Simona Vinci
Tra le tante foto che mi sono passate sotto gli occhi in questi giorni, ce n’è una che mi ha colpita in modo particolare. E’ stata scattata a Pavia e ritrae una ragazza con il megafono in mano, indossa minigonna, stivali e calze a righe colorate mentre sfila in testa a un corteo di studenti. E’ bella, ma normale. E’ giovane, ma è determinata. E’ una ragazza, sì, una femmina, ma si vede benissimo che non ha la minima paura. E’ lei la prima che mi viene in mente, ma è solo una tra le tante ragazze che in questi giorni scendono per strada a opporre ad un decreto -e ora legge- orbo e sordo, la loro giovinezza e il loro legittimo desiderio di una cultura libera e giusta. Sono belle senza eccessi e in niente somiglianti alle veline o letterine alle quali forse troppo spesso rotocalchi e sondaggi vari ci raccontano che vorrebbero assomigliare. In questo autunno in tutti i sensi caldo, le strade italiane si riempiono delle donne vere, quelle che lavorano e che studiano, quelle che vogliono essere orgogliose di ciò che sono. E guardando i loro volti tra la folla, mi viene da pensare che la loro protesta sia un bellissimo modo di mostrare a tutti i piccoli –che siano i loro o di qualcun altro non ha nessuna importanza- che la paura, il silenzio, l’accettazione a testa bassa di ciò che viene dall’alto, oltre a uccidere i sogni uccide anche la realtà. Poetiche e pratiche insieme come sanno essere solo le donne: funambole della vita quotidiana sospese tra sogni e lavoro, conti da far quadrare oggi e paura del domani. Una paura che non atterra, a quanto pare, che non ti chiude in casa ad autocompatirti, ma che invece spinge fuori e in avanti, come un carburante buono. Energia pulita senza scorie inquinanti. Martedì sera, alla vigilia dell’approvazione del decreto Gelmini, la fiaccolata promossa dalle scuole bolognesi era invasa di mamme, nonne e sorelle. Con i lumini in mano e gli striscioni decorati con la sagoma delle manine colorate dei loro bimbi, le guance arrossate e lo sguardo per niente smarrito. Le mie donne emiliane -giovanissime, giovani e meno giovani- redarguivano i ragazzi se manovravano con troppa disinvoltura le torce infuocate, spacchettavano cartocci di biscotti e involti d’alluminio con panini al salame e mortadella da allungare a compagni e bambini – era quasi ora di cena, e i cuccioli quando hanno fame non possono mica aspettare-. Sistemavano cappucci e sciarpine, spingevano a mano le bici tenendo d’occhio i piccoli tra la folla. E intanto intonavano slogan e proteggevano i lumini accesi dalle gocce di pioggia. Tutto questo senza perdere l’equilibrio, perfettamente sincronizzate, ché questa sincronia e questo impegno costante sono la loro legge quotidiana. Eccole qua: donne italiane. Mamme e maestre, studentesse e bambine, il simbolo di un’Italia che non ha la minima intenzione di farsi portare via da sotto il naso, e senza fiatare, quello che è suo di diritto.