1 Novembre 2005
Via Dogana n.75

La costola di Eva, il pomo di Adamo

Elisabetta Marano e Luciano Sartirana

Questo è il nome di una delle stanze presenti sul sito della Libreria delle Donne che nasce su iniziativa del gruppo di riflessione donne e uomini, costituitosi a Milano tre anni fa.
Il primo compito della stanza è raccogliere testi che narrano la relazione di differenza tra donne e uomini. Il secondo è alimentare la riflessione, stimolando e arricchendo lo scambio tra donne e uomini.

 

Abbiamo suddiviso la stanza in cinque sezioni:
– nei “Contributi” sono raccolti testi inediti, scritti da uomini e donne, che riflettono sulla relazione di differenza. Spesso conosciamo gli autori dei testi, e ci piace discutere con loro i temi che propongono nei loro articoli. Lo consideriamo, nella stanza, il luogo dello scambio per eccellenza;
– la “Rassegna stampa” riporta articoli comparsi su quotidiani e periodici;
– “Via Dogana” è l’indice ragionato degli articoli comparsi sulla rivista inerenti l’argomento;
– “Le 10 domande”: le donne del gruppo hanno sottoposto ad alcuni uomini dieci pimpanti domande su loro stessi, il rapporto con il simbolico maschile, con le donne e il loro pensiero. Finora hanno risposto in due, ma le 10 domande interpellano ogni uomo passi da lì. Le donne del gruppo attendono comunque tuttora dieci domande dagli uomini, possibilmente altrettanto forti;
– “Parlo di me” è infine la sezione dedicata al racconto di percorsi e analisi personali e soggettive.

 

La stanza è anche lo specchio del nostro percorso: è tuttora difficile restituirne il significato, perché le contraddizioni che non riusciamo ancora a decodificare sono molte.
Possiamo dire con certezza è che tutto è nato da un cambiamento, sottile ma percettibile: alcuni uomini cominciavano a frequentare abitualmente la Libreria delle Donne di Milano e il Circolo della Rosa. Partecipavano agli incontri, si fermavano a discutere; c’è chi ha offerto da volontario la sua professionalità per la gestione informatica della libreria. Cercavano di stabilire uno scambio con le donne incontrate in quel luogo. Un cambiamento ha toccato anche alcune donne, ha alimentato prima la curiosità e poi un maggiore coinvolgimento.
Darsi tempo e spazio per dialogare è diventato importante.
Si è sviluppata l’idea di ritrovarsi in un gruppo, che si è subito configurato come un gruppo di parola. Un incontro o due al mese, molte e-mail e molte telefonate sono la forma che abbiamo trovato per raccontarci la vita, il rapporto con il padre e la madre, la compagna e il compagno, fino alle difficoltà che viviamo sul lavoro.
Si sono focalizzati fin dall’inizio due ordini di bisogno: da un lato, gli uomini volevano raccontare alle donne il proprio cambiamento e la loro riscoperta di una libertà affrancata dai modelli patriarcali; e il ruolo che alcune donne della loro vita avevano avuto. Dall’altro, fra le donne c’era chi era mossa dalla curiosità; chi desiderava che gli uomini si dedicassero prima a momenti di riflessione tra loro; chi riteneva infine che il dialogo con questi uomini fosse un passaggio importante per capire come operare una traduzione della pratica politica delle donne in contesti misti.
Alcuni momenti hanno scandito la vita di questo gruppo. Preferiamo parlarne singolarmente e “in soggettiva”.

 

Quando la lingua ci sfugge
Luciano:
“Noi uomini del gruppo ci sentiamo distanti dal patriarcato. Ormai da molti anni, se non addirittura dall’adolescenza, abbiamo messo in discussione la tradizione della virilità, del successo attraverso una forte competizione, dell’individualismo, della repressione del sentimento in sé e negli altri. La stessa figura del padre rappresenta tuttora un nodo faticoso da sciogliere, comunque poco utile a significarsi, costruire un’identificazione soddisfacente.
Una posizione scelta, ma che ci ha collocati in una zona di confine dai molti versanti: ai margini, o non del tutto in sintonia con il tradizionale consesso maschile; alla ricerca di riferimenti e modi di essere inediti; con un forte interesse per il percorso delle donne negli ultimi decenni. E con la forte aspettativa – quasi la pretesa – di ascolto e comprensione rivolta alle donne del gruppo: sono un uomo diverso da quegli altri, devi tenermi in considerazione.
Un’aspettativa offuscata dal senso di estraneità che abbiamo provato per il linguaggio che le donne usano per raccontare la loro esperienza: guadagno, affidamento, lingua materna, restituzione… un linguaggio nato da loro e per loro, ma non per noi; da cui, anzi, ci siamo sentiti esclusi.
Invece, nel tempo, proprio la familiarità delle donne del gruppo con un linguaggio frutto delle relazioni fra loro ha proposto – a noi uomini, ma anche alle donne stesse – opportunità decisive: dare senso all’autorità femminile; invitare gli uomini a trovare le loro parole significanti; renderci conto tutti quanto fosse fondamentale interrogarsi di continuo sul nostro modo di esprimersi, coglierne le contraddizioni, mantenere vivo un atteggiamento critico e di relazione. Uniche condizioni per preservare la carica politica di un linguaggio e di un’esperienza.
Una spinta focalizzatosi, per esempio, sul concetto di “civiltà maschile”: quanto, cosa della storia al maschile possiamo positivamente riconoscere ancora come nostra? Come la relazione profonda tra uomini, rara ma resa comunque possibile da tanto parlare in superficie (calcio, politica, motori…); la democrazia rappresentativa, il calcio e il jazz, l’avventura e la realizzazione di sé…”

 

Seduzione, accoglienza, maternage
Luciano:
“Alcuni di noi hanno avuto una tentazione: declinare semplicemente al maschile ciò che la politica delle donne – separatismo, autocoscienza, il simbolico della madre – aveva attraversato nel corso degli anni. Una prospettiva rassicurante: da un lato il desiderio di essere accolti dalle donne stesse; dall’altro il fascino di un’esperienza fuori dall’ordinario. Le donne del gruppo hanno invece chiesto – e con insistenza – di restituire l’originalità della nostra esperienza, fatta di vissuti anche contrari a loro, ma che possono acquistare la dignità di un percorso autonomo.”
Elisabetta:
“Le donne si sono accorte di avere atteggiamenti anche ambivalenti nei confronti dei loro compagni del gruppo. A volte, per mantenere il rapporto, ricorriamo come un uomo a dinamiche consolidate, che richiamano quella capacità di adattamento tipica delle donne di altre generazioni. Cerchiamo quindi di essere comprensive, accoglienti e magari rinunciamo ad aprire un conflitto troppo forte. Questo implica due cose: da un lato l’idea che pur di tenere il rapporto dobbiamo rinunciare a qualcosa, a una parte importante di noi. Restando in questa parzialità, a volte si rischia di perdere di vista il guadagno. Dall’altro ci pare di cogliere un atteggiamento di dipendenza degli uomini del gruppo, dove la richiesta di una misura da parte delle donne diventa domanda di approvazione, di accettazione. Questo ci fa problema, perché pensiamo che ricalchi un modello, quello della relazione con la madre, dove non c’è alternativa tra l’accettazione (e l’idealizzazione del “va tutto bene”) e la devastazione data dal distacco che inevitabilmente critica e conflitto generano. Questo rende talvolta faticosi i rapporti con gli uomini, perché priva il rapporto di una componente di verità a cui ci sentiamo molto legate.”

 

Piacere, erotismo
Elisabetta:
“Di recente è venuta fuori una questione: che ruolo gioca il piacere nella relazione fra le donne e gli uomini del gruppo? Non è una questione scontata per noi. Se penso alla passione e al piacere che mi procurano il conversare e il fare con le mie amiche, mi rendo conto che è il motore di quello che faccio. E soprattutto l’attrazione, il godimento sono elementi che sono segni decisivi del momento creativo che sto vivendo. Con gli uomini è diverso, per vari motivi. C’è una attrazione che si gioca tra uomini e donne? E se questo piacere è presente, che significato assume nelle dinamiche del gruppo?”
Luciano:
“Anche per noi uomini del gruppo c’è il piacere del confronto, del dire e del fare appassionato. Cosa c’è sotto? Probabilmente erotismo è una parola troppo grossa, se c’è stata qualche occasione è, nel tempo, svanita per la familiarità e la consuetudine. Altro discorso sono le proiezioni profonde: quanto di ricerca “materna” esiste tuttora in noi uomini? Quante volte conflitti o reazioni irritate sono state frutto di aspettativa “emozionale” e di approvazione frustrata?”

 

Un conto sempre aperto
Luciano:
“C’è stato un momento in cui, nonostante l’intensa frequentazione, ci siamo accorti che ciascuno aveva una percezione diversa del guadagno proveniente dal gruppo.
Alcune dicevano di aver ricevuto poco e di voler lasciar perdere per un po’; altre e altri hanno ricordato le tappe e i rilanci, e hanno vissuto male il fastidio delle prime.
Altri ancora che di molte cose dette se ne era addirittura persa memoria. E che per mantenere sia questa sia uno sguardo critico su di sé, era necessario rivolgersi a un progetto, e anche al di fuori del gruppo.
Per qualcuna, il nostro percorso ha mutato la relazione con figure maschili, che nel gruppo sono diverse da quelle – meno amichevoli – che la famiglia e l’esistenza le avevano
messo di fronte.
Altri ha sperimentato modi di relazione capaci di conflitto positivo, e ciò ha modificato la qualità dei suoi rapporti, in genere; riscoprendo anche il loro significato politico.”
Elisabetta:
“Di una cosa ci siamo resi conto: ragionare in una dimensione di gruppo di parola non era più sufficiente. Da questa osservazione è nata l’esigenza di legare il nostro pensare a un progetto, a qualcosa che desse un orizzonte al nostro ragionare che travalica la dimensione del gruppo. Che prende in considerazione l’agire come elemento fondamentale della pratica politica. L’utilizzo di questa parola non è pacifico e scontato fra noi. Per alcune il poter fare una stanza rappresenta l’occasione per dare spazio pubblico alla nostra esperienza. Per altri è un momento come un altro, ma non ha ancora la dignità dell’esperienza politica. Su questa distinzione e sui diversi significati attribuiti si giocava una differenza sostanziale. Cosa intendiamo per politica? Fare la stanza del sito è un segno di questa cosa o è solo un momento di crescita personale? Un percorso di crescita e trasformazione personale che necessita ancora di una traduzione politica da parte degli uomini?”

 

Dal gruppo alla relazione duale?
Elisabetta:
“Tutti e tutte abbiamo messo a tema il valore della relazione di gruppo, ma anche la controversa bellezza di confrontarsi a due nella differenza. Al momento, vediamo che risulta più facile continuare a rapportarci in una dimensione di gruppo. Non siamo ancora arrivati a pensare in termini di relazione duale, e posso solo ipotizzare le ragioni. Sicuramente il gruppo ci protegge da contatti che , se troppo ravvicinati come nel caso della relazione, ci possono portare a vedere desideri e conflitti che non siamo ancora capaci di affrontare costruttivamente. Un altro aspetto è che gli stessi uomini ragionano spesso in termini di gruppo, di collettivo e non ci restituiscono un riscontro sulla relazione duale come veicolo privilegiato di comunicazione in primis e forma della politica poi.”

Vogliamo citare i compagni e le compagne del gruppo, Umberto Varischio, Alberto D’Onofrio, Sara Gandini e Laura Colombo: di fatto questo testo nasce anche grazie al loro contributo di pensiero e al loro sostegno.

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