11 Luglio 2006
il manifesto

Di madri non ce n’è una sola

Ida Dominijanni

L’antidoto più efficace alla visita del papa a Valencia lo trovate a pagina 30 e seguenti del numero in edicola di Internazionale. E’ un lungo articolo di Susan Dominus tratto dal New York Times Magazine, si intitola Famiglia modello e vale come rovesciamento del «modello famiglia» che Ratzinger e i neocons uniti di tutto il mondo ci vogliono propinare. Attraverso la storia di Ry Russo-Young, 24 anni, seconda delle due figlie di una coppia di donne omosessuali, Dominus disegna il profilo sfumato che la realtà delle famiglie omosessuali sta assumendo negli Stati uniti. E analizzando pezzo per pezzo il puzzle Dominus smonta uno per uno tutti i pregiudizi, negativi e positivi, che gravano sulle coppie gay-lesbian e sulla loro capacità di allevare dei figli. La materia, racconta Dominus, infiamma il dibattito pubblico americano, fa fiorire associazioni pro e contro, dà lavoro a psicologi e sociologi. Da quelle parti il fenomeno ha ben altra consistenza che da noi – il censimento del 2000 contava 150.000 famiglie composte da persone dello stesso sesso con bambini -, «ma proprio adesso che l’ambiente culturale sembra più sereno, quello politico è diventato ipersensibile»: se da una lato a Boston, a Los Angeles e altrove le scuole organizzano mostre su gay e lesbiche famosi, dall’altro l’Arkansas, il Mississippi, lo Utah e la Florida sfornano leggi contro la possibilità per le coppie omosex di adottare bambini o di averne in affidamento. Lì come qui, i conservatori battono duro sostenendo che le convivenze omosessuali danneggiano l’istituzione familiare. E ne cercano le prove monitorando campione su campione i figli di gay e lesbiche, per capire se e quanto si distanziano dai figli di genitori «normali» quanto a successo professionale, equilibrio psicologico, scelte sessuali eccetera: tirati da una parte e dall’altra, i risultati alimentano la guerriglia fra l’ American college of peditricians, associazione reazionaria che tenta di dimostrare che i figli delle coppie gay sono svantaggiati rispetto agli altri, e l’American civil liberties union, associazione libertaria che cerca di dimostrare che sono uguali.
A fronte di questa prevedibile scacchiera della sfera pubblica, la storia di Ry narrata in prima persona spiazza tutte le parti in commedia, dando voce a una differenza che non implica svantaggio ma al contrario apertura di libertà. Giovane regista venuta al mondo nell”82 grazie allo sperma di un amico gay delle madri e all’uso artigianale di una siringa sterilizzata, Ry racconta un’infanzia e un’adolescenza felici, una ironica complicità con le sue due madri ( 23 e 38 anni all’epoca del concepimento), uno slalom neanche tanto difficile fra i piccoli pregiudizi nascosti delle scuole progressiste che ha frequentato. Dove magari non l’aggredivano per la sua famiglia «diversa», ma negavano che potesse essere considerata una vera famiglia. Oppure non osavano denigrare il lesbismo delle sue madri, ma davano per scontato che fosse lesbica anche lei. Che invece è eterosessuale e ha un fidanzato, mentre sua sorella Cade, un anno più grande e anch’essa figlia della provetta, a 16 anni ha comunicato di essere omo. Ry dunque è «normale», il che lungi dal tranquillizzarla la infastidisce: a confronto delle lotte che hanno dovuto sostenere le madri per essere accettate, «ho la sensazione di perdermi qualcosa». Anche se un quarto di secolo dopo quelle lotte possono accadere strane cose rovesciate: ad esempio di trovarsi a Dublino con il fidanzato, tentare di entrare in un locale gay a bere qualcosa ed essere mandata via perché gli eterosessuali non sono graditi. Ma i vantaggi sono più grandi dei piccoli svantaggi: «Mi sento a metà strada fra la cultura omo e quella etero, a volte ho la sensazione di non appartenere a nessuna delle due e mi sento un po’ isolata, ma non cambierei la mia situazione: mi ha dato una prospettiva privilegiata, la capacità di vedere le cose contemporaneamente da tanti punti di vista». La prospettiva da cui guardiame le cose in Italia, invece, privilegiata davvero non è. Nella cartina europea pubblicata da Internazionale, l’Italia è rosa – paesi senza statuto per le coppie omo – in compagnia della Polonia, dell’Ungheria e del Portogallo, tutti gli altri paesi sono rosso chiaro, prevedono cioè i Pacs, o rosso scuro, ammettono cioè il matrimonio fra gay e lesbiche.

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