27 Novembre 2004
il manifesto

L’Africa in formato breve

I maestri e le promesse del cinema burkinabé al festival del cortometraggio di Siena
Elfi Reiter

Mai vista metafora più potente di come la fantasia il sogno la creatività non si fanno imprigionare dalle forze oppressive: in Souko Le cinématograph en carton di Issiaka Konaté (giovane regista che vive tra il Burkina Faso e Parigi dove sta cercando fondi per il suo primo lungometraggio) si materializza un cavallo bianco dalla silhouette proiettata sul lenzuolo bianco appeso nel cortile di casa di Alpha, il quale assieme a Amadou si era appassionato del cinema e aveva costruito un cinematografo con cartone, pile e schede traforate disegnate. Criniera bianca arriva tutte le mattine nel cortile della scuola avendo il maestro espulso Alpha perché disegnava durante le lezioni e per impedire che i ragazzini continuino a inseguire il cavallo (vero o immaginato?) viene chiamata la polizia per serrare l’entrata. Criniera bianca giunge lo stesso dalla direzione opposta e non si fa catturare, mentre Alpha e il suo amichetto Amadou producono bolle di sapone con la biancheria rubata alla mamma e innalzandosi nel cielo si trasformano in tanti palloncini colorati che nel loro volo riescono a distrarre i poliziotti partiti aggressivi alla carica del cavallo fuggito. Solo la cattura simbolica di Criniera bianca dentro il lenzuolo e la distruzione del cartone proiettore (dunque degli strumenti) riescono a far tornare l’ordine. Ma dalle ceneri si alzano nuovi palloncini colorati… Souko è del 1998 e sembra predire il declinarsi della produzione cinematografica burkinabé, nata attorno alla scuola Inafec fondata a metà anni ottanta per volere di Thomas Sankara, ministro della cultura prima e presidente poi (ucciso nel 1987), molto sensibile al cinema come strumento di educazione dei popoli. «Oggi ci sono pochi fondi e poco interesse a coltivare il cinema», racconta Mohammed Challouf, curatore della rassegna A corto d’Africa, che nell’ambito del 9° Festival internazionale di cortometraggi a Siena (diretto da Barbara Bialkowska e Piero Clemente) presenta quindici corti a partire da Denikeleta Woulou realizzato nel 1971 dal Camera Club di Bobo Dioulassou sulla base di un racconto bambara che evoca un viaggio iniziatico ed è considerata la prima produzione burkinabé in assoluto. Ci sono due corti di Idrissa Ouedraogo, Les écuelles e Tissa le tisserand (Le scodelle, 1983 e Tissa, il tessitore, 1984) realizzati prima della sua consacrazione internazionale a Cannes con il premio della giuria a Tilai nel 1990: due piccoli documentari che senza dialoghi e commenti raccontano tecniche e mestieri tradizionali a rischio di sparizione per via dell’occidentalizzazione.

 

Duro e critico rispetto alla poca attenzione alla povertà del paese da parte dei politici oggi è Le chauffeur du député (L’autista del deputato) girato nel 2000 da Tahirou Tasséré Ouédraogo, fratello di Idrissa, unico rimasto in Burkina a rianimare un po’ la produzione sempre più difficoltosa: è la storia di un giovane laureato disoccupato costretto a fare l’autista e a scrivere il discorso politico sui diritti delle donne per il deputato di una ipotetica repubblica di Yatenga. Finché questi lo lascia senza stipendio e la moglie è costretta a tornare al suo villagio per curare il figlio malato. Colpisce la crudezza e l’evidenza con cui vengono affrontate le problematiche scatenate dall’ingresso della cosiddetta modernità nel paese e l’ironia nel raccontarle: l’uso del cellulare per esempio, visto come status symbol ma anche strumento di controllo totale in Tiga au bout du fil/, Tiga al telefono, animazione in plastillina di Rasmane Tiendrebeogo (2002).

 

Oltre alla freschezza di linguaggio visivo nel riprendere situazioni di vita (A nous la rue di Moustapha Dao e Madame Hado di Gaston Kaboré) ci sono spesso riferimenti al cinema o riflessioni più o meno esplicite. Nel delicato ritratto di Garba (1998, regia Adama Roamba), ragazzo di strada handicappato salvato da un signore che a sua volta lo era anni prima, il piccolo Sydi cresciuto a Ouagadougou davanti al manifesto di un film con Jackie Chan dice: «si inseguono e si ammazzano uomini, e il tutto accade su un muro…». Mentre Un certain matin di Fanta Régina Nacro del 1992 termina proprio con la domanda «che cos’è il cinema?» posta dal giovane figlio di un contadino, Mossi, che in preda alla superstizione spara a un uomo che insegue urlando una donna minacciandola. Ma in realtà era la scena di un film.


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