5 Dicembre 2002
il manifesto

Firenze e il femminismo che non c’era

Il grassetto è nostro….

Paola Melchiori

Penso che noi femministe, che abbiamo cambiato noi stesse, la percezione della nostra condizione e insieme reso visibile degli aspetti occulti e attivi nel tessuto sociale, abbiamo in quel movimento uno spazio fondamentale da coprire, potrei dire che è lo spazio di una antropologia e di una proposta più profonda di democrazia. Ma mettere la relazione tra i sessi al fondo e al centro della politica non è una cosa facile, neanche noi stesse spesso riusciamo a rendere visibili nessi occulti occultati e confusi con la naturalità di meccanismi che naturali non sono. Abbiamo una carenza di ponti tra le tematiche approfondite e il loro articolarsi nel sociale. Ma questi nessi analitici sono fondamentali per capire molte delle cose di cui si parla al Forum sociale europeo: fenomeni come il militarismo, la cecità dei poteri alle conseguenze delle loro scelte, l’avidità, la perseveranza nell’autodistruzione di una civiltà intera. Se ci confondiamo per condivisione oltre un certo limite con un movimento importante e che amiamo, rischiamo di perdere «anche» un lavoro di anni e alla fine di non dare a questo movimento contributi analitici e pratici significativi. Non possiamo fare della presenza delle donne di nuovo la questione femminile, uno dei capitoli sociali del movimento.

Se è vero che le donne sono nella globalizzazione le più povere e le più colpite, è assolutamente necessario che vediamo le proposte fin qui da loro fatte come soggetti di pratiche e di analisi che ridefiniscono lo stesso terreno di lavoro e le sue pratiche organizzative. Poiché è nella fissità di questi aspetti, nelle modalità prevalenti nella gestione organizzativa del Forum, nella esclusione di livelli di analisi completamente mancanti rispetto ai contenuti che si rigioca il potere patriarcale nella sua più totale ripetizione. Di momenti meno formali e più di discussione ce n’è un bisogno estremo nei Social forum, a Firenze come a Porto Alegre. Perché la forma organizzativa oggi in uso, che pure è una conquista di convivenza poiché permette la convivenza delle diversità, non permette una interazione a fondo, una articolazione conflittuale e di confronto, è più un momento dimostrativo e poco elaborativo. Quello cui dobbiamo lavorare è a un contributo sostanziale alla visione delle cose e alla concezione della democrazia ancora tutto da costruire.

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