27 Ottobre 2006

Apertura

Vita Cosentino

Vorrei aprire questo nostro incontro con una nota positiva, un filo di contentezza: siamo in un contesto diverso, non c’è più quel muro di sordità che sentivo così impenetrabile negli anni della Moratti. Oggi – e su questo scommettiamo – si è aperta la possibilità di avere ascolto per chi sa cos’è la scuola e l’università dall’interno, come esperienza di lavoro e di vita quotidiana.

 

Sono certo consapevole dell’infinità di problemi e contraddizioni che sono sul tappeto, ma noi che abbiamo organizzato questo incontro nazionale – e qui al tavolo siamo io e Federica Giardini a mostrare le relazioni che l’hanno reso possibile – noi che continuiamo a pensare che la vera riforma è autoriforma, vogliamo prendere sul serio parole come ad esempio quelle di Fabio Mussi, attuale ministro all’università “Lo prometto; mai più riforme dall’alto”. Vogliamo dare fiducia all’intenzione di cambiare e pensiamo che ci siano da inventare dei modi nuovi e mobili per tenere in contatto chi deve pendere le decisioni e chi è a scuola.

 

Anche questo nostro incontro è da sentire come una forma di contatto. Per essere ascoltati c’è prima di tutto da esserci e avere davvero qualcosa da dire. Cominciamo noi insegnanti a ridare peso e spessore alle parole, intessendole con la nostra esperienza, nel tentativo di far presente qualcosa di vero: sia qui tra noi, nella forma di una presa di coscienza e di uno scambio che apra possibilità per sé e per gli altri; sia a indicare, a mostrare col dito come fanno le creature piccole, tutto ciò che in un modo o nell’altro va tolto, sgombrato perché paralizza la vitalità dei luoghi e le nostre stesse energie creative.

 

A partire da ciò che di meglio abbiamo pensato e messo in pratica in questi anni di movimento di autoriforma, vogliamo innestarci in un cambiamento profondo. Il cambiamento di cultura che proponiamo sta nel cominciare a pensare e a dire che non tutti gli ambiti della vita, sia la nostra che quella associata, vanno sottoposti a leggi e a regolamenti minuti, che non tutto deve ricadere sotto l’ambito del diritto.
La vita non è statica. È in continuo movimento perché è intessuta dale relazioni umane che ne sono la radice più preziosa. I sistemi viventi – come sono le scuole – facilmente deperiscono, ma facilmente rinascono, se ci si può stare dentro con un po’ di piacere e di inventiva. Proprio per riaprire le possibilità che sono nella vita stessa dei luoghi, vogliamo mettere a critica e far crollare il troppo che ha invaso le scuole e le università. Nell’invito al convegno dicevamo: “troppe regole, troppo insensate e cambiate troppo in fretta, troppo progettificio e troppo mercato, troppa ubbidienza e troppa indifferenza”. Stiamo assistendo da anni a un ipertrofismo legislativo che pretende di regolamentare la vita fin nei minimi dettagli. È un’invasione di cose presunte giuste – chi può negare infatti la bontà della trasparenza, della privacy, della sicurezza? – che minacciano di far finire nell’insensatezza e nell’irrealtà non solo il nostro essere insegnanti, ma anche la nostra competenza umana, la nostra capacità di esserci. Questa contraddizione colpisce e interessa più le donne che gli uomini, perché è una prerogativa soprattutto femminile rimanere legate al quotidiano, rimanere vicine a un sapere dell’esperienza e farne materia politica. E le scuole sono strapiene di donne!

 

Del conflitto che si è aperto sul terreno quotidiano dell’esperienza parleranno nelle relazioni introduttive una maestra, Cristina Mecenero, un’insegnante delle superiori, Adele Longo, e un docente precario dell’università, Giuseppe Allegri. Io voglio fare solo un piccolo esempio. Giorni fa una collega mi raccontava che – stante che la sua scuola è cadente e il comune non ha i soldi per la manutenzione – aveva pensato di ridipingere l’aula assieme alla sua classe. I genitori erano d’accordo, ma l’iniziativa si è, per ora, bloccata perché, come effetto dell’ipertrofismo legislativo in atto, capita che ridipingere un’aula è ritenuta oggi un’azione molto pericolosa e quindi è assolutamente vietata dalla 626, la legge sulla sicurezza. Può sembrare un episodio banale, ma in gioco c’è molto di più.

 

Virginia Woolf, quando nella Prima Ghinea immagina un’istruzione su basi diverse, ne parla come “il collegio povero” e attribuisce una grande importanza alle sue caratteristiche materiali. Infatti dice: “Non di pietra scolpita, ma di materiale economico, con libri sempre nuovi e diversi, che sia affrescato di bel nuovo dalle nuove generazioni, con le loro stesse mani, con poca spesa.” Di questi tempi quel passo – che continua ponendo altre importanti questioni – mi accompagna di frequente perché vi trovo una forza immaginativa straordinaria, capace di delineare un altro modo di fare scuola, possibile e a portata di mano. Con le sue parole rende disponibile un tipo di abbondanza, non ridotta esclusivamente a denaro, ma che fa tesoro degli esseri umani e delle dimensioni interiori che possono attivare. Queste parole di Virginia Woolf condividono con l’oscura collega di cui vi parlavo un’idea di base che io ho conosciuto nella politica delle donne: i luoghi sono vitali per quello che vi portano gli esseri umani, donne e uomini, che li abitano. E questa per me è la radice stessa di uno spazio pubblico, di una politica che è un agire per sé e per gli altri lì dove si è.
Iniziative semplici come ridipingere un’aula, non vanno vietate, anzi! Vanno favorite e lo si può fare togliendo gli intralci e le concezioni che le criminalizzano. E togliendoci noi per prime/i da queste logiche.

 

In questo incontro abbiamo scelto di stare nel conflitto che ho cercato di delineare, con un pensiero, in forma di racconto, che rimanga attaccato e faccia parlare la nostra competenza umana di donne e di uomini prima che di insegnanti. Abbiamo scelto il racconto perché la scuola è essenzialmente lingua e la lingua è ciò di cui abbiamo più bisogno. Augurandoci buon lavoro, vi lascio con alcuni versi di Daria Menicanti, una poeta milanese ancora poco conosciuta:

 

Di solito succede a questo modo:
dopo un lungo silenzio le parole
anche le più comuni le più
consumate dall”uso e dalla pace
vita riprendono, colore.
Escono ardendo e si aggrappano in corone
di isole in arcipelaghi
o, se hai forza e fortuna, in continenti.

 

(Ultimo quarto, Libri Schewiller, Milano 1990)

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