11 Novembre 2003
l'Unità

Jessica coscienza dell’America

Cinzia Zambrano

Volevano farne a tutti i costi il simbolo dell’idealismo americano che lotta contro il Male, l’eroina della guerra a stelle e strisce contro il dittatore iracheno Saddam Hussein. In verità, erano anche riusciti nell’intento: per settimane la sua storia aveva monopolizzato i media, distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica Usa dal pantano nel quale l’Amministrazione Bush si andava infossando in Iraq. Fino all’altro ieri. Quando, in vista della trasmissione – prevista sulle tv americane per stasera di un film sulla sua vicenda, Jessica Lynch, l’ex soldatessa catturata in Iraq e liberata da un commando americano, non ha deciso di dire basta alla strumentalizzazione della sua storia.
Jessica rivendica la “normalità” del suo dramma: “Non sono un eroe,mi hanno usata perché avevano bisogno di un simbolo. I veri eroi sono i miei undici compagni morti al mio fianco”. .
Doccia fredda, anzi gelata, per il Pentagono che all’indomani della liberazione di Jessica aveva diffuso le immagini sgranate del suo salvataggio infarcite di coraggio e abilità militare. “Sono esagerate e sfruttate a scopo di propaganda” accusa ora l’ex soldatessa appena ventenne, che invece di imbracciare un fucile avrebbe preferito insegnare ai bambini. Con la sua, “verità” il soldato Lynch scoperchia un verminaio composto di macchinazioni e strumentalizzazioni che lasciano stecchiti i falchi dell’Amministrazione Bush. E diventa, ora sì simbolo, ma di una coscienza americana che rifiuta l’inganno.
In un’intervista alla “Abc”, che andrà in onda martedì ma di cui sono stati diffusi alcuni stralci, Jessica, maestrina mancata ed eroina per forza, confessa che le forze armate americane hanno manipolato il resoconto del suo salvataggio da un ospedale di Nassiriya e che non avrebbero dovuto filmarlo. “Non mi considero un’eroina. I miei eroi sono Lori Piestewa e gli altri soldati come lei uccisi nell’imboscata. Sono i soldati che sono ancora lì”, dice Jessica alla “Abc”. E sulla ricostruzione fatta del suo eroismo rincara la dose: “Fa male quando vedi che la gente inventa storie che non hanno fondo di verità. Solo io potrei raccontarlo, raccontare che mi difesi sparando, ma non l’ho fatto, non ho sparato un colpo, l’arma si era inceppata, ho nascosto la faccia tra le mani e pregato. Non,ricordo nulla della cattura. In ospedale sono stata trattata con grande umanità”, dice Jessica smontando con onestà il ritratto eroico della sua resistenza alla cattura e della sua prigionia dipinto dal Pentagono. Originaria della West Virginia, Jessica era poco più di una bambina dalla faccia pulita che si era arruolata con l’ambizione di pagarsi gli studi per fare la maestra. Spedita in Iraq, lei e la sua unità di Fort Bliss in Texas caddero in un’imboscata il 23 marzo vicino a Nassiriya, nel sud del Paese. Undici dei suoi commilitoni, tra cui la soldatessa pellerossa lori Piestewa, morirono nell’agguato, ma Jessica, gravemente ferita, fu catturata dagli iracheni e salvata una settimana dopo dalle Forze Speciali americane.
La “sua” storia, lei l’ha raccontata. Non agli sceneggiatori del film “Salvate Jessica Lynch”, ovviamente, che è stato peraltro girato senza neanche la sua consulenza. La settimana prossima nelle librerie americane approderà la sua biografia autorizzata, messa nero su bianco dall’ex giornalista del “New York Times” Rick Bragg. Nel libro, intitolato “I am a Soldier, Too”, Bragg rivela che Jessica sarebbe stata violentata dagli iracheni. Ma la ragazza, che ha perso la memoria di quanto accaduto dopo il ferimento, non conferma.

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