23 Febbraio 2007
la Repubblica

La famiglia patchwork con due mamma e due papà

Concita De Gregorio
Questo è un Paese di tesori dell’arte, uno è l’albero della fecondità: un affresco del 1265 che raffigura un albero da cui pendono come enormi frutti decine di falli davvero realistici. Ai piedi della pianta una folla di donne sta in attesa che cadano, due di loro si accapigliano contendendosene uno. Di fronte al dipinto medievale, a sei metri scarsi di distanza, ce n’è un altro contemporaneo in cui il vescovo di allora, monsignor Comastri, si è fatto ritrarre a tutta figura in una scena di devozione religiosa a San Bernardino.
Quando il primo dipinto – dai toscani ribattezzato “l’albero dei piselli” – è stato restaurato, qualche anno fa, la Curia ha avuto da ridire che tanto interesse per un’opera così bizzarra pareva esagerato. Oggi è di nuovo coperta da assi di legno: un nuovo restauro, dicono. Dieci metri più su vivono Antonella Cocolli e Giampaolo Sfondrini, genitori di quattro figli: due di lei, due di lui. Quando sono andati in Comune a chiedere notizie di un eventuale registro delle unioni civili, altre città toscane lo hanno fatto, si sono sentiti rispondere: per carità di dio, questa città è sede vescovile. “Ho scritto alla Bindi per rallegrarmi, capisco il suo travaglio e ammiro la sua sensibilità. Se davvero faranno i Dico i primi a registrarci saremo noi: ci spetta, sono sedici anni che aspettiamo. All’inizio è stata durissima. Sa, il paese è piccolo, la gente mormora”.
Antonella e Giampaolo, 53 anni, sono una “famiglia ricomposta”. Vite fragili, il rapporto Caritas e fondazione Zancan sull’esclusione sociale in Italia, dedica un intero capito del rapporto 2006 – dunque il più aggiornato, i dati Istat sono fermi al 2005 – alla condizione dei bambini nelle “famiglie ricostituite”: quelle “particolari situazioni che comprendono figli nati da una prima unione, i nuovi partner, i loro figli eventuali, la rete parentale di entrambi”. Pezzi di famiglie diverse, patchwork, che ora formano una nuova famiglia. In Italia, dice la Caritas, vive così quasi tre milioni di persone. Ai figli di uno o dell’altro, o di entrambi, si aggiungono spesso i nuovi figli della coppia con difficoltà non sempre banali di integrazione, di equanimità da parte degli adulti, di senso di esclusione o di precarietà dei bambini. Vite fragili si sofferma a lungo sul concetto di “resilienza”, una brutta parola per una bellissima nozione che indica il processo che permette alle persone di adattarsi a condizioni di vita sfavorevoli. Alcuni, più di tutti i bambini, manifestano una resilienza sorprendente. Antonella, che non conosce la parola, dice “i nostri figli hanno sofferto della rottura delle unioni dei loro genitori ma si sono abituati e alla fine, penso, sono diventate persone più ricche, più elestiche, più tolleranti e più capaci di adattarsi di tante altre”.
In queste vicende di vita spesso il conflitto con la famiglia di origine è devastante: anziani genitori che non rivolgono più parola ai figli, ex coniugi che conducono battaglie decennali in nome di un affronto subito e imperdonabile, guerra sui figli, carabinieri a casa e carte da bollo. La nuova unione deve avere una forza formidabile per resistere all’urto: Everyman, il nuovo romanzo di Philip Roth, racconta anche questo. Quando la realtà entra nei romanzi è segno che tutti sappiamo di cosa stiamo parlando.
La storia di Antonella e Giampaolo è esemplare e consolatoria. Hanno fatto sedici anni fa in un paese di seimila anime quello di cui in Parlamento si discute se sia legittimo fare oggi. E’ una storia che mette di buon umore perché pensi che anche quando è andata male alla fine può sempre andare meglio: e anche che quando è scritto è scritto, non si scappa. “Siamo stati ragazzi negli anni Settanta”, sono quella generazione lì. Lei in paese, figlia di un partigiano della terza brigata Garibaldi, Dino. Lui a Milano in via De Amicis, quella della foto del ragazzo con la p38, figlio di un operaio. Si sono conosciuti a 22 anni, “lui veniva in vacanza qui in campagna, si andava la sera con la chitarra a fare i falò al lago dell’Accesa”. Si sono sposati nel 1980, insieme ma con persone diverse: lui con una milanese, lei con un massese. Hanno avuto i loro primi figli nell’82: lei Emiliano, lui Francesca. I secondogeniti sono arrivati tre anni dopo a qualche mese di distanza: lei Raffaello, lui Vasco. I loro matrimoni sono entrati in crisi all’unisono alla fine del 1990. Lui si è trasferito in campagna, a Massa, coi due figli bambini. Si sono visti, finalmente. Si sono incontrati. Da sedici anni vivono insieme in una casa medievale storta poetica e grande abbastanza per i figli di tutti, i loro figli coetanei. “Si può immaginare cosa sia stato all’inizio, in un piccolo centro come questo: uno scandalo. In strada abbassavano lo sguardo, sentivo i discorsi: chissà quanto dura. Invece eccoci, i ragazzi sono grandi e sono persone serene: due laureati, uno al lavoro, il piccolo all’università. Si vogliono bene e si aiutano. Ci siamo inventati il cenone della vigilia, che in Toscana non si usa, per fare sempre il Natale insieme. Perché certo loro hanno anche gli altri genitori, ci mancherebbe. Guardi cosa ha scritto Francesca nei ringraziamenti della sua tesi: “a tutti i miei genitori”. Tutti, capisce?”. La resilienza, appunto.
Antonella lavora in una coop che ha contribuito a fondare, è bionda e felicemente rotonda, porta orecchini di perla e capelli da maschio, tiene appesa in corridoio una foto di Norma Parenti eroina partigiana. Lui fa il falegname, ha i baffi folti e gli occhi verdi, parla ancora milanese, ha appeso in salotto una foto di Jannacci. “Mi dispiace che non veda i ragazzi, sono fuori a studiare e lavorare”. Emiliano, il grande, è in Inghilterra. Si è laureato a Siena con una tesi sulla violenza e il tifo nel calcio e del baseball, ora studia inglese e si mantiene da solo. Francesca si è laureata all’Orientale di Napoli in tibetano, è stata un anno a Parigi con l’Erasmus poi un anno in Tibet, coi nomadi in tenda. Ora abita col suo ragazzo, qui a Massa. Raffaello fa l’operaio alle acciaierie di Piombino e vive coi genitori. Vasco, che ha 20 anni, studia a Milano. Frequenta l’università coi soldi che gli ha lasciato il nonno, l’operaio milanese: una somma cospicua a entrambi i nipoti perché potessero studiare. Giampaolo sorride: “Eh già, il nonno era una persona semplice e saggia: sapeva prima di noi di cosa ci sarebbe stato bisogno”.
Perché poi soldi da scialare non ce ne sono mai stati: con le lire per mantenere la famiglia bastavano 3 milioni, ora servono 3000 euro che sono molti, moltissimi. Lei al museo ne guadagna 1200. Lui dipende, se c’è lavoro “ma le case da ristrutturare per gli inglesi e i tedeschi qui intorno sono finite”.
Antonella e il suo ex marito hanno avuto l’affidamento congiunto dei figli, hanno trovato un accordo economico senza bisogno di avvocati, spese divise a metà. L’ex moglie di Giampaolo si è trasferita a Massa nella vecchia casa colonica, si è sposata con un ragazzo vedovo padre di una bambina, hanno avuto un’altra figlia. Giampaolo: “Coi ragazzi abbiamo fatto così: un giorno tutti insieme qui da noi, tre giorni i miei e tre giorni i suoi. Ecco la settimana”. La geografia dei loro rapporti di parentela è una mappa piuttosto completa di cosa siano le famiglie oggi. La mamma di lei, vedova: famiglia di una persona sola. La figlia di lui, Francesca: coppia di fatto senza figli. Il figlio Vasco, ventenne: single. L’ex moglie di lui, famiglia ricomposta con due figli, uno in comune. Loro: famiglia ricomposta con quattro figli, nessuno in comune. A Massa marittima, paese di vescovi e di partigiani, di affreschi nemici e di fecondità.
(2- continua)

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