4 Febbraio 2007

Corpo, sessualità e salute: riflessioni tra ieri e oggi

Dal sito della Libera Università delle donne

Seminario A partire da …… Letture d’archivio e testimonianze sulle lotte di liberazione delle donne a partire dal corpo/identità di genere.

Roma 27 gennaio 2007 ore 10.00 – 18.00
Casa Internazionale delle Donne Via della Lungara, 19 Roma
(Ingresso Via della Penitenza, 37 II piano)

 

Relazione di Sonia e Maria Grazia (gruppo donne CSOA Ex Snia Viscosa);
Emanuela Rita e Olivia (Assemblea femminista di Via dei Volsci 22)

 

La proposta di partecipare alla costruzione di un convegno sulla sessualità a partire dalla lettura di documenti d’archivio ci è arrivata nel momento in cui cercavamo di precisare i contorni di una riflessione sul corpo che tenesse insieme la sessualità e la salute ed alcune di noi (le scriventi, quelle che partecipano a questo convegno) hanno visto in questo convegno un’occasione di scambio con altri gruppi di donne di età ed esperienze diverse su un tema che ci sembrava difficile affrontare.
Il nostro primo istinto è stato quello di impostare la nostra partecipazione a partire da un confronto tra esperienze politiche: quelle che facciamo noi oggi e quelle che hanno fatto le donne che hanno scritto quei documenti. Primo passo è stato dunque quello di provare a raccontarci, a raccontare i gruppi di cui facciamo parte.
I nostri rispettivi gruppi (alcune di noi fanno parte dell’assemblea femminista del 22, altre di un gruppo di donne del csoa ex-snia) si sono costituiti proprio per rispondere al sistematico e sempre più insistente attacco all’autonomia delle donne nelle scelte che riguardano la nostra vita e in primo luogo il nostro corpo.
Abbiamo sentito in molte come insostenibile il tentativo a livello regionale di stravolgere l’impianto e la finalità dei consultori familiari e a livello nazionale di legiferare sulla procreazione medicalmente assistita, chiari esempi della volontà di affermare il principio del controllo di stato sui nostri corpi, sui nostri desideri, sulle nostre scelte.
I nostri percorsi e discorsi sulla salute sono partiti da qui, con la consapevolezza quasi immediata che su questo terreno si giocava qualcosa di molto più grosso del semplice “servizio alla persona”: si giocava il tentativo di controllo del nostro corpo e quindi di noi stesse, agito dallo stato (e dalla chiesa), davanti al quale è emerso il nostro bisogno di riappropriarci della prima e dell’ultima parola, il bisogno di conoscere e ascoltare il nostro corpo, nei suoi desideri e nei suoi malesseri, il bisogno di non vivere più passivamente il rapporto con la medicina e con le istituzioni mediche, interrogandole e controllandole, informandoci, parlando tra di noi, costruendo un nostro sapere basato sulle esperienze. In questo anno abbiamo seguito l’attività di vari consultori e della consulta, abbiamo monitorato l’attività dei prontosoccorso nell’obiettivo di sapere e sperimentare in prima persona le difficoltà che ogni donna incontra anche nella semplice richiesta di un servizio come la contraccezione d’emergenza, abbiamo creato occasioni di confronto con ginecologhe e operatrici dei consultori. Abbiamo sentito il bisogno di condividere questo sapere pubblicamente, anche con donne non interne a percorsi politici o che non frequentano luoghi dove è possibile informarsi o confrontarsi su queste tematiche, e abbiamo tentato di avviare un dialogo che fosse una nuova fonte di conoscenza per tutte: abbiamo prodotto e diffuso opuscoli e questionari, organizzato iniziative nelle piazze, occupato simbolicamente alcuni consultori in varie zone di Roma.
Il nesso tra il tema della salute intesa come riappropriazione del corpo e la sessualità ci è apparso, nei nostri percorsi, via via più chiaro e imprescindibile. E tuttavia ci sembra che tanto nella nostra esperienza quanto in quella di altri gruppi e collettivi femministi un discorso radicale ed esplicito sul tema della sessualità sia mancato. Abbiamo così letto con interesse i documenti che ci sono stati sottoposti. La lettura è stata guidata da un interrogativo di fondo: come veniva affrontato dal movimento femminista degli anni ‘70-‘80 il discorso sulla sessualità? Con che linguaggio, con quali contenuti, quali consapevolezze o difficoltà, quale concretezza, quali proposte di azione e trasformazione dell’esistente? Ragionare su questo ci ha portate contemporaneamente a chiarirci sulle modalità con cui no\i, femministe del 2000 (senza movimento), stiamo affrontando il discorso sulla sessualità nel nostro percorso politico e personale.
Una delle prime considerazioni che ci sentiamo di fare è che il nostro discorso sulla sessualità è cambiato mentre lo affrontavamo, mettendo in discussione le nostre concezioni e dandoci una nuova (ma non definitiva) consapevolezza politica.
In questo senso i testi letti (estratti di documenti di Carla Lonzi, Lea Melandri, Cloti, il Movimento femminista romano, il Consultorio autogestito di San Lorenzo, il Crac, il Cli) ci forniscono la testimonianza della netta presenza di un discorso “pubblico” sulla sessualità, a fronte dell’assenza di questo discorso nella nostra azione politica. Non che oggi di sessualità non si parli, ma questo discorso fatichiamo a portarlo avanti con continuità e soprattutto fatichiamo a portarlo all’esterno dei nostri luoghi protetti e a renderlo visibile. I documenti invece ci parlano di un discorso essenziale, sostanza del femminismo, punto di partenza della presa di coscienza delle donne sull’oppressione subita nelle relazioni sessuali e sociali codificate e vero momento di rottura. Il linguaggio di questi documenti ci colpisce: è diretto, immediato, forte, non usa giri di parole per sfumare e addolcire i contenuti, non si preoccupa delle reazioni delle interlocutrici, delle fratture che può provocare, della difficoltà di comunicazione con altre donne, delle contraddizioni delle vite delle singole. Anzi, parla proprio a quelle contraddizioni, è provocatorio, segna la fine dell’epoca delle mediazioni, dell’accettazione, del mancato rispetto di sé. E’ un linguaggio radicale che esprime un’analisi radicale, frutto di un percorso collettivo di presa di coscienza basata sullo scambio di esperienze.
Ci siamo chieste: quest’analisi è la nostra analisi, questo linguaggio è il nostro linguaggio? Leggendo questi documenti sentiamo di condividerne il messaggio e l’impianto, il linguaggio ci colpisce e ci affascina, ci sentiamo parte di una storia comune, però conosciamo la differenza dei nostri discorsi, del nostro linguaggio e del nostro percorso politico. I documenti con cui sentiamo una maggiore vicinanza sono quelli legati alle attività dei consultori autogestiti, a una pratica territoriale, alla pratica dell’aborto, ma quelli che ci interrogano di più e ci mettono più in discussione sono gli altri, quelli che ci parlano di sessualità, di piacere e di relazioni, che ci propongono una lettura dei rapporti tra i generi e un’analisi dell’oppressione e delle violenze subite dalle donne senza ricorrere a giri di parole o di pensieri.
C’è un aspetto in particolare, presente o presupposto in tutti i documenti proposti, su cui si è concentrata la nostra riflessione, cioè la messa in discussione della sessualità maschile procreativa imposta in quanto norma sessuale e l’individuazione della responsabilità dell’uomo nel provocare gravidanze non volute.
E’ chiaro quanto questo discorso sia alla base di una lettura di genere della sessualità, delle relazioni e dei rapporti sociali e quanto non venga mai esplicitato in questa forma chiara nei nostri percorsi politici. Da sempre siamo abituate a porci in un atteggiamento di difesa nei nostri rapporti eterosessuali, assumendo il carico e la responsabilità della contraccezione, sapendo di non poterci fidare dell’altro con cui pure la maggior parte di noi sceglie di avere un rapporto intimo e di amore. Questa nostra assunzione di responsabilità nella contraccezione viene sicuramente da una presa di coscienza collettiva di alcune dinamiche interne alle relazioni, però è ancora chiaramente un palliativo. Nonostante la sessualità procreativa non ci appartenga, ne assumiamo psicologicamente e fisicamente le conseguenze affidandoci a noi stesse, alla nostra coscienza e al nostro senso di responsabilità e cercando di limitare i danni della sopraffazione che subiamo. Ci sembra che questo atteggiamento di difesa invece che di conflitto accomuni negli ultimi anni molti percorsi di donne e femministe: la nostra voce esce fuori pubblicamente e collettivamente nella difesa dei diritti e degli spazi di autonomia conquistati nelle lotte passate ma non esprime necessariamente una critica radicale dei rapporti tra i generi, anzi troppo spesso gli uomini sono chiamati a condividere i nostri percorsi e i nostri momenti di lotta, come se nel frattempo i rapporti tra i generi si fossero effettivamente trasformati.
È stato a partire da queste considerazioni che ci siamo interrogate su quella che secondo noi è una difficoltà diffusa non tanto a parlare di sessualità, quanto a farlo a partire dalle proprie esperienze concrete, che possono essere molto differenti e potenzialmente conflittuali. Ci siamo domandate se questo non sia in parte da attribuire al fatto che negli anni è venuta a mancare al femminismo una pratica di movimento che permetteva l’incontro ed il confronto tra donne portatrici di storia, bisogni e consapevolezze differenti. Ci sembra che dopo le rotture dirompenti di cui ci parlano, tra gli altri, i documenti che abbiamo letto, ci sia stata in qualche modo un’evoluzione in senso teorico della discussione sulla sessualità a scapito della pratica del confronto concreto, anche conflittuale, sulle esperienze.
Ci siamo anche domandate se l’abbandono di pratiche fondate sulla concretezza dei corpi, come ad esempio il self-help, sia parte di questo processo. Pur avendo avviato nelle nostre realtà un percorso sul corpo e sulla sua riappropriazione, soprattutto a partire dal controllo sulla nostra salute, non abbiamo mai praticato il self-help. Ci siamo confrontate con il dominio totalizzante che il potere medico agisce sul corpo delle donne, pretendendo di detenere il monopolio dei saperi su di esso, e ci siamo rese conto che riappropriarci della conoscenza e del rapporto intimo con il nostro corpo è un momento fondamentale della nostra presa di coscienza personale e politica: in questo senso la pratica del self-help, nata all’interno di un movimento più ampio che aveva alla base l’idea della riappropriazione, consente da un lato l’assunzione diretta della responsabilità sulla propria salute e la coscienza di possedere una serie di saperi non differibili ad altri soggetti, dall’altro presuppone e contribuisce a creare un rapporto intimo con le altre donne, nella consapevolezza che il nostro corpo è il luogo in cui si incrociano, e spesso si combattono, la dimensione intima e quella delle norme sociali. Questa pratica ci affascina, la immaginiamo come possibile e al tempo stesso ci spaventa perché ci propone da un lato un’intimità e una condivisione, dall’altro una fiducia nelle nostre possibilità conoscitive a cui non siamo abituate, forse a cui collettivamente non siamo pronte: la medicalizzazione del corpo e di molte esperienze della nostra vita che ci viene trasmessa/imposta quotidianamente, ci fa sentire profondamente insicure nel momento in cui proviamo a rinunciare alla parola dell’“esperto” ma non abbiamo ancora un nostro sapere di riferimento.
Altre questioni ci sembrano poi assolutamente interne a un discorso sulla sessualità – che è un prodotto sociale e culturale – ma anche estremamente problematiche, proprio perché mettono in gioco questioni intime e profonde:
– il corpo è il luogo in cui vengono incorporate ansie che spesso si traducono nel terrore della malattia, dell’ammalarsi. Abbiamo riscontrato come la percezione del corpo e della sessualità sia legata al pensiero di malattie come l’Aids (che rende più difficile godere di una sessualità libera, per esempio una serie di esperienze come i rapporti orali vengono vissuti con ansia e timore) o come il cancro, che nella donna colpisce con maggior frequenza proprio i punti del corpo associati al piacere e che su un piano culturale e simbolico definiscono in questa società l’“essere donna” (il seno, l’utero-vagina).
– a fronte di un discorso di “liberazione” sulla sessualità e della liberalizzazione dei costumi nella nostra società, ci ritroviamo a fare i conti con una sessualità che a livello mediatico è sempre più pervasiva, esibita, falsamente disinibita, merce di scambio, o merce per vendere altra merce, che crea una norma “corporea”, un modello che più o meno coscientemente entra in gioco nella relazione con il proprio corpo.
– parlare di sessualità significa parlare di relazioni, e dunque del confronto e dei conflitti con l’altro/altra: qui entrano in gioco le esperienze ed emozioni rimosse, le pratiche di dominio o sottomissione, il bisogno di fusione con l’altro/altra che annulla la coscienza della soggettività individuale, la sopportazione o l’accettazione di ciò che sappiamo non dovremmo sopportare né accettare, le ansie da prestazione, la sessualità come mezzo di riconciliazione o di scambio, l’accettazione di standard sessuali considerati presupposto di una relazione felice, ecc…
– la famiglia è poi, ancora oggi, quel nucleo in cui la donna deve assumersi la responsabilità di un’incessante attività di cura resa tanto più necessaria e disperata dallo smantellamento dello stato sociale, elemento fragile del mercato del lavoro, corpo funzionale e non desiderante, che non deve avere tra le sue aspirazioni primarie quelle dell’appagamento di sé.
– la tendenza all’individualizzazione del rapporto con i propri problemi e difficoltà (psicologici, di relazione, sessuali ecc.) considerati come qualcosa di privato e quindi non socializzabile. Non riconoscendo, o non volendo riconoscere, la matrice comune e di genere della maggior parte di essi, ci si affida più facilmente all’esperto che ai discorsi e alla pratica tra donne.

 

Avviare un confronto sulla sessualità che superi queste difficoltà presupporrebbe uno spazio in discussione in cui sia praticabile sul lungo periodo un percorso di presa di coscienza. Questo richiederebbe alcune condizioni che nei nostri gruppi in questo momento non si verificano: ad esempio un numero ristretto e stabile di donne partecipanti, o la chiusura verso l’esterno che consenta una maggiore intimità e che ci faccia sentire interne a un percorso di crescita comune. La scelta di questa pratica rimane per il momento nei nostri gruppi una questione aperta.
Per concludere ci sembra che, attraverso il confronto di questi mesi tra di noi e con i documenti, il nostro dibattito si sia orientato intorno a due nodi centrali:
1) il potere della “norma” nelle nostre esistenze e nella percezione di sé.
Ciò che si allontana dal modello socialmente dominante diventa patologico, anormale. Il paradigma “della norma”, al di fuori del quale risulta arduo percepirsi, viene a essere in-corporato cioè inserito dentro di sé senza mediazione critica, creando un bisogno di adesione allo standard.
E’ a partire da questa riflessione che ci sembra necessario sperimentare il tentativo di pensare il corpo al di fuori dei modelli (medico, estetico, sessuale, ecc…) e, in quest’ottica, la messa in comune di esperienze e percezioni che partano dalla propria storia diventa parte centrale di un percorso di lotta e cambiamento.
2) il corpo e la sessualità come luogo di passaggio tra l’individuale e il sociale.
Abbiamo sperimentato la difficoltà a parlare di sessualità se non all’interno di una più ampia riflessione sulla realtà (sulle relazioni, sui rapporti sociali). Per questo parlare della nostra sessualità significa, per esempio, confrontarsi con la violenza che, anche solo a livello di immaginario, tende a essere prodotta e riprodotta nelle nostre relazioni. Ci sembra quindi che un discorso sulla sessualità per essere realmente dirompente debba essere inserito all’interno di pratiche che mettano in discussione in modo più ampio l’esistente.

 

 

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