesso artisti e attori burkinabé e italiani cercano
un modo per comunicare e mettere in scena l’Africa.
Andrea Segre

 

Se parti con i ribelli, danno 25 mila cfa a tuo padre e 25 mila a te, oltre ovviamente a tutti i guadagni che puoi fare con i saccheggi e le altre cose della guerra – mi ha raccontato la prima notte a BoboDioulasso, la seconda città del Burkina Faso, un ragazzo mentre preparava l¹interminabile té africano – Molti di qui sono andati e adesso hanno i macchinoni fichi e i soldi in banca». Macchinoni e banche: esattamente le due cose che Maddalena mi aveva detto subito di aver notato dopo cinque anni di assenza dal Burkina. Oltre ai Cyber caffè e ai telefonini, ovviamente, perché è questo lo «sviluppo», oggi: finanza, tecnologia e comunicazione. Acqua, sanità, educazione sono cose vecchie, che abbiamo già «portato», e se non funzionano ancora è perché questi qui non sono capaci di farle funzionare, ormai è troppo tardi per continuare con le solite vecchie cosette da stato sociale anni settanta. Ora internet, assicurazioni, banche, telefonini e grandi jeep nere o bianche: così sì che si decolla davvero.

 

Faccio fatica a crederci. 25 mila Cfa, franchi dell¹Africa ex francese. Quanti sono 25 mila Cfa? Mi sembrano davvero pochi, nemmeno 50 euro. Poi passo a casa di Mamma Agnese, nel settore 21 di Bobo, a pochi metri dal centro di formazione artistica dedicato a suo figlio, Desiré Somé. «Sono stata dal medico qualche giorno fa ­ racconta Mamma Agnese, seduta nella panca di legno della sua bella corte di sabbia, panni stesi e giovani donne intente a cucinare, lavare e sorridere – Mi ha detto, il medico, che ho il diabete alto e mi ha prescritto diversi esami clinici : 25 mila Cfa è il costo di tutti gli esami. Per me è impossibile e così mi faranno gli esami a rate, man mano che potrò pagarli. Uno ogni mese, un po¹ alla volta».
Mamma Agnes ha 48 anni e fa da mangiare per non so quante persone ogni giorno, perché nella corte vivono i suoi tre figli, qualche amico dei figli, tre o quattro ragazze, i figli delle ragazze, uno zio, qualche cugino e spesso passa qualcun altro: lei sa bene, lei, quanti sono 25 mila Cfa, come sa che il riso più caro costa 300 Cfa al chilo e quello più conveniente 210. Probabilmente sa anche che gli esami a rate servono a poco, ma non può farci niente, così è la modernità: un¹ora di internet costa come un chilo di riso, la salute costa molto, molto di più. «Mangerò meno zucchero, smetterò di bere i nostri succhi di ?bissap¹, rinuncerò alle arachidi e al burro. Spero che riuscirò a cavarmela».
Gli italiani che vivono, lavorano o semplicemente passano al Centro Desiré Somé la chiamano Mamma: perché ha il volto, la calma, la grandezza della Mamma.
Desiré era un artista, musicista e ballerino, ma soprattutto attore. Era sufficiente avvisare Bobo con due giorni di anticipo e gli spettacoli di Desiré riempivano immediatamente tutto il teatro dell¹Amitié: duemila posti stipati nella piccola arena di cemento e ferro che ancora oggi rimane l¹unica scena teatrale grande della città, escluso il teatro, più piccolo, dell¹immancabile Centro culturale francese. Desiré faceva ridere e pensare e con la sua arte aveva viaggiato per il mondo, sbarcando in Francia, Svizzera, Germania e Italia, seguendo quella linea sottile che conduce l¹arte africana nel terreno a volte ambiguo del fascino etnico, ma instaurando legami di collaborazione con realtà artistiche e culturali di diverse città d¹Europa. Ed è proprio da uno di questi legami, quello con il gruppo di ricerca teatrale «Koron Tlè» di Milano, che inizia la storia dell¹Associazione Siraba e del Centro artistico che oggi a Bobo porta il nome di Desiré: un esperimento riuscito, faticoso e originale di cooperazione decentrata.
Desirè è morto a poco più di 30 anni, nel 2001, di Aids, dopo anni di vivacità e sperimentazione aristica e dopo un anno di sofferenza e di inutili tentativi da parte degli amici europei di trovare una cura in Italia o in Francia: il centro che Siraba, con il sostegno di Mani tese, Anlaids e Architetti senza frontiere, ha finito di costruire dopo la sua morte, non poteva che portare il suo nome.
«Dall¹incontro profondo con Desiré ­ racconta Fabrizio, il ragazzo italiano che da tre anni vive a Bobo per seguire il progetto – e dal consolidarsi di un gruppo forte delle proprie sensibilità e competenze, è nata l¹idea di un luogo dove le nostre riflessioni potessero esprimersi coi linguaggi dell¹arte, dove le idee diventassero musica, danza, teatro, sfruttando inoltre il potenziale formativo e aggregativo che questi linguaggi hanno per loro natura, e in particolar modo nella città di Bobo Dioulasso».

 

Posta a un crocevia culturale e commerciale importantissimo nell¹Africa occidentale, Bobo riassume alcuni degli aspetti fondamentali del patrimonio culturale tradizionale di questa zona. Danza, musica e tradizioni orali sono il tessuto connettivo nel quale sono cresciute tutte le ultime generazioni, e attraverso il quale i giovani tentano di esprimere la difficoltà di un rapporto, quanto mai complicato in Africa, con la modernità.
«Siraba ­ spiega Fabrizio- semina su un terreno già fertile, non si pone come obiettivo di creare o imporre nuovi linguaggi, ma di prestare attenzione a ciò che esiste, di veicolarlo, dando strumenti più concreti a quello che nasce spontaneamente nella strada. Siraba, grazie alle sue competenze e alla garanzia di professionalità, data anche dalla provenienza artistica dei suoi membri, può fare da mediatore tra un patrimonio artistico che affonda le sue radici nella tradizione e le tematiche moderne che oggi toccano come non mai da vicino, e spesso in maniera drammatica, il continente africano».
Al centro Desiré Some sono passati in questi anni decine di artisti italiani ed africani, portando idee, linguaggi, domande, curiosità, e aiutando non solo la crescita del progetto Siraba, ma soprattutto la formazione di un gruppo di artisti di Bobo che possano concretamente sperare di avere nell¹arte e nella progettualità culturale un¹opportunità non solo di espressione, ma anche di sussistenza. Il Centro ha oggi uno spazio davvero grande con cinque o sei casette dove gli ospiti possono soggiornare, una casa per l¹ufficio e i laboratori artigianali, un grande spazio per le prove di teatro e musica e una grande corte con tre bellissimi alberi di mango.

 

«L¹idea ­ confida Olivier, il giovane fratello di Desiré che lavora da anni con Siraba ­ è di utilizzare l¹altro pezzo di terreno che il comune ci ha regalato, per costruire un vero spazio teatrale intorno al quale trasformare il gruppo degli artisti che oggi lavorano al centro in una vera e propria compagnia teatrale, autonoma e professionale».
Nei giorni del nostro caldo e afoso soggiorno al centro, una quindicina di ragazzi stavano terminando la messa in scena del nuovo spettacolo di sensibilizzazione sull¹Aids, tema su cui Siraba ha da sempre concentrato sforzi artistici e intorno al quale, per fortuna o purtroppo, si concentrano la maggior parte dei finanziamenti occidentali per le attività culturali e teatrali: «Per noi è molto importante lavorare con il teatro come mezzo di comunicazione sociale su temi delicati come l¹Aids ­ ci diceva Ton Ton, l¹inseparabile compagno di Olivier ­ Ma nello stesso tempo vorremmo liberarci dal vincolo per cui possiamo lavorare solo su questi temi. Non esistono, o sono ben pochi, i finanziamenti per produrre spettacoli teatrali che non siano di sensibilizzazione sociale, così gli artisti qui non possono fare altro».
Questo lo strano mondo della razionalità occidentale, che finisce sempre per limitare la libertà altrui, anche lì dove tenta di aiutarle [o forse, suggerirebbe Ivan Illich, proprio perché tenta di aiutarle]: uno degli esempi più chiari di ambiguità nell¹aiuto che conducono molte associazioni europee e americane ad essere non solo delle possibilità, ma anche un limite per la vita sociale e culturale dei paesi in cui l¹aiuto si sviluppa.
Siraba ha capito questo limite e sta cercando un equilibrio in questo strano gioco di vincoli e possibilità, provando a sviluppare sperimentazione e crescita artistica che non rinuncino ai temi della sensibilizzazione, ma che evitino anche di essere schiacciati dalla loro retorica e dalle necessità mediatiche dei finanziatori: «Hamlet Noir», lo spettacolo prodotto da Siraba e diretto da Serena Sartori, la regista che di più negli anni ha seguito e animato il cammino di Siraba, è probabilmente il tentativo più forte. La storia di Amleto, nonché la metastoria di una sua messa in scena, diventano il terreno narrativo di racconto e dialogo sull¹Aids: uno spettacolo che coinvolge attori italiani e burkinabé e che, dopo aver partecipato a importanti festival dell¹Africa occidentale, si prepara a sbarcare in Europa nell¹inverno prossimo.

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