1 Aprile 2004
Il paese delle donne

Contributo di Francesca Koch

Francesca Koch Società Italiana delle Storiche

Vorrei esprimere qualche riflessione in margine alla concezione di eroi e di eroismo, che si sta celebrando nel nostro paese per l’insistenza governativa e mediatica su stereotipi che speravamo ormai superati. Più di altre, la trasmissione “L’infedele” di sabato 24 “Morire per l’Iraq?” ha offerto alcuni interessanti spunti problematici. Il titolo (evidente citazione della domanda che gli europei si fecero negli anni ’40, se era giusto “morire per Danzica”) alludeva ai comportamenti dei militari italiani nelle vicende belliche del novecento, alle loro prove di coraggio, alla loro presunta capacità di maggior umanità, alle accuse di viltà che i soldati italiani subirono in occasioni di disfatte come quella di Caporetto. La trasmissione ha cercato, anche se forse non abbastanza, di prendere le distanze dal mito del “buon italiano”; sarebbe stata sufficiente una maggiore attenzione alle colpe e alle atrocità di cui si sono resi responsabili gli italiani nella guerre coloniali fasciste (questione peraltro sollevata da un puntuale intervento di Catalano) o viceversa, ricordare l’ eroismo e il coraggio dei 600.000 militari internati nei campi di prigionia nazisti dopo il 1943, per accennare alla complessità e alla pluralità dei comportamenti.

E tuttavia, c’è un punto di questo dibattito che mi preme particolarmente sottolineare e che riguarda la declinazione stessa dell’eroismo, visto ancora all’interno di comportamenti militari, aggressivi o di difesa; come giustamente hanno fatto notare alcune donne presenti, grazie alla loro esperienza di pratiche di pace nei luoghi di conflitto(Anna Fazi, Simona Pari) e alla lunga riflessione storiografica (Anna Bravo), altre sono le nostre aspettative quando parliamo di eroismo.

A differenza dell’enfasi sui gesti individuali, eccezionali e astratti, sostanzialmente poco attenti alla tutela della vita, propria e altrui, con cui si celebrano gli eroi, queste voci hanno posto l’accento sulla necessità di spostare l’osservazione sui comportamenti quotidiani, portatori delle virtù civili (il rispetto per l’altro, la dignità, la capacità di cura, la relazione..) la cui pratica (lo ha ricordato Ermanno Olmi) è l’unica capace di creare dialogo e convivenza.

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