16 Aprile 2006
il manifesto

La semplicità dall’uso creativo

Il successo della Rete dovebbe far riflettere: una struttura aperta, tecnologicamente facile, da utilizzare secondo esigenze tra le più diverse. Ma i grandi gruppi industriali tradizionali, spinti solo dalle ragioni del profitto, sarebbero disposti a «recintare» questo nuovissimo «bene comune», snaturandolo per sempre. Un libro che chiarisce molto su cosa vada davvero inteso per «digital sharing» e l’economia che già adesso conforma e supporta
Franco Carlini

Chiunque siano i nuovi ministri dell’industria, delle comunicazioni, dell’innovazione, della cultura, della funzione pubblica, farebbero bene a leggersi un volume a 22 voci appena stampato: «Innovazione e creatività nell’era digitale. Le nuove opportunità della digital-sharing economy» (Franco Angeli, 2006). E’ una lettura utile giusto per farsi un’idea non banale di cosa debba intendersi oggi con quelle parole multiuso che tanti hanno impiegato, anche a sproposito, in campagna elettorale: innovazione, tecnologia, creatività.
Lo hanno curato Bruno Lamborghini, un continuatore della migliore cultura olivettiana, e Stefano Donadel dell’università cattolica di Milano. E’ la rassegna critica e aggiornata dello stato dell’arte nell’economia e nel mondo digitale e dunque spazia dai problemi del diritto d’autore e dei brevetti, ai modelli di business, dal digital divide alle tecnologie che di nuovo ci incalzano, mettendo in dubbio le idee che ci eravamo fatti a proposito delle reti e dell’internet in particolare. La parola chiave è già nel sottotitolo: «sharing», ovvero condivisione di tecniche e di conoscenze. Che poi è la cosa più importante successa nel mondo in questi ultimi 15 anni: un sistema di connessione tra computer nemmeno eccezionale dal punto di vista tecnico e nato un po’ per caso laggiù in California, si è rivelato, senza che nessuno dei futurologi di allora lo prevedesse nemmeno lontanamente, un moltiplicatore di idee, di conversazioni e di affari. Per un motivo fondamentale: era un sistema aperto, universale, relativamente facile da usare. Una tecnologia abilitante, che ha «messo in grado» le persone di fare da sé, a poco costo e con grande gusto.
Fare che cosa? La cosa che agli umani più piace: intrattenere relazioni con i propri simili, quali affettuose e amicali, quali frivole, quali serissime e d’affari. E’ esattamente lo stesso motivo del successo dei telefoni cellulari i quali hanno in più altri vantaggi,come una facilità d’uso ancora più spinta, la maneggevolezza da borsetta o da tasca e l’essere sentiti come oggetto personale e individuale, vero prolungamento delle relazioni intime.
Un futuro ottimistico, ma non garantito, è quello di una molteplicità di apparati utente (così i tecnici chiamano tutti gli oggetti che le persone usano per comunicare) di caratteristiche diverse quanto a forma e prestazioni. Ognuno di noi ne avrà diversi (già ora molti ne hanno diversi, dal computer da scrivania al portatile, dall’iPod al cellulare) che userà seconda le sue esigenze e desideri. Ma tutti questi oggetti saranno agnostici – così almeno ci si augura – rispetto alle molte reti di connessione disponibili: quella di rame delle telecom, quelle in fibra, quelle senza fili nelle molteplici versioni e tecniche. E da ogni apparato, passando per la rete migliore a disposizione là dove ci si trova, dovrebbe essere possibile arrivare a ogni persona e a qualunque blocco di idee presenti nelle reti. Oggi non è così, perché a differenza dell’internet aperta e bene comune, gli altri network sono sovente e programmaticamente costruiti per essere tra di loro incompatibili (non sono interoperabili nei protocolli di trasmissione, nei software usati e nei formati)
L’eccezionale e imprevisto successo di internet ha aguzzato gli ingegni delle persone, ma anche gli appetiti delle industrie tradizionali, telecom, televisioni, case della musica e del cinema. Tutti questi sono in conflitto tra di loro, ma anche strategicamente concordi, nel programma di presa di controllo delle reti, al costo di segmentarle, recintarle e alla fine deteriorare quella piattaforma comune su cui invece potrebbero prosperare, se rimane aperta e condivisa.

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