12 Dicembre 2007
il manifesto

«Caro Prodi, questa è la vostra ultima chance per intervenire»

Cinzia Bottene, del presidio permanente accusa: «Ora media e politici tentano di oscurarci, ma sarà un grande corteo. Il governo è avvisato»


Alla vigilia della tre giorni europea Cinzia Bottene del presidio permanente traccia un parallelo tra la vigilia della grande manifestazione del 17 febbraio scorso e questa. «Allora – dice – c’era stata una campagna terroristica, la stampa aveva addirittura ventilato ipotetitici collegamenti tra le nuove Br e il popolo del no Dal Molin». Questa però è una vigilia diversa.

 

In che senso?
Se prima del 17 febbraio il clima era quello della caccia alle streghe e dei tentativi di disincentivare la partecipazione popolare con la paura, oggi ci troviamo a dover fronteggiare una tattica molto diversa, quella del silenzio. Una tattica per certi versi molto più subdola e pericolosa. Si tace, si punta sul silenzio per disincentivare la partecipazione. E non parlare è molto pericoloso. Nonostante il silenzio le adesioni continuano a moltiplicarsi e la partecipazione alla manifestazione di sabato si prevede molto ampia. I segnali sono questi. Spero davvero che sia così perché sarebbe la più bella dimostrazione di un’altra vittoria della gente. E quindi delle pratiche democratiche.

 

Come vanno i preparativi?
Ero di turno al presidio l’altra sera e seduta attorno al fuoco mi guardavo intorno. L’allestimento del secondo presidio è quasi completato. Si lavora senza sosta per rendere i due presidi ospitali e attrezzati. Mi è venuto un po’ un nodo alla gola perché ho pensato che come al solito siamo al lavoro fino all’ultimo. Ma penso che anche questa volta ce la faremo. Grazie al lavoro di tanti volontari, uomini e donne di questa città che non hanno intenzione di mollare. Lunedì sera c’è stata la protesta all’inaugurazione del nuovo teatro cittadino. Un’altra tappa nella battaglia contro la costruzione della nuova base. Non a caso lo striscione che è stato esposto, assieme alle cento croci di legno bianche, diceva «un teatro per pochi, una base di guerra per tutti». La protesta è stata una vittoria. Abbiamo costretto ad una prima teatrale blindata. Abbiamo scelto una forma soft per dire la nostra perché non contestavamo l’apertura del teatro, che anzi questa città aspettava da sessant’anni. Credo che se siamo arrivati al punto di trovarci di fronte alla prospettiva della costruzione di una nuova base militare è anche per l’assenza di questo teatro. Voglio dire che per sessant’anni questa città non ha avuto un luogo dove fare cultura. Due generazioni in questa città sono cresciute senza un teatro, quindi senza un luogo dove produrre una cultura altra. L’immagine che più mi ha rattristato, che più ho trovato stonata è stata quella del vescovo di questa città. Un pastore che dovrebbe essere fuori, tra la gente in lotta per la pace e che invece brilla per il suo silenzio totale sulla nuova base al Dal Molin. Si è fatto fotografare non tra la gente che chiede pace ma tra signore in pelliccia e gioielli.

 

Siete reduci dalla trasferta romana dove avete portato le vostre richieste alla convention della cosa rossa. Qualche risposta?
Anche qui, silenzio totale. Nessuno si è fatto vivo. Non i ministri, non i parlamentari del centro sinistra che pure sul palco a Roma sono saliti. Sono pronti a farsi riprendere sotto le luci dei riflettori ma spariscono appena le luci si spengono. Speriamo almeno di ottenere un risultato sulla questione dei treni che è una questione di democrazia. Finora nemmeno su questo abbiamo avuto garanzie o contatti, ma credo che sia il minimo consentire alla gente di partecipare alla manifestazione di sabato. Come ho detto anche a Roma nel mio intervento, spero davvero che il governo si accorga che questo è l’ultimo momento utile per intervenire sul Dal Molin. Ho chiesto ai parlamentari di rialzare la testa, di ricominciare a battersi per i loro ideali che sono i nostri e quelli di tanta gente in questo paese.

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