10 Maggio 2022
Facebook

Non uno di meno

di Peter Freeman


Per quattro giorni le donne di Rimini sono state esposte alla cultura dello stupro. Senza difesa e senza altro riparo che starsene chiuse in casa. È accaduto durante il raduno nazionale degli Alpini nel corso del quale 400mila maschi sono calati in città e una parte di loro, secondo la più classica logica del branco, si è sentita libera di esprimere la propria idea della donna e della virilità maschile. Alcool e libagioni hanno fatto il resto, e questo non rappresenta in alcun modo un’attenuante.

Qualche testimonianza:

«Mentre tornavo a casa mi hanno fermato e al mio categorico no al loro invito a ballare mi hanno detto: scopa di più. Mi hanno fischiato, hanno cercato di abbracciarmi e toccarmi ovunque, mi hanno detto che ero una “bella passerotta giovane”. Mi sono sentita male, malissimo, tanto da piangere per tutto il tragitto».

«Sono una barista riminese. Un alpino ha provato a leccarmi sulla bocca mentre prendevo un ordine al tavolo, uno ha mimato un atto sessuale mentre mi giravo per sparecchiare. Un altro mi ha spinto in modo da farmi sedere sulle sue ginocchia. I commenti neanche li conto perché sarebbero troppi».

«Sono stata insultata per tutta la giornata, io rispondevo a tutti perché sono fatta così e mi faccio rispettare. Sino a che uno di loro è stato particolarmente pesante, io inizio a insultarlo, lui mi prende e mi dà uno schiaffo facendomi cadere».

«Ero arrivata al punto che dovevo tenermi la borsa per proteggermi il sedere e mettermi il braccio davanti al seno. Successivamente siamo andate a Marina centro, in una stradina interna siamo state seguite da tre signori sulla sessantina che ci urlavano quanto fosse possente il loro membro… un carabiniere li ha fatti allontanare. Al ritorno, ero da sola, benché al telefono con un amico: mi ha fermata uno di loro per chiedermi come raggiungere la ruota panoramica, si è presentato e quando ho dato la mano per salutare me l’ha presa e attirata contro il suo membro, io l’ho spintonato e mi sono messa a correre verso casa».

«Ci riprendevano col telefonino e commentavano: quanto siete puttane, se potessimo scoparvi».

Testimonianza di una receptionist: «dodici alpini che volevano portarmi in doccia con loro: e non so come sarebbe finita se non fosse intervenuto il mio collega, maschio».

«Per tre giorni mi hanno detto di tutto. Se mi sporgevo per passare i piatti in cucina mi sentivo urlare “che sport fai per avere questo bel culo?”».

«Sono entrata in un bar alle 8 di mattina e tre alpini ubriachi mi hanno accerchiata. Hanno iniziato a tirarmi per la giacca e a toccarmi. Nessuno intorno a me ha detto niente».

«Ero in bicicletta, mi hanno fermata e hanno cercato di farmi entrare in un capannone».

«Si muovevano in branco, si sentivano forti della penna nera in testa e hanno potuto fare quello che volevano senza che nessuno dicesse niente».

«Avevo la mascherina e hanno cominciato a gridarmi di toglierla. Poi sono passati ai commenti fisici: avevo una giacca larga e loro mi hanno toccato la pancia chiedendomi se ero incinta. Mi sono divincolata e ho dovuto farmi spazio con i gomiti per riuscire a liberarmi. Allora mi hanno gridato che sono “frigida”. Mi hanno lasciata in pace solo perché è entrata un’altra ragazza e si sono spostati verso di lei».

Le testimonianze di questo tenore sono più di 150 e sono state raccolte dalle donne di Non Una di Meno che già avevano raccolto denunce in occasione di un altro raduno nazionale degli alpini tenutosi a Trento.

Le reazioni “istituzionali”, come sempre accade in queste circostanze, sono semplicemente desolanti. Per il Ministro della Difesa, Guerini, i comportamenti denunciati «sono gravissimi», ma «sarebbe sbagliato fare generalizzazioni». Manca la frase rituale sulle “poche mele marce” ma prima o poi arriverà.

Il sindaco di Rimini, che non si è accorto proprio di nulla, non lui e nemmeno le forze dell’ordine, parla di “sfida vinta” con riferimento agli incassi.

Salvini, vabbè, lui sta con gli alpini: sono voti, quelli.

Per raschiare il fondo del barile bisogna però andare alla presa di posizione dell’Associazione Nazionale Alpini, il cui presidente, Sebastiano Favero, ha rilasciato le seguenti perle:

«Ho chiesto se ci fossero state denunce. La risposta è stata negativa. È chiaro che se ci sono denunce circoscritte e circostanziate prenderemo provvedimenti, ma al momento non ne risultano. Vogliamo i fatti». E dunque: no stupro, no fatti. Ma soprattutto: «Ci sono centinaia, se non migliaia, di giovani che pur non essendo alpini, approfittano della situazione e a costoro, per mescolarsi alla grande festa, basta infatti comperare un cappello alpino, per quanto non originale, su qualunque bancarella».

I soliti infiltrati. Molti.

Ecco, una domanda a Favero andrebbe posta. Perché mai tutti questi infiltrati, porci, violenti, maleducati, ubriaconi, molestatori seriali, cultori della “bella passerotta” da palpare e inseguire per strada, si sono precipitati proprio a Rimini? Quale ambiente pensavano di trovare lì, a un raduno nazionale degli alpini? Perché lì e non, invece, a un raduno nazionale delle ACLI?

Forse perché in un posto in cui circola un Ape Car con la scritta “Viva la gnocca”, o è esibito uno striscione “Arrivano gli alpini, f**a a nastro”, o dal palco si scandisce lo slogan “Stiamo sempre sulle cime, ma quando scendiamo a valle, attente ragazzine”, l’infiltrato respira un’aria di casa, avverte una certa disponibilità ambientale.

Chi scrive è cresciuto da ragazzo in una zona pedemontana dove aver fatto il servizio militare nel corpo degli alpini era ed è considerato un merito, ed è stato testimone diretto di almeno due raduni nazionali dell’ANA. Dunque non ha nulla contro gli alpini. Ma ricorda bene una delle canzoni che venivano talvolta cantate a quei raduni, e una strofa in particolare: «Quando che ci fu la guerra / contro l’Inghilterra e insieme alla Germania / le vulve fuggivano “zigando” Viva l’Italia e gli alpin». Ecco.

Concludo con una considerazione. Vorrei che fossero gli uomini, soprattutto gli uomini, a imbestialirsi per quello che è accaduto a Rimini. Perché è giunta l’ora di marcare la distanza da questo branco di maschi stronzi. Senza alcuna ambiguità.


Peter Freeman è giornalista (a il manifesto dal 1988 al 1999, poi collaboratore di altre testate e di Rai Cultura e Rai Storia)


(Facebook, 10 maggio 2022)

Print Friendly, PDF & Email