11 Maggio 2006

I poveri sono i derubati della storia

Se siamo seri, quando diciamo di voler mettere fine alla poverta’, allora dobbiamo mettere fine ai sistemi che creano la poverta’ derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei loro guadagni. Prima di poter far diventare la poverta’ storia, dobbiamo considerare correttamente la storia della poverta’. Il punto non e’ quanto le nazioni ricche possono dare, il punto e’ quanto meno possono prendere.

Vandana Shiva

Dal cantante rock Bob Geldof al politico inglese Gordon Brown, il mondo sembra improvvisamente pieno di persone dall’alto profilo che fanno piani per mettere fine alla poverta’. Jeffrey Sachs, tuttavia, non e’ semplicemente una persona che vuol fare del bene, ma uno dei principali economisti mondiali, alla testa dell’Earth Institute e responsabile di un progetto Onu per promuovere un rapido sviluppo. Percio’, quando ha lanciato il suo libro “La fine della poverta’”, la gente ovunque ne ha preso nota. La rivista “Time” ha persino dedicato ad esso la copertina. Ma c’e’ un problema con le prescrizioni di Sachs per porre fine alla poverta’. In effetti lui non riesce a capire da dove la poverta’ venga. Sembra guardare ad essa come al peccato originale. “Poche generazioni fa, praticamente chiunque era un povero”, scrive, e poi aggiunge: “La rivoluzione industriale guido’ a nuove ricchezze, ma gran parte del mondo fu lasciata indietro”. Questa storia della poverta’ e’ totalmente falsa. I poveri non sono coloro che sono stati “lasciati indietro”, sono coloro che sono stati derubati. La ricchezza accumulata dall’Europa e dal Nord America e’ largamente basata sulle ricchezze prese all’Asia, allí’Africa e dall’America Latina. Senza la distruzione della ricca industria tessile dell’India, senza il controllo del commercio di spezie, senza il genocidio delle tribu’ native americane, senza la schiavitu’ africana, la rivoluzione industriale non avrebbe dato gli stessi risultati di benessere per l’Europa ed il Nord America. E’ stata questa appropriazione violenta delle risorse e dei mercati del Terzo Mondo che ha creato ricchezza al Nord e poverta’ al Sud. Due dei grandi miti economici del nostro tempo permettono alle persone di negare questo stretto collegamento e di diffondere interpretazioni scorrette di cosa sia la poverta’. In primo luogo, per la distruzione della natura e della capacita’ delle persone di aver cura di se stesse il biasimo non cade sulla crescita industriale e sul colonialismo economico, ma sugli stessi poveri. La malattia viene offerta come cura: piu’ crescita economica, in modo da risolvere gli stessi problemi di poverta’ e di declino ecologico a cui essa stessa ha dato inizio. Questo e’ il messaggio che sta al cuore dell’analisi di Sachs. Il secondo mito e’ l’assunto per cui se tu consumi cio’ che produci, non stai veramente producendo, almeno non economicamente parlando. Se io mi coltivo il cibo che mangio, e non lo vendo, allora esso non contribuisce al Pil e percio’ non contribuisce ad andare verso la “crescita”. Le persone vengono percepite come “povere” se mangiano il cibo che hanno coltivato anziche’ il cibo malsano distribuito dall’agribusiness globale. Sono visti come poveri se vivono in case che si sono costruiti da soli, con materiali ben adattati ecologicamente come il bambu’ ed il fango anziche’ in blocchi di cemento. Sono visti come poveri se indossano abiti prodotti con fibre naturali anziche’ sintetiche. Queste esistenze sostenibili, che il ricco Occidente percepisce come poverta’, non si accoppiano necessariamente ad una bassa qualita’ della vita. Al contrario, per la loro stessa natura di economie basate sul sostentamento assicurano un’alta qualita’ della vita, se questa viene misurata in termini di accesso a cibo sano ed acqua, identita’ sociale e culturale robusta e percezione di un senso nell’essere vivi. Poiche’ questi poveri non condividono i cosiddetti benefici della crescita economica, vengono rappresentati come “lasciati indietro”. Un sistema come il modello di crescita economica che conosciamo oggi, crea miliardi di miliardi di dollari di profitti per le corporazioni, mentre condanna milioni di persone alla poverta’. La poverta’ non e’, come Sachs suggerisce, uno stato iniziale del progresso umano da cui dobbiamo fuggire. E’ lo stato finale in cui le persone cadono quando uno sviluppo unilaterale distrugge i sistemi ecologici e sociali che hanno mantenuto la vita, la salute ed il nutrimento dei popoli e del pianeta per ere. La realta’ e’ che le persone non muoiono per mancanza di soldi. Muoiono per mancanza di accesso alla ricchezza dei beni comuni. La gente e’ povera quando deve comprare le proprie necessita’ di base a prezzi alti, senza riguardo per quale sia il loro introito. Prendete il caso dell’India. Poiche’ il cibo e le fibre a basso costo sono state estromesse dal mercato dalle nazioni sviluppate e dall’indebolimento delle leggi di protezione sul commercio compiuto dal governo, i prezzi dei prodotti agricoli in India stanno crollando, il che significa che ogni anno i contadini del paese perdono 26 miliardi di dollari. Impossibilitati a sopravvivere in queste nuove condizioni economiche, molti contadini ora sono colpiti dalla poverta’ e migliaia di essi si suicidano ogni anno.
Se siamo seri, quando diciamo di voler mettere fine alla poverta’, allora dobbiamo mettere fine ai sistemi che creano la poverta’ derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei loro guadagni. Prima di poter far diventare la poverta’ storia, dobbiamo considerare correttamente la storia della poverta’. Il punto non e’ quanto le nazioni ricche possono dare, il punto e’ quanto meno possono prendere.

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