17 Aprile 2004
il manifesto

Il pensiero unico della precarietà a vita

Come in ogni settore della società, il lavoro di ricerca subisce una crescente precarizzazione: si tratta di un fenomeno strutturale e niente affatto accidentale. Non bastano più i 20 anni di precarietà, tra la laurea e il post-dottorato, che precedono il riconoscimento del benché minimo statuto professionale: i contratti stabili sono ormai così rari che sempre più “ricercatori precari” alternano, o addirittura sommano, contratti a tempo determinato nel pubblico o nel privato, il sussidio di disoccupazione e il reddito minimo di inserimento (Rmi). Quanto agli intermittenti dello spettacolo, che in troppi, viene spesso affermato, approfittano del sussidio di disoccupazione, oltre un terzo di loro non beneficiava più del regime speciale del sussidio prima ancora che esso fosse riformato. Le riforme che colpiscono intermittenti e ricercatori istituiscono un’unica possibilità di vita basata da una precarietà senza diritti che ci rendono sottomessi alle scelte dei datori di lavoro, sia pubblici che privati.

 

Oltre alla precarizzazione imposta alla nostra attività, denunciamo la distruzione dei diritti collettivi che ne garantiscono la libertà.

 

Politiche del controllo

 

La distruzione dei diritti collettivi si accompagna ad una politica di controllo sui saperi. Tale controllo è diretto nel caso della ricerca, ove le direttive nazionali ed europee fissano l’orientamento della ricerca e in cui la specificità dei finanziamenti vieta ogni ricerca fondamentale che non sia giustificata mediaticamente o finanziariamente. Il rapporto Belloc, che ispira la riforma dello statuto dei docenti-ricercatori (che finora godevano di una certa libertà di ricerca, in cambio dell’obbligo di 192 ore di lezione all’anno), suggerisce di punire con ore di lezione supplementari le ricerche che non seguono gli orientamenti tematici predefiniti. Il controllo sul tempo e sulle attività è complementare al controllo sui saperi.

 

La “tematizzazione” delle linee di ricerca adotta lo stesso sistema delle sovvenzioni dell’eccezione culturale. L’obiettivo è la sopravvivenza di pochi “poli di eccellenza” ben controllati, al fianco di una ricerca e di una cultura direttamente spendibili sul mercato, attraverso gli orientamenti tematici imposti dallo stato nel caso della ricerca pubblica, e le sovvenzioni discrezionali per la cultura. Noi rifiutiamo questa cosiddetta ricerca d’eccellenza tanto quanto questa cultura dell’eccezione. Rifiutiamo la scelta tra le leggi del mercato e l’eccellenza sotto controllo.

 

Forme di vita

 

Ciò che accomuna noi, ricercatori e intermittenti, oltrepassa la produzione del sapere e del sensibile. E’ un particolare rapporto con il tempo, non riducibile a quello del lavoro (grazie ad uno statuto specifico per gli uni e ad un regime di sussidi per gli altri); sono le pratiche quotidiane, le forme dell’esistenza. Le riforme che ci colpiscono vogliono controllare la nostra produzione, ma anche le nostre temporalità, soggettività, scelte di vita.

 

Esse segnano la fine di una certa apertura delle professione “intellettuali”, iniziata negli anni `70 con la crescita numerica di professori, ricercatori, artisti, giornalisti, fotografi, etc. Mentre operano una selezione sui saperi, tali riforme selezionano gli individui che hanno accesso alla formazione, agli strumenti di produzione e di diffusione, alla possibilità di esercitare tali attività.

 

Intermittenti e ricercatori non vogliono solo difendere uno statuto, ma anche rivendicare la possibilità di produrre conoscenza secondo le proprie temporalità, di poter scegliere le modalità della cooperazione.

 

La difesa dei beni comuni

 

I risultati dell’attività intellettuale sono dei beni comuni. Ma bene comune è anche ciò che produciamo tutti insieme, che nasce, vive e muore nella nostra quotidiana cooperazione. Ricercatori senza statuto, artisti con l’Rmi, critici a cottimo, spettatori, studenti, pazienti e profani: le azioni individuali, l’attività intellettuali e le relazioni affettive tessono l’immaginario sociale e le sensibilità dell’Altro.

 

Il tempo trascorso a ricercare, a sognare, a sperimentare, a non far nulla, a parlare, non appartiene ad artisti e ricercatori: è semplicemente un patrimonio dell’umanità; è parte della nostra intelligenza collettiva. In nome di tale intelligenza collettiva, di questo bene comune inalienabile, esigiamo una reale apertura della scienza alla società. Da qui, per noi, la rilevanza dell’accesso alla cultura. La questione della produzione e della circolazione dei beni comuni – conoscenza, cultura, informazione, salute, insegnamento – è una questione pubblica per eccellenza. Non riguarda cioè solo coloro che producono per mestiere un bene comune: sopratutto è un tema che coinvolge i destinatari di quei beni comuni. Mentre le politiche “professionali” oppongono il produttore al consumatore, noi affermiamo che tra ricercatore e contadino, tra malato e medico, tra spettatore e intermittente, tra studente e professore è possibile costruire rapporti di cooperazione e di coproduzione. I malati di Aids ci hanno già mostrato come le ricerche sull’Hiv non potevano fare a meno né della loro conoscenza né della loro collaborazione.

 

Le scelte politiche che riguardano insegnamento, cultura, ricerca e salute non riguardano solo le condizioni di lavoro, le retribuzioni di chi li produce, le conoscenze sviluppate, ma anche e soprattutto i fruitori, il loro diritto all’accesso e alla conoscenza, alla cultura, all’informazione, il costo che devono pagare per accedervi e i contenuti di ciò che imparano, guardano, ascoltano. E non possiamo nemmeno separare la produzione e la circolazione delle conoscenze dalla questione della distribuzione della ricchezza poiché, nelle nostre società, esse rappresentano strumenti di potere che decidono l’accesso o l’esclusione sia dai saperi che dalle ricchezze materiali.

 

Un sociologo ci fa notare che nel corso della vostra vita, si trascorrono 33.000 ore a scuola, 63.000 al lavoro e 96.000 davanti alla Tv: “Ciò significa che la speranza di vita guadagnata dopo l’apparizione della Tv, la passerete davanti al televisore”. E’ positivo che il tempo di vita guadagnato grazie alla ricerca medica o alla riduzione del tempo di lavoro venga trascorso davanti a un televisore?

 

Di fronte a questi nuovi dispositivi di controllo del nostro tempo, delle nostre nostre vite, decidiamo d’ora in poi di opporre lotte trasversali, articolate da un comune rifiuto; realizziamo una contaminazione in cui si affermino, contro i loro deserti, i nostri mondi.

 

*** Testo collettivo prodotto nelle riunioni tra intermittenti, insegnanti, ricercatori, precari all’interno della commissione scuole, pubblicato in L’Interluttant e di prossima pubblicazione in Les Inrockuptibles.

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