27 Maggio 2003
il manifesto

La verità sulla soldata Jessica

Il suo salvataggio «dai torturatori iracheni» aveva commosso l’America e il mondo. Ma ora si scopre che fu tutta una montatura allestita dal Pentagono per dare un volto umano a una guerra che si stava trascinando
Marco d’Eramo
La faccetta sbarazzina sotto il berretto militare, a noi veterani del manifesto Jessica Lynch ricorda vagamente Valentina, la figlia di Valentino Parlato, e suscita perciò la simpatia di chi si è visto crescere. Niente a paragone del prorompente amore con cui tutta l’America sta cingendo in un soffocante abbraccio questa diciannovenne nata in Virgina, in un borgo chiamato Palestina, e che si era arruolata per poter frequentare le scuole e diventare maestra delle elementari. Il cantante Eric Horner ha appena inciso Lei è un eroe, «una canzone che mi è sgorgata diritta dal cuore e che è dedicata a Jessica» dice modesto il cantante. Dalle scuole elementari arrivano valanghe di compiti in classe scritti da scolari. Su internet è già iniziato il merchandising: insieme a un’altra decina di oggetti, sono in vendita magneti da attaccare al frigorifero con la scritta «America Loves Jessica» (5 dollari), dipinti a olio (200 dollari). Si sono formati club di ammiratori. Ma era quasi inevitabile dopo dopo che per giorni e giorni i piccoli schermi hanno martellato con il suo visino le famiglie d’America e che Newsweek le aveva dedicato la copertina «Saving Private Lynch», «salvando il soldato Lynch», che ricorda il Private Ryan del film di Steven Spielberg. E come poteva essere altrimenti se è vero che Jessica è la prima soldatessa «Pow/Mia salvata da un commando»? dove Pow/Mia è una sigla inflazionata dai tempi di Rambo, quando mezza America era stata convinta a credere che in Vietnam ci fossero ancora miriadi di prigionieri di guerra (Prisoners of War, Pow’s) o di «dispersi in combattimento» (Missing in Action) da recuperare con spericolate incursioni come quella che ha salvato appunto la soldata Lynch da un ospedale iracheno.

 

Ma ricapitoliamo la storia – almeno come ci fu raccontata. Il 23 marzo, nei pressi di Nasiriyah, un furgone dell’esercito Usa con a bordo 15 militari della sussistenza «cadde in un’imboscata», e nove soldati americani perirono: nella propaganda di guerra, i soldati angloamericani morivano sempre in imboscate, mentre quelli iracheni rimanevano uccisi negli attacchi. Come in seguito riferì il Washington Post, Jessica Lynch «riportò multiple ferite d’arma da fuoco» e fu anche pugnalata mentre «combatteva accanitamente e colpiva parecchi soldati nemici, sparando con la sua arma finché esaurì le munizioni». L’autorevole quotidiano della capitale Usa citava anche una fonte militare anonima secondo cui «lei stava combattendo a morte».

 

I media americani instillarono la convinzione che Jessica Lynch era torturata dagli iracheni. La guerra nel frattempo sembrava impantanarsi per la coalizione angloamericana, di fronte alla resistenza di Bassora e di altre città. Il 2 aprile all’alba a Doha, Qatar, i rappresentanti della stampa mondiale furono scaraventati giù dai loro letti e portati nel futuristico e hollywoodiano Centcom (centro comunicazioni): «C’è una situazione di notizie scottanti, il presidente è già stato avvertito». I giornalisti credettero che Saddan Hussein fosse stato arrestato, riferisce l’inviato del quotidiano inglese The Guardian. Invece fu mostrato loro un filmato di cinque minuti sul salvataggio della soldata Lynch che era stata picchiata nel suo letto d’ospedale e interrogata, dissero gli ufficiali del Pentagono. Il salvataggio era stato reso possibile solo dall’eroico avvocato iracheno Al-Rehaief che aveva informato gli americani dell’ospedale in cui era «imprigionata» Lynch. Così, poco dopo mezzanotte, un comando di Rangers dell’esercito e di Seals della marina attaccò l’ospedale di Nasiriyah: il loro «temerario» assalto in territorio nemico fu «carpito» dalla cinepresa militare a visione notturna. Fu detto che erano avanzati sotto il fuoco nemico, ma che ce l’avevano fatta e avevano trascinato via Lynch fino all’elicottero. Nel filmato si sentivano spari, esplosioni, e i soldati americani gridare: «Go! Go!». In pochissime ore il filmato girato da un operatore militare aveva subìto l’editing e fu diffuso ai network di tutto il mondo. Quando fu mostrato, riferisce l’inviato del Guardian, «il portavoce militare a Doha, il generale Vincent Brooks, dichiarò: “Alcune anime eroiche hanno rischiato la vita perché questo avvenisse, leali al comandamento di non lasciare mai indietro un commilitone caduto».

 

L’avvocato Al-Rehaief ha ottenuto l’asilo politico appena due settimane dopo il suo ingresso negli Usa, ha firmato un contratto da 500.000 dollari per un libro di memorie Rescue in Nasiriyah («recupero a Nasiriyah») che uscirà in ottobre. E Hollywood ha naturalmente già pronto un film. Solo che il salvataggio era già un film.

 

Subito l’arrivo in Germania, il comandante dell’ospedale militare, il colonnelloDavid Rubenstein disse ai giornalisti che l’esame medico «esclude che qualunque ferita (di Jessica) sia stata causata da armi da fuoco o da taglio». Il giorno successivo, riferisce WorldNetDaily, il padre di Jessica confermò questa diagnosi riferendo che i dottori gli avevano detto che Jessica non era stata sparata, ma aveva subito fratture alle braccia e alle gambe quando il camion era saltato per una granata irachena. D’altronde è difficile immaginare una furiera, addetta alla sussistenza, e che cioè non è addestrata al combattimento né all’uso delle armi, «battersi sino alla morte», «colpire i nemici fino a esaurire le munizioni».

 

Crollava così una prima parte della storia di Private Lynch. Ma a metà aprile la stampa inglese (non per caso, vedremo) ha cominciato a smontare anche la seconda parte della storia, quella che riguarda il «temerario salvataggio». Il Times di Londra raccolse la testimonianza del dottore Harith al-Houssona che si meravigliava della versione Usa: «Quel che raccontano gli americani è come la storia di Sinbad il marinaio, è un mito». Secondo questo dottore, quando gli fu portata nell’ospedale di Nasiryah, Lynch aveva una ferita alla testa, un braccio e una gamba rotti e fu curata con tutte le premure possibili, come raccontò più tardi anche l’infermiera Khalida Shinah al Guardian.

 

Non solo, ma due giorni prima che arrivasse il commando, il dottore Al-Houssona aveva deciso di consegnare Jessica agli americani, la caricò su un’ambulanza e istruì l’autista di andare al checkpoint americano: mentre si avvicinava, gli americani aprirono il fuoco e l’autista riuscì a salvarsi per un pelo e a rientrare di corsa in ospedale.

 

Non basta. Il giorno prima dell’«eroico recupero», l’esercito iracheno era scappato via. Addirittura – raccontava un cameriere di un ristorante, Hassam Hamoud – una pattuglia di americani entrò in città e l’interprete arabo gli chiese se in giro c’erano ancora fedayn, e lui rispose «no».

 

Perciò le «anime coraggiose» arrivarono in elicotteri e con carri armati sul tetto di un ospedale disarmato, esplosioni risuonarono e spari echeggiarono in corsie semivuote, dottori con lo stetoscopio al collo furono ammanettati, fu squarciato il materasso su cui era stata adagiata Jessica («e ci tolsero l’unico letto “anti-decubito” che avevamo»), furono imprigionati anche pazienti che erano intubati e paralizzati. Racconta al Times il medico al-Housssona: «Erano terribilmente delusi di non trovare l’orribile Guardia repubblicana che si lavorava Lynch con i ferri roventi… quando stai girando un film a buon mercato, ti arrangi con quel che hai. Avevano bisogno dei cattivi, e non è colpa loro se la produzione non gliene aveva forniti di veri», così se la presero coi dottori.

 

In definitiva, la soldata Jessica, addetta alla sussistenza, si era fratturata braccia e gambe e non era stata colpita da pallottole o lame. È stata curata. Non è stata torturata. Il commando americano non ha dovuto fronteggiare nessun soldato nemico, poiché tutti erano fuggiti il giorno prima. L’arma più pericolosa che ha minacciato questi Rambo sarà stato un clistere. Per il resto, non sapremo mai cosa avvenne il 23 marzo a Nasiriyah perché, molto opportunamente, Jessica Lynch ha un’amnesia: non ricorda nulla, e in realtà la ragazza virginiana sembra capitata per caso nel film del suo salvataggio, forse perché era fotogenica, e si trovava là nel momento in cui la propaganda di guerra Usa aveva più bisogno di un viso gentile per dare un volto umano a una guerra che si trascinava.

 

Tutta la messa in scena del Pentagono è venuta fuori solo a causa dei dissensi che dietro le quinte crescevano tra Gran Bretagna e Stati uniti su quale politica dell’informazione adottare (ricordate i giornalisti embedded?). Durante il conflitto, l’addetto inglese a Doha, Simon Wren ha mandato parecchi rapporti al vetriolo a Londra e a Downing Street. In particolare, vi definiva «imbarazzante» e «ipergonfiata» la versione americana su Jessica Lynch. Di queste crepe nel fronte alleato è sintomo anche il documentario girato dalla Bbc e presentato domenica 18 maggio, col titolo War Spin. Una delle espressioni più in moda tra i politologi anglosassoni è attualmente spin doctors, commentatori e analisti che nei media che fanno cambiare («ruotare») opinione.

 

In gioco, tra Londra e Washington, era non solo l’episodio di Jessica Lynch, ma il rapporto tra verità e politica: è probabile infatti che Tony Blair fosse davvero convinto che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa e che gli americani ne avessero prove inconfutabili.

 

Invece gli americani stavano perfezionando la tecnologia delle «bombe al panzanio», come le ha chiamate Stefano Benni, arruolando nel proprio arsenale bellico produttori e sceneggiatori di Hollywood, completi di effetti speciali. In particolare, scrive John Kampfner del Guardian, «il Pentagono è stato influenzato dalla Tv-realtà e dai film di azione, in particolare Black Hawk Down. Nel 2001, il produttore di Black Hawk Down (il film su Mogadiscio), Jerry Bruckheimer, andò al Pentagono per proporre un’idea. Lui e il suo coproduttore Bertam van Munster (che aveva programmato il reality-show Cops, Sbirri) suggerirono Profili dal fronte, una serie tv in prima serata sulle forze Usa in Afghanistan: storie umane viste con gli occhi dei soldati. Lo scopo di Van Munster era di metterla sull’intimo e sul personale». L’idea entusiasmò il ministro della difesa Donald Rumsfeld, tanto che nella guerra in Iraq il Pentagono si è prodotto da solo i suoi profili dal fronte, di cui Saving Private Linch è stato l’episodio di maggior successo. Il primo, ma certo non l’ultimo.

 

PS. Due osservazioni marginali sulla vicenda di Jessica Lynch.

 

1) È assordante il silenzio che i media italiani hanno mantenuto sulla messinscena, dopo che ci avevano bombardato per giorni con l’eroico salvataggio e le graziose lentiggini. Lungi da noi il sospetto che la stampa italiana sia succube di quella americana.

 

2) Elaine Donnelly, presidentessa del Center for Military Readiness, sospetta che siano state le «femministe del Pentagono» ad aver fatto filtrare i rapporti (falsi) sulle ferite e (non documentati) sull’eroismo di Jessica Lynch per favorire l’avanzamento delle donne nella carriera militare: le disavventure della povera furiera sono così strumentalizzate dalle paladine del patriarcato, almeno quello militare.

Print Friendly, PDF & Email