27 Gennaio 2006
il manifesto

La posta in gioco della libertà e dell’amore

Vita Cosentino

Appartengo a quella generazione che Serena Zoli ha definito fortunata perché ha potuto fare sogni come progetti personali e collettivi, ha potuto con baldanza giovanile scappare di casa, vivere nelle comuni, nelle «coppie aperte»…. Sono consapevole che tutto questo sperimentare e soffrire ha contribuito alla fine di un certo modello di famiglia e ha messo in circolo libertà femminile. E oggi, in un’epoca che transita da un tipo di famiglia patriarcale che non c’è più a qualcosa che ancora non sappiamo, vedo soprattutto donne più giovani, ma anche uomini (compreso mio figlio), portare avanti una ricerca di nuove forme di vita e relazioni amorose che in molti casi diventa una testimonianza che rimane muta. La discussione sui Pacs, che si è concentrata prima e dopo le manifestazioni, è destinata a durare fino alle elezioni. Con il riferimento prevalente alle coppie omosessuali e discorsi incanalati sui binari dei diritti e della visibilità pubblica del loro legame da una parte, e della difesa della famiglia tradizionale dall’altra. Sono favorevole ai Pacs e appoggio la proposta Prodi. Ma ragionare come se ci fosse un fronte laico e uno cattolico, una destra per i valori e la famiglia e una sinistra contro i valori e a favore di qualunque tipo di legame, rischia di essere una rappresentazione falsa della realtà. Realtà molto più contraddittoria e in movimento, come mostra ad esempio il dibattito nelle gerarchie ecclesiastiche dopo le decisioni del Sinodo sulla comunione ai divorziati.

Nella polarizzazione rimane in ombra la posizione femminile mutata nella società e nella famiglia e non si riesce a vedere «il buono che c’è nel nuovo venuto con la fine del patriarcato» (Luisa Muraro). Nel mio intendimento la libertà femminile è un cambiamento che chiama sì in causa aspetti della tradizione ormai superati, non per distruggerla, piuttosto per salvarne l’essenziale nel senso della convivenza umana. Di certo ha mutato i termini stessi della questione famiglia e matrimonio. Le parole comuni ne fanno vedere qualcosa, come «single» invece di «zitella» e «scapolo»: al posto di due parole italiane che definivano per negazione, una inglese a dire un modo considerato normale di vivere. Il mercato l’ha recepito, vedi le confezioni monodose.

La posta in gioco sui Pacs mi sembra questa: se e come il mutamento epocale rappresentato dalla libertà femminile può diventare un ampliamento di libertà per tutti. Se e come l’abbandono di aspetti e norme che presupponevano la donna come merce di scambio tra uomini può favorire il ripensare nei termini di una cultura dei due sessi gli elementi di base del convivere umano. Tra questi ci metto l’amore, di cui stranamente si è parlato pochissimo, pur parlando di coppia, etero od omo che sia. E a occuparsene in questi giorni è il papa.

Non mi dilungo sull’analisi della famiglia patriarcale, lo ha già fatto Luce Irigaray (La Repubblica, 16-9), affermando che, per quanto se ne possa avere nostalgia, quella Storia è finita. E la parola «famiglia» si apre per nominare nuove forme della vita relazionale. A una mia amica sposata che, uscite di casa le figlie, ospita gratis un giovane straniero per permettergli di frequentare l’università, e lo chiama «nipote».

I dati delle ultime indagini demografiche sono impressionanti. Il matrimonio è al minimo storico, nell’ultimo decennio il numero delle unioni di fatto è salito a 550.000 circa, il doppio dei matrimoni (Istat). In Europa una creatura su tre nasce in una coppia di fatto (Eurostat 2004). Due donne su tre che amano un uomo non lo sposano. Azzardo un’ipotesi: la libertà femminile, a livello sotterraneo, profondo, ha aperto una crepa proprio in quel senso comune femminile che vedeva nelle nozze il compimento dell’incontro tra i sessi. Quello che era il sogno d’amore, l’esito della vita di una giovane donna, il matrimonio, oggi appare sospeso. Sembra esserci una strategia femminile complessa che sceglie di non arrivare alle nozze, ma non per questo rinuncia all’amore. Anzi. Poiché molte donne amano più l’amore che il potere, e lì si vogliono giocare. Nell’attuale contraddizione tra i sessi non sposarsi è una scelta per continuare a farsi amare e amare? Va in questa direzione la testimonianza di Marina Mastroluca (L’Unità) che, rispondendo alla’ttaco di Ruini alle «coppie di fatto», sostiene la sua scelta: un amore che non vuole essere sancito per legge, spento in obbligo, ruoli, status, ma vuole vivere di vita sua, in uno scegliersi ogni giorno.

Ci sono poi non poche donne che di famiglia non vogliono più sentir parlare. Ne conosco molte che hanno fatto della rete delle amiche, delle relazioni amorose e politiche nella società femminile, una forma di vita radicalmente diversa dalla famiglia. Ricordo una donna indimenticabile della Libreria delle donne di Milano, alla quale siamo state accanto, accompagnandola fin nella malattia e nella morte.

Sono favorevole ai Pacs perché registrano la libertà che già donne e uomini si sono presi e permettono nella società una dinamica viva tra le scelte di vita che ciascuna/o intende portare avanti, etero o omosessuale che sia. A mio modo di vedere fanno bene allo stesso matrimonio troppo spesso ridotto a una faccenda burocratica di punteggi e pensioni o a un rito privo di sacralità. Un contesto sociale che offre più possibilità chiama a dare senso alla propria scelta. Per esempio, le coppie che scelgono il matrimonio religioso perché veramente ci credono, con il loro stesso atto gli restituiscono valore. La libertà agita apre uno spazio per ripensare le forme del celebrare e condividere con le persone care, del vivere la dimensione spirituale propria di ogni essere umano, che si aderisca o no a una religione rivelata. Va bene, purché ci sia libertà, purché ci sia amore.

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