28 Giugno 2007
CORRIERE DELLA SERA

Assolta l’ insegnante delle medie che punì l’ alunno per bullismo

Felice Cavallaro

Assolta perché il fatto non sussiste. Perché era motivata esclusivamente da «una volontà rieducativa» quella tiritera di «sono deficiente» fatta scrivere cento volte all’ alunno lanciatosi con arroganza contro un coetaneo di 12 anni per sbarrargli il passo nel bagno dei maschietti e sputargli addosso il marchio di «gay e femminuccia». Ed è felice di aver trovato «un giudice a Palermo» la professoressa Giuseppa Valido, 56 anni, 32 di servizio, due figli, incriminata dalla Procura che voleva farla condannare a due messi di reclusione per abuso di mezzi di correzione e lesioni. Felice anche perché la sentenza letta e motivata in 35 minuti dal gup Piergiorgio Morosini ha come punto di forza proprio il temino di un altro suo alunno, Giorgio, autore di una semplice constatazione ripresa nel verdetto. È il richiamo al candore di un piccolo testimone chiamato, come tutti gli altri allievi della stessa classe, a discutere dell’ evento e della punizione: «La professoressa non ha detto deficiente al nostro compagno. Gliel’ ha fatto scrivere per farlo ragionare». Come ripete lei da Padova, in cura per un problemino alle corde vocali, a sua volta offesa dal padre che su quel quaderno le scrisse «lei è una cogliona»: «Io ho cercato di dialogare con il ragazzo punito. No, non gli farei più scrivere “Sono un deficiente”. Utilizzerei altri metodi. Ma se quel padre che voleva pure un risarcimento di 25 mila euro avesse recepito l’ appello a lavorare insieme tutto sarebbe stato diverso. E spero che si capisca quanto bisogno ci sia nella scuola di recuperare un po’ di autorevolezza». Proprio un appello ai genitori: «Restituiteci prestigio agli occhi dei vostri figli. Perché se non lavoriamo insieme a nulla valgono le note sul registro. E io non ne scrissi allora perché a volte l’ effetto è opposto a quello sperato. Più note hanno, più s’ atteggiano a bulli. Le mostrano fieri. Le conteggiano. Diventano medaglie. E noi professori ci troviamo con l’ arma spuntata». Capta questo disagio la sentenza firmata da Morosini, un esperto scelto come braccio destro di Giuliano Pisapia nella commissione che ha appena esitato la bozza del nuovo codice penale, un romagnolo da 14 anni a Palermo, in partenza per la Cassazione, convinto che la punizione «non ha causato alcun danno psicologico all’ alunno» e che bisognava proteggere «il ragazzino schernito in un ambiente sociale caratterizzato dalla cultura della prevaricazione». Una posizione ben diversa da quella del pm Ambrogio Cartosio che aveva minimizzato la vicenda con sorpresa dei tanti osservatori presenti in tribunale: «Se non vogliamo ridurre la scuola a un ambiente sordo e grigio, privo di creatività, non possiamo impedire quelli che possono sembrare degli scherzi». Una frase ascoltata con stupore dagli esponenti di associazioni gay presenti con cartelli ironici, il pensiero al sedicenne di Torino suicidatosi per le stesse ragioni. Un evento richiamato da Morosini e dall’ avvocato Sergio Visconti, autore di un colpo di scena ripreso dalla sentenza. Ha infatti smontato l’ idea di quel padre massiccio presente in aula e deciso a insistere sulle «turbe psicologiche» del figlio, visto che aveva presentato certificati medici a partire dal 24 gennaio dell’ anno scorso. Ma con quattro giorni d’ anticipo sul fatto contestato. Un errore evidenziato da Visconti che adesso rassicura centinaia di docenti da settimane mobilitati a difesa: «I professori corretti sappiano che hanno le spalle coperte». Manifestazione di sostegno nei confronti dell’ insegnante finita sotto processo e ieri assolta «perché il fatto non sussiste».

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