15 Novembre 2003
il manifesto

“Basta con la guerra” Parola di carabiniere

Il maresciallo Pallotta, direttore del Giornale dei carabinieri, attacca la missione in Iraq: “Peacekeeping? Ma quale pace? Altro che terrorismo, è guerra. E a combattere mandiamo padri di famiglia. Non deve essere il nostro Vietnam”. Contro di lui si schiera il Cocer, il comando dei Cc potrebbe punirlo
Alessandto Mantovani

Il Cocer, la rappresentanza istituzionale dei carabinieri, lo accusa di “strumentalizzare” i morti di Nassiriya. E il comando generale dell’Arma potrebbe assumere iniziative giudiziarie e disciplinari. Ma il maresciallo capo Ernesto Pallotta, vent’anni di servizio nella Benemerita e quasi altrettanti di battaglie per democratizzarla, ha deciso di non mollare. “Il nostro governo deve essere chiaro, deve constatare che in Iraq vi è la guerra e che la missione di pace è un’operazione di guerra”, ha dichiarato ieri Pallotta, direttore editoriale de Il Giornale dei carabinieri e delegato del Cobar Lazio (è la rappresentanza regionale corrispondente ai Cocer). “Peacekeeping – ricorda Pallotta – significa mantenimento della pace. Ma quale pace? Chi ha deciso? Il presidente americano ha decretato l’inizio e la fine della guerra. Ma unilateralmente, senza ascoltare i suoi nemici che invece proseguono nelle azioni bellicose”. Pallotta la vede così: “In assenza dei caschi blu, dell’Onu e dei partner europei che si sono ben guardati dal mandare le truppe, la parola giusta per quanto accade in Iraq è guerra. E poiché oggi la guerra è cambiata non si fa più viso a viso, come vorrebbero gli americani che sono i più forti, ma si chiama anche terrorismo, guerriglia, resistenza… Gli Stati Uniti usano la parola terrorismo per cercare di coinvolgere altri paesi”. Il maresciallo polemizza anche con il ministro della difesa. “Martino – prosegue Pallotta – ha detto che questo è il nostro 11 settembre. Noi invece non vogliamo che l’Iraq diventi il nostro Vietnam. Chiediamo quindi un dibattito politico sulla missione per decidere se questa è una guerra. E quel punto saranno altri gli uomini e i mezzi impiegati, non dei semplici padri di famigli convinti di essere lì per la pace o per mantenerla”.Ma se l’Italia dichiarasse la guerra non violerebbe l’articolo 11 della Costituzione? “Certo – risponde il maresciallo Pallotta – Sarebbe necessario il mandato dell’Onu, come per la guerra del Golfo nel `91 e più avanti per la Bosnia”. E in quel caso dovrebbe toccare ai carabinieri? “Ma no. I carabinieri sono organo di polizia militare e dovrebbero occuparsi soltanto dei reati eventualmente commessi dai nostri militari. Per il resto possono partecipare a operazioni di peacekeeping a tutela dell’ordine e della sicurezza, ma solo in situazioni diverse da quella irachena attuale. Il problema, insomma, dovrebbe porsi in un secondo momento. E comunque per la guerra non siamo attrezzati: non abbiamo obici semoventi, né missili, né aerei. I nostri blindati non bastano”. In Iraq, oltre ai paracadutisti e agli altri specialisti della guerra, sono andati anche decine di carabinieri dei reparti territoriali, attirati dalle cospicue indennità di rischio (98 per cento dello stipendio) ma forse (il comando nega) non del tutto preparati alla situazione.Pallotta è scomodo perché le sue parole colpiscono la strategia dei vertici dell’Arma, che invece scommettono parecchio sulla Seconda brigata mobile che riunisce i parà del Tuscania, i reggimenti speciali di Laives e Gorizia e gli uomini del Gis. Le missioni all’estero, per la Benemerita, vogliono dire soldi, prestigio e ruolo internazionale, tant’è che i carabinieri sono arrivati in Iraq prima ancora dell’esercito e i loro generali, se potessero, ne manderebbero molti di più degli attuali 350 (su 2400 militari italiani). Pallotta su tutto ciò non si esprime. Ricorda solo che “il parlamento europeo, più di una volta, ha approvato raccomandazioni che chiedono la smilitarizzazione delle forze di polizia”.Per la polizia la riforma c’è stata nel 1981. I carabinieri invece mantengono l’ordinamento militare che impedisce loro di parlare, se non altro attraverso liberi sindacati come quelli dei poliziotti. Pallotta le sue battaglie le ha pagate a caro prezzo: nel febbraio del `93, quando insieme a un gruppo di carabinieri democratici fondò l’associazione Unarma, il maresciallo in pochi giorni venne deferito alla commissione di disciplina e rischiò la radiazione. E dopo anni di pressioni, nel 2001, il Consiglio di Stato ha deciso che Unarma aveva “natura sindacale” e che pertanto era “legittimo” applicare le sanzioni previste dalla legge 382/1978 che vieta l’iscrizione dei militari di professione alle associazioni sindacali. Le adesioni, così, si sono fermate a quota tremila. “Eravamo – racconta Pallotta – un luogo di libero dibattito e di confronto tra carabinieri”. Sarebbero potuti arrivare a decine di migliaia, raccogliendo una bella fetta dei 112 mila carabinieri esistenti in Italia. Per questo è calata la mannaia del Consiglio di Stato, nell’assordante silenzio del centrosinistra al governo. Contro la decisione Unarma ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani, la cui pronuncia è attesa nel 2004. E intanto Pallotta ha subito attacchi di ogni tipo, dai comandi dell’Arma e da alcune procure (militari e non).All’indomani del massacro di Nassiriya Pallotta e i responsabili del Sindacato carabinieri in congedo (Sinacc) hanno chiesto il ritiro del contingente (i comunicati sono in rete: www.nsd.it). E il primo a reagire è stato il Cocer: “E’ un tentativo di strumentalizzazione di poveri ragazzi deceduti che hanno invece bisogno solo di pietà e, soprattutto, di rispetto”. E’ un organo istituzionale, il Cocer, l’esatto opposto di un sindacato: lo presiede un generale che era iscritto alla P2, Serafino Liberati, e oggi (oltre a rappresentare la truppa) comanda il Raggruppamento investigazioni scientifiche dal quale dipende il Ris di Parma. “Pallotta parla a titolo personale”, dicono i generali. Il comando ha diramato una nota che potrebbe preludere ad azioni disciplinari, facendo sapere che le parole del maresciallo “non rappresentano nel modo più assoluto il pensiero del comando generale, né quello di tutto il personale dell’Arma”. Replica Pallotta: “E’ risibile, non ho mai parlato a nome dell’Arma. Esistono le rappresentanze militari e io ne faccio parte. Mi sembra che il comando commetta lo stesso errore che imputa a me: nemmeno il comando, infatti, è proprietario del pensiero dei carabinieri”.

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