1 Giugno 2004
Via Dogana n°69

Insopportabile

Lia Cigarini

Via Dogana ha messo a tema la lingua corrente. Non è una proposta politica, “non si tratta cioè di sostituire il pensiero della differenza sessuale con un pensiero più avanzato. Ma piuttosto di tenerlo disarmato vicino al non pensiero di cose che non c’entrano ma càpitano”.
Per me, insofferente negli ultimi tempi al linguaggio un po’ rarefatto e ripetitivo di questa rivista (le parole a me o danno energia per capire e agire o sono morte), l’idea di lingua corrente ha significato immediatamente un ripensare e far parlare le scelte che andavano facendo le mie clienti separande nei loro rapporti con gli uomini e i figli in nome del femminismo dei diritti, scelte magari opposte alle mie e dettate da un desiderio di rivincita che mi è estraneo. La mia lettura può essere discutibile e, infatti, è discussa.
Ma il punto non è qui. Questo materiale – la relazione/conflitto con gli uomini mi (ci) ha sempre coinvolto da vicino – è, diciamo così, pane per i nostri denti. E’ vero che io, insieme ad altre, ho fatto un salto a lato sottraendomi ai molti disagi della relazione quotidiana con un uomo. Tuttavia la riflessione sui rapporti con gli uomini, sempre viva e approfondita, ha creato un sapere che può circolare nonostante le scelte diverse tra me e le mie clienti, tra le lettrici di Via Dogana e forse si può dire tra le donne. Perché si è sempre cercato, con un’estesa pratica di relazioni, che non fosse una collocazione marginale (separatista) ed estranea al mondo.
Questa collocazione a lato ma strettamente connessa con il mio (nostro) desiderio di esistenza libera, si è rivelata preziosa anche per capire qualcosa della sempre maggiore femminilizzazione del lavoro. La riflessione di tanti anni in un gruppo a partire dalla nostra esperienza lavorativa, insieme agli scambi con altre donne lavoratrici e sindacaliste e con uomini interessati al tema del lavoro, mi permette di leggere il conflitto tra i sessi, la contraddizione tra vita e lavoro, la parlante differenza femminile, anche sotto quello che si presenta come un discorso di uguaglianza raggiunta con gli uomini e di adeguamento indolore al loro modo di lavorare. Ho la sensazione che, se il confronto andrà avanti con sempre più donne lontane dalla pratica della differenza, senza pretendere di ordinare il materiale secondo la lingua che si è già costituita in questi trenta anni tra di noi (sono state le linee seguite negli incontri sul lavoro voluti da Pinuccia Barbieri in Libreria), ci sarà una contaminazione dei linguaggi e del pensiero nel mettere in discussione il modo di lavorare maschile o perlomeno nel creare movimento e riflessione.
E poi è capitato l’Iraq, le soldate, le torturatrici con scatto porno-fotografico. Qui non mi sembra che abbiamo una riflessione collettiva e una pratica politica adeguata. Il salto a lato, nelle questioni della guerra (di questo tipo di guerra), lo abbiamo fatto ma risulta essere un salto nella marginalità o perlomeno nell’estraneità: la pratica di relazione tra donne non ha inciso né deciso, la relazione di differenza con gli uomini è faticosa.
Da qui, l’impotenza politica più assoluta e frustrante rispetto al susseguirsi delle guerre (Israele-Palestina, Golfo, Kosovo, Iraq) e alla teorizzazione americana della guerra preventiva.
Eppure Luisa Muraro, già nel 2001, subito dopo l’11 settembre, nel testo intitolato Che cosa ci sta capitando? (VD 58/59), invitava ad uscire dall’autosufficienza, perché “capita qualcosa per cui non posso aver ragione ed è perfino ridicolo cercare di averla in quanto l’essenziale è ancora da pensare” e chiedeva di esserci in questa sfida: essere tutta con tutto senza restare attaccata a nessun contenuto perché i contenuti nascono dallo scambio e sono frutto della mediazione di volta in volta.
La riflessione collettiva non si è però avviata, forse perché le mediazioni che usiamo per pensare e agire, vale a dire l’esperienza e la relazione con altre/i, qui non funzionano. Ma, d’altra parte, penso che senza riflessione collettiva niente si possa aggiungere a quello che tanti uomini di buona volontà hanno pensato e fatto.
Poi, l’Iraq, le torture e soprattutto la foto della giovane Lynndie England con il prigioniero iracheno nudo al guinzaglio, foto che è già diventata l’icona di questa guerra.
Ma, finalmente, a Roma, all’incontro su Via Dogana e lingua corrente, presso la Casa internazionale delle donne, l’8 maggio scorso, è scoppiata una vivacissima e interessante discussione che ha prodotto una spietata e utile decostruzione del femminismo. Il dolore, la vergogna e lo scacco hanno costituito il punto vivo dell’esperienza, che prima mancava, almeno per quelle che erano lì, ma chissà per quante altre. Ed è a partire da quelle emozioni che si è iniziato a ragionare con originalità.
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