1 Ottobre 1995
Via Dogana n°23

Incontro con una donna straordinaria

Serana Sartori

Da anni l’Africa incrocia intimamente e profondamente la mia vita. Negli ultimi quattro è diventata anche luogo e percorso di ricerca culturale e artistica. Le tradizioni orali, i riti d’iniziazione, le cerimonie, le danze, i canti. Due anni fa l’incontro e il lavoro con Sotiguy Kouyatè, l’attore Griot di Peter Brook; l’amicizia con lui, la collaborazione con il figlio Danì hanno fatto crescere conoscenze e progetti.
Poi finalmente IL VIAGGIO. Io e quattro attori del Teatro Del Sole tra cui mia figlia Valentina. Agosto ’93, un viaggio organizzato dai Kouyatè, dinastia di Griot, da secoli detentori della narrazione dell’epica Mandingo “Soundjata”, i libri viventi. I Kouyatè sono in Bourkina Faso e in Mali centinaia di membri di una grande famiglia. Molti di loro sono oggi artisti. Viaggiare in Bourkina dicendo: “Siamo amici dei Kouyatè” significa avere le porte aperte a cerimonie, riti, feste e “corti famigliari”, e cosi è stato.
Dopo dieci giorni dall’arrivo stiamo percorrendo in taxi una grande via a Ouagadougou. Percussione, canti, un grande cerchio di gente. Ci fermiamo, al centro del cerchio circa venticinque tra percussionisti e danzatori scatenati; l’età: dai tre ai diciassette anni! una maestria stupefacente nei giovani corpi sudati, ragazze e ragazzi giocano con danze etniche e tribali rivisitate in una coreografia straordinaria. Sono incantata. .. bruscamente le danze vengono interrotte da una voce forte e chiara di donna. A un capo del cerchio, grande, imponente, il vestito azzurro sgargiante sulla pelle nera, il capo coperto da un grande fazzoletto, gli occhi enormi e severi, redarguisce in lingua Morè i danzatori, dà indicazioni, sgrida mentre con una mano picchietta la schiena di un bambino di due anni steso sulle sue ginocchia col singhiozzo. Ha quella forza antica che cosi spesso ho incontrato nelle donne d’Africa.
Riprendendo le prove, la coreografia è fantastica. Alla fine avviciniamo la donna che raggruppa accanto a sé i bambini più piccoli. Le diciamo da dove veniamo, chi siamo. .. un sorriso candido le illumina il viso e in francese ci dice che ci conosce.
Conosce il Teatro del Sole a Ouagadougou? – Ridendo mi dice “io sono Moussougnouma Kouyatè, MAMA, la seconda moglie di Sotiguy, sicuro lui non vi avrà parlato di me!”. E’ così. Lei ride del mio stupore e mi dice: “Capirai perché” e ci porta a “casa” sua. Una corte con tre cubi di terra battuta, la vecchia madre seduta sulle stuoie che ci saluta con le formule di rito in Morè, bambini e bambine dappertutto. Così è cominciato il rapporto con questa donna straordinaria, bella di quella bellezza fatta di dignità forza e orgoglio nel corpo e nell’ anima. Mama mi ha raccontato la sua storia. Danzava da sempre in feste e cerimonie della sua etnia; a poco a poco ha cominciato ad apprendere le danze cerimoniali Peul, Bambarà, a studiarne le differenze. Sposato Sotiguy gli è accanto alla direzione del balletto nazionale del Bourkina Faso. Poi Brook riesce a convincere Sotiguy a seguirlo in Europa. Lei segue il marito ma studia alla scuola teatrale di Lecoq a Parigi. A poco a poco comincia a sentire che la sua forza e la sua dignità di donna e di razza va perdendosi e decide di tornare nella sua terra. In Bourkina inizia a raccogliere attorno a sé, dalla strada, bambini e bambine del suo quartiere. Si dedica a trasmettere la cultura della sua terra: danze, canti, percussioni, artigianato, cucina, tradizioni orali. Si forma un’équipe “Wamdè” (Teatro degli amici riuniti), e gran parte dei componenti dorme e mangia nella sua corte. Mama decide a quarant’anni di dedicare il resto della sua vita a coltivare le radici dell’identità della sua gente per cercare di fermare quell’emorragia di giovani che sta dissanguando l’Africa. Almeno due volte all’anno grazie alle sue conoscenze europee riesce a viaggiare: Francia e Svizzera. Si fa ospitare in grandi spazi dove con i suoi “attori” ricostruisce un villaggio africano e dove i bambini europei sono ospiti dei piccoli africani che trasmettono loro i ritmi, i colori e i sapori della propria cultura. Per poter avere riconoscimento e finanziamenti per questa attività eccezionale lotta e ha lottato contro ostilità pregiudizi e resistenze che per una donna in Africa sono enormi. Mi ha raccontato a lungo la fatica, le sofferenze, le umiliazioni e la schiavitù della donna africana, e mentre raccontava io vedevo nei suoi occhi orgoglio, disperazione e forza, mai autocommiserazione o lamento. E’ la donna, in Africa, che regge la famiglia, la corte, il lavoro dei campi e del villaggio; anche sfiancata da parti e malattie e spesso analfabeta. E’ lei la forza d’Africa. E mentre Mama raccontava e raccontava, sentivo crescere dentro di me una sensazione antica che di li a poco mi avrebbe squassata di una crisi profonda. L’Africa e Mama e le donne d’Africa mi hanno messa di fronte alla forza del femminile.
Le donne laggiù non si aspettavano “diritti” o comprensione e tantomeno “uguaglianza”, non si lamentano. Sono unite tra loro per realtà di universi separati; sono LE DONNE. E quando una donna lotta per il cambiamento ha la forza di cento donne. Negli occhi di queste donne c’è quella dignità che da sempre io donna europea cerco, con il mio lavoro, con la mia arte, con la vita. Quella forza non proviene né dall’emancipazione né dai diritti acquisiti. E’ una forza primigenia che nemmeno le molte violenze quotidiane riescono a piegare. Dopo quel viaggio molte delle mie scelte sono cambiate radicalmente.

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