8 Febbraio 2006

La scuola di Silente

Michele Corsi

Nella mia scuola diversi ragazzi/e sono in lutto: Silente è morto. Così c’è scritto nelle ultime pagine del sesto volume di Harry Potter. Qualcuno ha anche pianto. L’ha ammazzato quel vigliacco di Piton. Un insegnante che basa la propria autorevolezza sulla paura che incute agli studenti. Ognuno di noi ha un incubo di quel tipo e che somiglia terribilmente a un qualche prof in carne ed ossa che abbiamo avuto negli anni che furono.

 

Ho letto varie interpretazioni sul perché Harry Potter abbia spinto alla lettura forsennata una quantita’ strepitosa di ragazze e (udite udite) di ragazzi, una generazione dipinta come asservita al mondo delle immagini. Non ne ho una nuova. Mi limito però a fare una osservazione: la saga più di successo di tutti i tempi della letteratura cosiddetta per l’infanzia gira tutta intorno ad una scuola, anche se una scuola sui generis, una scuola di magia.

 

Naturalmente nei libri di Harry Potter vi sono anche altri ambienti, ma tutti ruotano intorno alla scuola. Come si sa una parte della narrazione si svolge nel mondo dei babbani, cioé noi, gente che non crede e non sa che esiste un mondo parallelo, un mondo fondato per l’appunto sulla magia. Il mondo dei babbani è scontato e squallido: il nostro. L’altro è ardente e avventuroso. Solo là si vivono fino in fondo l’amicizia, l’odio, l’amore, e ogni passione, senza sconti e senza riserve. Ogni volume della saga è scandito sull’anno scolastico passato da Harry nella scuola di Hogwarts.

 

Ho parlato con ragazzi che mi raccontavano che avrebbero desiderato fortemente essere ad Hogwarts. Non è che lo sognavano: era il loro più forte desiderio, un desiderio “concreto”. All’inizio mi chiedevo: ma perché? Che ci trovano di così attraente in quella scuola? Non è una scuola dove accadono solo cose meravigliose: c’è diversa gente che ci rimane secca, circolano numerosi individui disgustosi e ambigui. Inoltre il rispetto della 626 lascia largamente a desiderare, con tutte quelle scale che si muovono. La Rowling, poi, poteva almeno approfittare dei suoi libri centrati su una scuola per disegnare un tipo di didattica un po’ più innovativa, sul piano pedagogico. Invece ad Hogwarts ci sono banchi, sedie, insegnanti simpatici, ma altri pallosi, alcuni sadici ed altri ancora, francamente, completamente fuori di testa. Come da noi.

 

Mi sono dato questa risposta. Quel che attrae i ragazzi è il fatto che a Hogwarts il mondo degli adulti ruota intorno a loro. Le figure che i lettori amano di più (e che spesso muoiono, o scompaiono) sono adulti che si relazionano con loro in maniera piena: li considerano il centro del mondo. Voldemort, il cattivo, i suoi attacchi per prendere il potere li porta quasi sempre dentro la scuola. Come la Moratti, ora che ci penso. Gli adulti non fingono di essere ragazzini, sono adulti in tutto e per tutto, con un ruolo ben preciso, e questo ruolo ben preciso è aiutare i ragazzi a crescere, e, quando è il caso, a “salvarli”. Il mondo di Hogwarts è un mondo dove gli adulti nel loro complesso (e non i “genitori”, figure o completamente negative o buffe o morte, comunque sostanzialmente assenti) si “occupano” dei ragazzi. Anzi: non fanno altro. Nella saga di Harry Potter il mondo dei babbani viene crudamente confrontato con quello della magia. Nel primo c’è disamore, interesse, egoismo: il primo volume comincia con un Harry rifiutato dalla sua famiglia, costretto a vivere in un sottoscala. Il mondo della magia invece è il mondo anche crudele, anche cattivo, ma dove incontri una serie di adulti che stanno dalla tua parte, e che se muoiono, piangi.

 

Il mondo della magia diventa allora per i lettori di Harry Potter il luogo del desiderio. Non dei “desideri”, con relativi ritrovamenti di tesori, dolci e caramelle, ma il “desiderio” come energia pura, spinta verso l’impossibile, spazio mentale aperto, disponibile, mutante. Dove le cose non vanno sempre come vuoi tu, ma “vanno”, con piena forza vitale. E’ lo spazio mentale che la quotidianità, l’abitudine e il cinismo rapidamente l’età adulta occupa, fino a far rimuovere dai cervelli della gran parte degli adulti anche solo il ricordo di quell’energia primitiva. Forse non troppo per caso chi vuole conservare si autodefinisce “realista”, e per denigrare chi vuol cambiare le cose usa spesso l’aggettivo “infantile”.

 

Il movimento antimoratti ha partorito un disegno di legge di iniziativa popolare per una buona scuola. E’ molto articolata, è costata dibattiti appassionati, altri hanno raccontato della sua genesi, chi la vuol leggere è lì. Ma credo che il suo nucleo fondante si possa riassumere in: è una scuola che ha al centro bambine/i e adolescenti. Naturalmente si tratta di una affermazione un po’ generica, però sfido chiunque, leggendola, a provare il contrario. Non è una legge che ha al suo centro l’azienda, tanto per fare un esempio. E non ha al suo centro l’autonomia, quella dei dirigenti, della concorrenza tra scuole, e del “territorio”, tanto per farne un altro. Non è basata su una didattica ossessionata dal rispetto dei “programmi”, che è la didattica imperante. E’ una scuola dove è possibile, per gli insegnanti che lo desiderano, praticare una buona scuola, perché ne avrebbero i mezzi, il sostegno, il tempo, le energie. Un po’ come è accaduto con il tempo pieno, la cui architettura non ha di per sè fatto nascere il “buon” tempo pieno, ma l’ha permesso, e questa possibilità è stata sfruttata da chi voleva fare una buona scuola, dalla parte delle bambine e dei bambini, e il suo successo ha permesso un’ulteriore propagazione.

 

Deve essere chiaro. Quella che viene fuori dalla legge di iniziativa popolare non è una scuola di magia. Quella, come la immagino io, è assolutamente priva di voti, registri e tutte quelle cose che il mondo perfetto che ci sarà tra tremila anni considererà barbari strumenti di coercizione di adulti impauriti. Però sarebbe una scuola dove la magia è possibile praticarla. Anche per noi babbani.

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