2 Aprile 2006

I ragionevoli sogni di «Ludovico» – da Il Manifesto

La grande stampa ha immediatamente «antipatizzato» con i ragazzi del movimento francese. «Conservatori», «malinconici», «senza ideali» sono solo alcuni degli epiteti o insulti rivolti loro. Ma basta andare sul web per poter vedere, sentire, parlare, capire i protagonisti diretti di una lotta che verte intorno al nodo centrale del «contratto sociale europeo»: il contratto di lavoro
Franco Carlini

Grande è la delusione nel leggere i resoconti dei «fatti di Francia» sulla stampa quotidiana, italiana, ma anche internazionale. Specialmente da parte dei giornali più importanti che, mai come in questo caso, sovrappongono la loro visione ideologica alla realtà, per piegarla e ri-narrarla. Questa è per esempio l’operazione in cui si è cimentato il New York Times. La reporter Elain Sciolino ci spiega dunque che «questa è una protesta che usa i metodi di strada rivoluzionari – che si sono dimostrati così potenti nei disordini autunnali nelle periferie – a difesa dello status quo».
Trova conforto per questa tesi nella parole di un professore di sociologia del cinema, Emmanuel Ethis: «Io voglio che gli studenti guardino in su, a speranze e sogni di cose che siano più importanti; (invece) questa è una ribellione della piccola borghesia». Già sentita, effettivamente, e chissà che quando era lui sessantottino il professor Ethis non sia stato classificato come petit bourgeois dai suoi professori d’allora.
Di rincalzo un seguace nostrano della stampa americana, Gianni Riotta, sul Corriere della Sera, fa a sua volta la predichina ai giovani, anche lui in nome di ideali più alti: «Nel 1968 la Sorbona era occupata da una generazione che sognava l’utopia del ‘Cambiamo tutto!’, oggi le stesse aule vedono una generazione malinconica implorare ‘Non cambiamo nulla!». Si noti per favore l’uso delle parole: sono malinconici e implorano. La vertenza sindacale in corso al Corriere forse potrebbe utilmente prevedere il diritto-dovere per i vice direttori di andare a informarsi sul posto. O almeno consigliare loro di navigare un po’ di più per il web, alla ricerca di informazioni di prima mano.
Il volti non malinconici dei giovani di Francia sono disponibili per esempio nella «Fototeca del movimento sociale» (http://www.phototheque.org/174.html). Ce ne sono la bellezza di 887, dedicate alle varie manifestazioni del mese di marzo. Le hanno scattate fotografi professionisti o dilettanti e il sito non solo le ospita, ma le rende anche disponibili all’uso non mercantile. In altre parole sono coperte da una sorta di licenza Creative Commons, variante aperta e liberal del copyright. Tra le centinaia di immagini, da guardare una per una, scrutando i volti e le sequenze, vale la pena di citare quella all’indirizzo http://www.phototheque.org/photo/8600.html. «Non à la génération Tanguy», dice il cartello, alludendo al film del 2001 di Etienne Chatiliez, il cui protagonista è un ragazzo ventottenne che resta pervicacemente in casa con i genitori.
Altro sito di movimento da consultare è Hns-info (http://www.hns-info.net/). Qui c’è qualcosa che cita il famigerato ’68: «Siamo realisti, chiediamo il possibile». Questa frase è un creativo remix del sessantottesco «chiedere l’impossibile», incastrato in una volontà positiva da tempo in circolazione tra questa masse di supposti piccoli borghesi, ovvero l’idea che «un altro mondo (società, scuola, lavoro) è possibile» e che valga la pena di provarci, malgrado i falsi realisti che stanno al potere e nelle direzioni dei media di tutto il mondo.
Lasciamo dunque la parola a uno di loro: «La sola posizione possibile è di immaginare un’altra forma di vita sociale fondata sulla solidarietà, la quale esclude lo sfruttamento, organizza le attività umane socialmente indispensabili, e permette a ognuno/a di vivere la sua differenza in mezzo ai suoi simili». E ancora: «Ci sono tantissime cose appassionanti da vivere e da inventare; tante genti da incontrare, da amare, insegnare, ascoltare; talmente tanti bambini da veder crescere, cullare, nutrire …Andiamo! La vita è troppo breve per lasciarsela mangiare dal lavoro».
Chi scrive è tale Ludo (verosimilmente un Ludovico), che aggiunge: «Perché l’utopia sia sorella dell’azione si può cominciare subito, nei movimenti di resistenza sociale, a sperimentare dei nuovi rapporti: riunirsi nelle vecchie organizzazioni, occupare luoghi privati o pubblici e farne luoghi di vita e di libera espressione, verificare nei rischi condivisi e nelle vittorie comuni che a conoscersi ci si guadagna»
Quella di Ludo è una voce tra le tante, ma certamente, non sembra ricerca egoistica dell’impiego fisso, né difesa dello stato di cose esistenti. Davvero è come nel pre-68 quando la molla delle mobilitazioni fu una pessima legge di riforma universitaria, ma quello fu solo un innesco di una situazione autoritaria non più tollerabile e di un desiderio di massa non comprimibile oltre. I riferimenti culturali sono peraltro diversi, così come le pratiche e i linguaggi e anche qui, senza essere maniaci delle tecnologie, c’entra la Rete.
Nei sogni di Ludo, infatti, c’è un mondo di relazioni umane piene, condivisione di esperienze (che portano vantaggio a tutti), voglia di interazione. Sono le caratteristiche migliori del web e dell’internet e questa è una generazione che considera normale e vitale, collegarsi non con dei computer, ma con degli altri umani, usando rete e bit.
Gli studiosi della cosiddetta Happiness Economy (Economia della Felicità) li chiamano «beni relazionali». Il filone di pensiero, anche di matrice cattolica, è quello che vuole andare oltre l’utilitarismo e la supposta razionalità del mercato e cerca invece quei beni e valori che non hanno un prezzo perché non sono acquistabili, ma possono soltanto essere ottenuti arricchendo le relazioni e gli scambi comunicativi tra le persone.
(La lettura consigliata, in proposito, è il recentissimo libro curato da Luigino Bruni e Pier Luigi Porta e intitolato «Felicità e libertà», Guerini e associati. Un’intervista ai due autori è scaricabile in podcasting dal sito di Radio3 Scienza: http://www.radio.rai.it/podcast/F0001254.mp3).

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