Inseriamo nella Stanza di storia vivente il testo di Anna Paola Moretti, che rende conto della sua lettura e apprezzamento del numero 3 di DWF 2012, intitolato "La pratica della storia vivente". Lo scritto va oltre i limiti di una recensione perché mostra i legami relazionali che da tempo Anna Paola tiene con la nostra Comunità e l'influenza che la nostra pratica ha avuto su di lei e il suo modo di scrivere storia, che tuttavia mantiene, come si può vedere dai suoi libri - l'ultimo è "La Guerra di Mariulì" (Il Ponte Vecchio 2012), una sua fisionomia originale e inconfondibile creatività nella scrittura
1 Maggio 2013

epifania della STORIA VIVENTE

La memoria che siamo, la storia che scriviamo

di Anna Paola Moretti

 

L’ultimo numero della rivista DWF (n.3/2012) presenta gli scritti della Comunità di Storia Vivente: Marirì Martinengo, Laura Minguzzi, Marina Santini, Luciana Tavernini, raccontano della nuova modalità di scrivere storia che stanno sperimentando e i primi risultati. Un impegno di ricerca esercitato con passione in un percorso di più di vent’anni, che in anni recenti ha trovato un punto di svolta, portando a un “cambiamento radicale di orizzonte simbolico e di metodo”. Agli scritti originati dalla pratica politica si accompagnano poi altri testi, che fanno contesto e aiutano a comprendere.

So di avere un legame con quel pensiero e con le donne che lo hanno messo in parola.

Ho seguito con interesse, da lontano, i resoconti di incontri e riflessioni sulla storia pubblicati generosamente da Donatella Massara sul suo sito donne e conoscenza storica[1] e ricordo di aver riportato un’impressione vivissima dalle parole di Maria-Milagros Rivera a Roma nel 2006, al XII Simposio dell’Associazione Internazionale delle Filosofe. Nel suo intervento sulla storia che riscatta e redime il presente[2], qualcosa mi aveva attratto in modo speciale, tanto da invitarla l’anno seguente a partecipare al ciclo di seminari “La deportazione femminile. Vissuto e pensiero dai lager nazisti”, che stavo organizzando all’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino. In quel percorso, il mio sentire e la mia esperienza di donna alla ricerca delle proprie radici facevano resistenza all’antinomia tra memoria e storia che trovavo riproposta da vari studi accademici: invitai allora anche Marirì Martinengo, che da poco aveva scritto la storia della nonna paterna a partire dai suoi ricordi[3].

Il lievito di quegli incontri ha continuato ad orientarmi in seguito, quando mi è capitato di raccogliere la testimonianza di due donne e di scrivere sulle testimonianze raccolte; la scrittura della vita di altre è stato un approdo recente, legato ad incontri casuali e fortunati, una declinazione inaspettata della mia passione politica. Ho raccolto la testimonianza orale di Irene Kriwcenko, deportata in gioventù nei campi nazisti come lavoratrice coatta e quella scritta di Maria Lasi, che aveva creato un testo familiare per figli e nipoti, dai suoi ricordi di bambina durante la seconda guerra mondiale[4].

Due vite comuni, vite oscure, come le definiva Virginia Wolf, che sono tuttavia coaguli di storia e possibili leve per la comprensione della storia da loro attraversata e di quella che noi oggi attraversiamo: ho quindi assecondato il desiderio di dare eco a quelle testimonianze femminili e di trasportarle nella scena pubblica.

Mi sono posta in ascolto con il filtro delle mie emozioni, in uno scambio di fiducia; ho voluto aver cura delle parole donate cercando per loro elementi di contestualizzazione geografica e storica e mettendole in dialogo con altre; ho fatto coesistere rigore di ricerca e partecipazione emotiva e ho vissuto il mio intervento come una relazione di servizio, come dice Maria Milagros Rivera[5]; per significare la vita delle donne nella memoria collettiva e testimoniare la fecondità del rapporto di amicizia tra donne, consapevolezza di oggi e che riguarda perciò il mio presente.

Per me è stata un’esperienza appagante, dove sono affiorati anche i miei ricordi, che ho lasciato intrecciare liberamente alle loro memorie; l’ascolto dell’altra è anche un modo per dare voce a parti di sé.

Le donne della Comunità di Storia Vivente dicono che la loro pratica parte dall’indagine interiore, per trovare insieme parole adeguate a significare l’esperienza, ma non la indicano come l’unico modo femminile di scrivere storia; tra gli altri possibili indicano infatti il lavoro sulle biografie, quello sulla storia personale, e forse altri modi che potranno ancora presentarsi, perché il processo è in fieri. Ci fanno capire ciò che indicano come imprescindibile e comune.

Tratto comune alla scrittura femminile della storia è che il soggetto che fa ricerca si mette in gioco: l’esperienza personale viene detta e messa in dialogo con le fonti, in un dialogo fedele e perfettamente erudito che fa luce sul legame tra l’esperienza personale e la vocazione della storica, per significarla ed iscriverla nel solco della storia, per dire “qualcosa che il mio presente richiede che sia detto”[6].

Scrittura femminile della storia è quindi scrivere libere dall’antinomia oggettivo/soggettivo, perché “l’oggettività non va confusa con la fedeltà alle fonti e la valutazione critica della loro origine e trasmissione”[7], ma è solo la distanza mortifera che s’interpone tra le donne o uomini che riferiscono di avvenimenti e ciò che avviene in loro; è un ritrarsi del soggetto dal suo tessuto di relazioni, separando la narrazione dell’esperienza che si vive al momento della narrazione dall’esperienza che è stata vissuta, tacendo ciò che la storia raccontata suscita nel corpo vivo di chi racconta.

Storia vivente è allora quella che vive della vita della storica, la quale fa di sé e delle proprie relazioni un documento a cui attingere.

La scrittura femminile della storia esplora il vissuto femminile o maschile degli avvenimenti insieme al loro accadere, senza separazioni. La consapevolezza di questo è un nuovo inizio per la ricerca storica perché modifica la fonte di legittimazione e scardina la separazione tra sfera pubblica e privata.

E’ una dimensione politica, trasformativa, che apre a una narrazione capace di ospitare anche i sentimenti: “testi che contengono corpi, testi che leggiamo con entusiasmo un secolo dopo l’altro (…) testi che ci toccano con la loro realtà messa finalmente in parole. E per questo ci innamorano”[8].

Diventa una categoria con cui possiamo riguardare anche ad alcuni testi del passato che abbiamo amato, proprio perché ci sono sembrati vivi: nel percorso di ricerca sulle memorie della deportazione, L’esile filo della memoria di Lidia Beccaria Rolfi, racconto del suo ritorno dal lager di Ravensbrück[9], è per me uno di questi. Alla dimensione narrativa vedo avvicinarsi per contagio anche alcuni storici, per esempio Bruno Maida e forse non è un caso che lui abbia frequentato a lungo Lidia Beccaria Rolfi, di cui ha scritto anche la biografia[10].

Nella scrittura femminile della storia, la storia parte da me, che do significato a quello che vivo: “si fa storia quando si dà senso a ciò che si vive”[11] o anche “la storia la fa chi si dedica a narrarla”[12]. Nello strappare una donna dall’indistinto comune e nel trovarne l’ unicità, in virtù della relazione che instaura con lei, la storica si assume la responsabilità di un punto di vista e di sentire, mentre adotta un tempo che non è solo lineare, ma abbraccia anche il movimento dei flussi di coscienza.

La scrittura femminile della storia apre infine a un altro ordine di relazioni, diverso dai rapporti di forza, e riesce a conservare la memoria senza rimanere intrappolate nella contrapposizione vincitori/vinti e nel rischio del doppio legame che è sempre prodotto dalle memorie traumatiche: senza necessità di rivincita, “a noi donne, ciò che oggi si intende per memoria storica, che riguarda principalmente fatti traumatici, guerre, terrorismo, interessa per trovare mediazioni con le quali riscattare questa memoria”[13]. Riscatto che non è né colmare un vuoto, né una rivalutazione, ma una costruzione di senso inedita, un pensare con amore, una mediazione per il presente.

Irene e Maria volevano entrambe che il loro fosse un messaggio di pace.

La storia capace di accogliere la vita modifica l’ordine della grandezza, supera gli specialismi, dialoga con la psicanalisi e con la filosofia; anche con la poesia nell’attenzione posta alla singolarità, capace tuttavia di infinito.

 

 



[2] Vedi María-Milagros Rivera,“Riscattare e redimere il presente, in Annarosa Buttarelli e Federica Giardini (a cura di), Il pensiero dell’esperienza, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008

[3] Marirì Martinengo, La voce del silenzio. Memoria e storia di Maria Massone, donna “sottratta”, ECIG, Genova, 2005

[4]  Maria Grazia Battistoni, Rita Giomprini, Anna Paola Moretti, Mirella Moretti, La deportazione femminile. Incontro con Irene Kriwcenko. Da Kharkov a Pesaro, una storia in relazione, prefazione di Daniela Padoan, Quaderni Assemblea Legislativa Regione Marche, Ancona, 2010;  Anna Paola Moretti, La guerra di Mariulì, bambina negli anni quaranta, Il Ponte vecchio, Cesena, 2012

[5] Maria-Milagros Rivera, Perché l’amicizia tra donne è in sé politica, in Emma Scaramazza (a cura di), Politica e amicizia. Relazioni, conflitti, differenze di genere (1860-1915), Angeli, Milano, 2010

[6] Maria-Milagros Rivera Garretas, La storia vivente: una storia più vera. I guadagni di una relazione che non ha fine, in DWF, n.3/2012.

[7] Maria-Milagros Rivera Garretas, Si fa storia quando si dà senso a ciò che si vive,  testo preparato per l’incontro del 23 maggio 2008 a Pesaro, presso l’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino.

[8] Maria-Milagros Rivera Garretas, Si fa storia quando si dà senso a ciò che si vive, cit.

[9] Lidia Beccaria Rolfi, L’esile filo della memoria. Ravensbrück 1945: un drammatico ritorno alla libertà, Einaudi, Torino, 1995

[10] Bruno Maida, Non si è mai ex deportati. Una biografia di Lidia Beccaria Rolfi, Utet, 2008.
Nel suo ultimo libro, La Shoah dei bambini. La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia 1938-1945, Einaudi, Torino, 2013, Bruno Maida scrive: “Questo libro non sarebbe esistito se non avessi incontrato vent’anni fa Lidia Beccaria Rolfi, che mi ha insegnato molte più cose di quelle che sono stato in grado di imparare, e che mi fece un regalo che è diventato una responsabilità”, ivi, pag. 327

[11] Maria-Milagros Rivera Garretas, Si fa storia quando si dà senso a ciò che si vive,  cit.

[12] Maririrì Martinengo, Narrare storia per costruire memoria, in http://www.circolodellarosavr.org/archivia.php?p=scheda&i=131

[13] Maria-Milagros Rivera Garretas, Presentazione dei numeri 39 e 40 di “Duoda”, in http://www.donneconoscenzastorica.it/decs15/

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