23 Maggio 2004
il manifesto

In qualità di architetto non posso accettare che Israele…

Paolo Moscogiuri

Sono consapevole del fatto che il fare architettura non termina con la realizzazione di spazi più o meno qualificati, ma che prosegue con lo «stratificarsi» delle azioni, delle emozioni, dei sentimenti di chi li abita, che li renderanno vivi e unici. Sono consapevole che la casa, umile che sia, non è mai costituita dalle sole mura che «contengono», ma dalla vita che vi si svolge dentro; dalla storia delle vicende umane; dalle speranze di futuro, dai simboli che vi si raccolgono; dagli odori che vi si impregnano; dalla luce che la illumina; dal calore che la riscalda; dai suoni che la ravvivano. Sono consapevole di questo e in qualità di artefice dell’architettura, non posso accettare che Israele, nella sua pur giusta difesa dal terrorismo, adotti come metodo di «difesa» la demolizione delle case palestinesi. Dal 2000, in Palestina, questa «difesa» ha creato ben 12 mila profughi. Questo metodo barbaro, è più umiliante e repressivo della stessa eliminazione fisica, perché riguarda non una sola persona, ma l’intera famiglia che ci vive. Toglie ai padri l’orgoglio di aver dato un riparo alla famiglia, alle madri la protezione necessaria a un sereno accudimento dei figli, ai figli la speranza di un futuro migliore. Per questo chiedo che gli Ordini degli architetti, quali rappresentanti dei professionisti e quali custodi dei valori dell’abitare, condannino pubblicamente l’uso deliberato dell’abbattimento delle case palestinesi da parte dell’esercito israeliano.

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