30 Ottobre 2008
l'Unità

Donne in piazza Madri e figlie: il volto femminile della protesta

Simona Vinci

Tra le tante foto che mi sono passate sotto gli occhi in questi giorni, ce n’è una che mi ha colpita in modo particolare. E’ stata scattata a Pavia e ritrae una ragazza con il megafono in mano, indossa minigonna, stivali e calze a righe colorate mentre sfila in testa a un corteo di studenti. E’ bella, ma normale. E’ giovane, ma è determinata. E’ una ragazza, sì, una femmina, ma si vede benissimo che non ha la minima paura. E’ lei la prima che mi viene in mente, ma è solo una tra le tante ragazze che in questi giorni scendono per strada a opporre ad un decreto -e ora legge- orbo e sordo, la loro giovinezza e il loro legittimo desiderio di una cultura libera e giusta. Sono belle senza eccessi e in niente somiglianti alle veline o letterine alle quali forse troppo spesso rotocalchi e sondaggi vari ci raccontano che vorrebbero assomigliare. In questo autunno in tutti i sensi caldo, le strade italiane si riempiono delle donne vere, quelle che lavorano e che studiano, quelle che vogliono essere orgogliose di ciò che sono. E guardando i loro volti tra la folla, mi viene da pensare che la loro protesta sia un bellissimo modo di mostrare a tutti i piccoli –che siano i loro o di qualcun altro non ha nessuna importanza- che la paura, il silenzio, l’accettazione a testa bassa di ciò che viene dall’alto, oltre a uccidere i sogni uccide anche la realtà. Poetiche e pratiche insieme come sanno essere solo le donne: funambole della vita quotidiana sospese tra sogni e lavoro, conti da far quadrare oggi e paura del domani. Una paura che non atterra, a quanto pare, che non ti chiude in casa ad autocompatirti, ma che invece spinge fuori e in avanti, come un carburante buono. Energia pulita senza scorie inquinanti. Martedì sera, alla vigilia dell’approvazione del decreto Gelmini, la fiaccolata promossa dalle scuole bolognesi era invasa di mamme, nonne e sorelle. Con i lumini in mano e gli striscioni decorati con la sagoma delle manine colorate dei loro bimbi, le guance arrossate e lo sguardo per niente smarrito. Le mie donne emiliane -giovanissime, giovani e meno giovani- redarguivano i ragazzi se manovravano con troppa disinvoltura le torce infuocate, spacchettavano cartocci di biscotti e involti d’alluminio con panini al salame e mortadella da allungare a compagni e bambini – era quasi ora di cena, e i cuccioli quando hanno fame non possono mica aspettare-. Sistemavano cappucci e sciarpine, spingevano a mano le bici tenendo d’occhio i piccoli tra la folla. E intanto intonavano slogan e proteggevano i lumini accesi dalle gocce di pioggia. Tutto questo senza perdere l’equilibrio, perfettamente sincronizzate, ché questa sincronia e questo impegno costante sono la loro legge quotidiana. Eccole qua: donne italiane. Mamme e maestre, studentesse e bambine, il simbolo di un’Italia che non ha la minima intenzione di farsi portare via da sotto il naso, e senza fiatare, quello che è suo di diritto.

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