1 Aprile 2007
TERRE DI MEZZO

Lady a bassa velocita’

Fuma troppo, parla poco e non perde mai tempo. Rosita Ciotti, insegnante in pensione, è la signora No Tav. Per difendere Venaus, non ha perso un presidio. Pensare che per due anni non era uscita di casa.
Andrea Rottini

Rosita Ciotti è una donna minuta, gracile solo all’apparenza. La sua forza traspare dagli occhi che sbucano sotto i capelli corti e bianchi come la sua vecchia 500, che si inerpica fiera sui tornanti della val Susa. “La natura di questa zona è molto particolare -spiega-: accanto alla flora alpina crescono fiori della steppa e dell’arenile mediterraneo. Ci sono anche specie particolari di farfalle e cavallette, che qui riescono a sopravvivere”. Creature ostinate, un po’ come gli abitanti di questo fazzoletto di montagna appeso tra i 2100 metri del Moncenisio e gli oltre 3500 del Rocciamelone. “Qui la resistenza continua, ora e sempre”, grida la scritta sul muretto di una curva. “Vedi? Questo è il punto dove i poliziotti hanno tentato di forzare il blocco dell’8 dicembre 2005”, dice Rosita. Quel giorno i No Tav erano arrivati in 30mila per entrare a Venaus, presidiata dalle forze dell’ordine, e cercare di impedire il carotaggio della montagna, il prelievo cioè di campioni di roccia, dove è in progetto la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità (vedi servizio a lato, ndr).
La macchina si ferma in un punto panoramico da cui si domina la Val Cenischia, breve corridoio che unisce Susa a Venaus: il nastro dell’autostrada è in primo piano, cinquanta metri più sotto è stato progettato lo scavo per la Tav. Un’opera di cui si parla dagli anni ’90: indispensabile per Roma e Bruxelles, dannosa per la montagna e i suoi abitanti secondo la combattiva comunità valsusina, preoccupata dalla prospettiva di vent’anni di lavori con quotidiani cortei di camion a intasare la strada della valle. “Senti che vento? -chiede Rosita, 62 anni, insegnante di Lettere in pensione. Da queste parti è così due giorni alla settimana: e loro con una teleferica vorrebbero trasportare i detriti della montagna, fatti di roccia, amianto e uranio”. Valsusina doc, autrice di libri di poesia ed esperta di erbe alpine, Rosita sa di cosa parla: “Dai tempi degli scavi per l’autostrada, l’incidenza di morti per mesotelioma (cancro favorito dall’esposizione all’amianto, ndr) è molto alta in questi paesini”. Un’eventualità che potrebbe ripetersi con gli scavi per realizzare il tunnel della Tav, insieme alla perdita di numerose sorgenti d’acqua, che costringerebbero sette frazioni della valle a ricorrere alle autocisterne. Come forma di protesta, la scorsa estate Rosita si è messa in cammino con altri 23 valligiani, direzione Roma. Un viaggio che in auto richiederebbe più di sette ore, realizzato “a bassa velocità”: ogni giorno 20 km a piedi sotto il sole, il resto in treno, per portare in giro l’entusiasmo e le istanze dei No Tav.
“L’idea è nata quell’8 dicembre, quando è arrivata gente da mezza Italia ad aiutarci a tornare a Venaus -racconta Rosita, mentre accende una sigaretta nel salotto di casa-. Non conoscevamo né questa gente né i loro problemi, molto simili al nostro: il terzo valico dei Giovi, il Mose, il ponte sullo Stretto, il progetto di discarica nucleare a Scanzano Jonico, la variante di Valico. Così abbiamo voluto metterci in viaggio per conoscere da vicino alcune di queste situazioni”. Una carovana di pensionati, giovani e famiglie non passa certo inosservata. “Ci fermavano ovunque per sapere cosa stavamo facendo: alle Cinque Terre un muratore ci ha chiesto come fare per bloccare l’ampliamento di una costruzione sulla spiaggia, autorizzato dal suo Comune”. Marcia di giorno, incontri pubblici di sera: non proprio una vacanza, con l’aggravante di una fastidiosa raucedine. “Dorme sempre all’aperto e fuma troppo -ricordano i compagni di viaggio di Rosita-: non perde mai tempo e parla poco, ma è un sicuro punto di riferimento per tutti”. Una dimostrazione di carattere e dedizione per lei, che dopo aver perso il marito si era barricata in casa per due anni. Un letargo interrotto il 31 ottobre di due anni fa, per la gioia dei suoi figli: “Quando le imprese salirono fin qui per trivellare la montagna, decisi di impegnarmi anch’io -dice-. Per tutta la vita io e Paolo avevamo fatto certe battaglie e lui sarebbe stato d’accordo con me: dobbiamo impedire che il mondo venga continuamente aggredito, lo stiamo utilizzando come una risorsa di denaro e non come un posto dove vivere”.

 

Piccola cronaca di una valle ribelle
“Si mettano il cuore in pace, l’opera si farà”. Così parlava l’ex ministro dei Trasporti, Pietro Lunardi, ai manifestanti No Tav durante i “giorni della resistenza” a Venaus e dintorni. Giorni caldi quelli dell’autunno 2005. 16 novembre, sciopero generale della Val Susa. Secondo gli organizzatori, 80mila persone sfilano lungo gli 8,5 km che dividono Bussoleno da Susa.
6 dicembre, l’intervento delle Forze dell’ordine. La polizia sgombera il presidio del movimento No Tav che impediva l’ingresso a Venaus delle ditte incaricate di effettuare i carotaggi della montagna in vista della realizzazione del tunnel. Gli scontri provocano una ventina di feriti tra i manifestanti. Per due giorni tutta la Val Susa è bloccata: ponti, strade e ferrovia sono invase dalla protesta dei valligiani. Intanto la protesta arriva a Torino, dove nel corso di una manifestazione un gruppo di anarchici ferisce con una bottigliata alla testa un agente della polizia e compie atti vandalici nel centro città, come forma di protesta contro l’intervento notturno degli agenti.
8 dicembre, la giornata della “liberazione” di Venaus. Cinquantamila persone salgono al cantiere dell’Alta velocità. Le Forze dell’ordine si ritirano.
Da gennaio 2006, in concomitanza delle Olimpiadi di Torino, militari e manifestanti osservano una sorta di tregua che continua fino ad oggi. Un armistizio che non ha fermato gli incontri di sensibilizzazione e i cortei di protesta (l’ultimo in ordine di tempo, sabato 31 marzo, da Trana ad Avigliana), che potrebbero intensificarsi all’avvicinarsi delle scadenze che riguardano il futuro della Tav. A giugno 2007 si chiuderanno i lavori dell’Osservatorio regionale per monitorare l’avanzamento dell’opera e gli effetti sulla salute, per settembre è invece attesa la decisione definitiva sulla costruzione del tunnel o, in alternativa, del raddoppio della linea Bardonecchia-Lione. Solo allora si saprà se Lunardi aveva ragione.

 

Info: www.spintadalbass.org

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