27 Aprile 2007

Buone notizie da Foggia

Cara Vita e cara Federica,
ho letto le news della libreria delle donne e discuendo con Katia ed Antonietta riflettevamo sul fatto che davvero qualcosa sta cambiando. Un’esperienza analoga alla vostra l’abbiamo vissuta qui a Foggia il 23 marzo 2007 in occasione di un Convegno organizzato dal Centro Studi di Genere dell’Università degli Studi di Foggia. Negli incontri preparatori cui partecipavano oltre a La Merlettaia varie Associazioni femminili, tutte proiettate sulle pari opportunità, la discussione spesso è stata vivace: emancipazione, genere, parità sembravano capisaldi ineludibili. Pian piano nel corso degli incontri, facendo riferimento alla comunità di Diotima, alle riflessioni, anche pubbliche, che nel corso degli anni abbiamo fatto sulla lingua fino a quella più recente su Lingua bene comune, alla rivoluzione incruenta ma sostanziale che le donne hanno compiuto in questi anni, alla nuova consapevolezza anche di alcuni uomini, è avvenuto uno spostamento. In particolare in occasione dell’incontro definitivo, quando bisognava decidere l’adesione con il logo dell’associazione, ho pensato di definire per iscritto, via e-mail, quei punti che ritenevamo pregiudiziali per la nostra partecipazione indicandoli così:
“Osservazioni riguardo al progetto Casa Internazionale delle donne
Ricorre frequentemente l’espressione ” cultura di genere”.
In merito rilevo che la definizione, che apparentemente sembra voler accogliere la specificità femminile per esaltarla, in realtà è monca della differenza maschile. Infatti i generi sono due: maschio e femmina, uomo e donna.
Parlare solo di un genere finisce per relegare le donne in una categoria aggiuntiva rispetto alla cultura egemone, quindi, maschile. Se si mette in campo una differenza immediatamente si mette in campo anche l’altra. Se riflettiamo, quando si ha a che fare con gli uomini nelle relazioni d’amore, di convivenza, di maternità/paternità c’è necessità di ragionare in termini di differenza, ma quando si passa ad ambiti cognitivi ed operativi i paradigmi diventano neutri, ovvero maschili. Le riflessioni maturate dalle pensatrici, specie nel secondo novecento, da Irigaray a Muraro, hanno messo in luce come non è più sufficiente aggiungere una lista di donne letterate, artiste, professioniste etc. al canone maschile, occorre invece rivedere l’intera struttura del sapere alla luce della ritrovata consapevolezza di essere donne e di essere uomini.
Questa riformulazione è già una rielaborazione culturale. In questa luce sarebbe opportuno un confronto più approfondito e serrato di quello fin qui fatto.
Conseguentemente a quanto detto appare inadeguata l’espressione ” cultura della parità” La parola Parità è espressione dell’ordine simbolico patriarcale e fa riferimento ad un livello superiore da raggiungere. Pensare la differenza femminile significa invece far riferimento ad un ordine simbolico femminile, quello della madre, che è basato sulla relazione, sullo scambio ed è fluida ed aperta all’imprevisto. La cultura della parità deve, pertanto, divenire cultura della differenza per superare le diseguaglianze tra donne ed uomini esaltando la differenza tra essere donna ed essere uomini per il contributo che uomini e donne danno per il sapere e per lo sviluppo della società. Un esempio del cambiamento in atto nella società ci viene dalle recenti riflessioni sulla violenza sulle donne, inaugurate quando alcuni uomini, giornalisti e scrittori, hanno inviato una lettera aperta ad un quotidiano sentendosi coinvolti in quanto uomini, avvertendo il bisogno di riflettere su di sé, sentendosi pur se non personalmente colpevoli, coinvolti dal loro essere maschi, invitando gli altri a riflettere su piccoli comportamenti, gesti, modi di dire e di pensare che progressivamente conducono ad una mentalità della sopraffazione ed all’estremo dello stupro.”
Tutte ed in particolare le rappresentanti dell’università, hanno accolto le nostre riflessioni sulla differenza proponendo di lavorare insieme a progetti, sul lavoro femminile, sulla costituzione di una casa internazionale delle donne avviando un cambiamento a partire dal linguaggio. Riconoscimento concreto a questo processo è stato dato pubblicamente nel giorno del Convegno proprio dalla professoressa Franca Pinto Minerva, Preside della facoltà di lettere, pedagogista e coordinatrice degli studi di genere, che ha modulato tutti i suoi interventi sulla possibilità-necessità di aprirsi all’altro/a portando la propria differenza per lavorare insieme a costruire un mondo di donne e uomini mutuali. Un risultato insperato. So bene che non mancheranno difficoltà ma questo inizio apre uno squarcio.
Ho voluto dirvelo perché è un riscontro di quello che ho letto nella vostra lettera e non potrà non farvi piacere.

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