Parla l’ex-ministro della cultura in Mali: «L’Occidente? Lavora per sconvolgere il mondo»
Geraldina Colotti
Alla manifestazione Italia Africa – che animerà la capitale con varie iniziative (dal 15 al 17, www.italiafrica.com) – tra le personalità invitate al convegno previsto in Campidoglio per il 16 aprile c’è Aminata Traoré, ex-ministro della cultura del Mali. Ma l’allieva del grande sufista Amadou Hampâté Bâ – non potendo essere presente – affida al manifesto un appello affinché l’Africa «entri nel dibattito elettorale del popolo italiano». Da anni, la vulcanica signora di Bamako – figlia di un funzionario dell’ex-Sudan Francese – con una mano sente il polso del suo paese e del suo continente e con l’altra scrive analisi sul «ricatto dei finanziamenti esteri», sul «business degli aiuti umanitari», sui guasti delle politiche di «aggiustamento strutturale» e su una possibile alternativa africana alla globalizzazione selvaggia. In un saggio penetrante – L’immaginario violato, edizioni Ponte alle Grazie – accusa l’Occidente «che spodesta e assoggetta, ma non vuole essere disturbato nelle sue certezze». E a Bamako, nel corso del forum sociale, spiega perché il «neoliberismo sta uccidendo l’Africa» e propone il «manifesto per un altro Mali». Mentre in Europa, cerca «l’alleanza tra la società civile del sud e quella del nord» e organizza convegni sulla produzione del cotone. «Il discorso intorno all’Africa è dettato dal Nord ed è là che dobbiamo farci sentire – dice – ma bisogna educare dal basso i dirigenti africani». E aggiunge: «Anche in Europa i costi del neoliberismo ricadono sui meno favoriti e provocano conflitti sociali. Ma voi avete più strumenti d’informazione, più mezzi per capire, più spazi per agire. Invece i nostri spazi sono condizionati dall’accettazione di un modello imposto dall’esterno: altrimenti ci privano di capitali e le materie prime non si vendono. Intanto, mentre si prepara il terreno agli investimenti stranieri, un’informazione manipolata fa credere ai popoli d’Africa che certe decisioni vengano prese per il loro bene».
Dati storici e cifre recenti mostrano invece i disastri della «produzione forzata» in un’Africa «dal fragile tessuto sociale» a cui le potenze coloniali «non hanno dato il tempo di industrializzarsi». Su 53 paesi africani, 35 hanno investito tutto sulla produzione di cotone, 32 fra questi sono esportatori. «Le potenze coloniali, le istituzioni che detengono i finanziamenti internazionali – afferma l’ex-ministra – fanno loro credere che così facendo avrebbero accesso al mercato mondiale. Dal 1950 la produzione di cotone nell’Africa del Nord è passata dal 7% all’attuale 22%. In certe zone dell’Africa Subsahariana è aumentata da 30.000 a 1.000.000 di tonnellate». Una scelta che ha aggravato squilibri ecologici e povertà. «Gli stati ricchi – accusa Traoré – barano al gioco che ci hanno imposto. Al contrario di quelli africani, i contadini statunitensi o europei ricevono sovvenzioni, sono garantiti da prezzi stabili».
Aminata Traoré, che ha fondato la rete delle organizzazioni contadine dei produttori agricoli dell’Africa dell’ovest, propone invece un cambio di indirizzo: «La discussione su regole e sovvenzioni rischia di avvitarsi. Un altro modo di affrontare la questione del cotone consiste nel trasformarne un’adeguata quantità utilizzando tecnologie a basso costo, valorizzando i saperi locali, giocando la carta della diversità culturale nel quadro di un’economia responsabile».
La riabilitazione dell’«immaginario violato» passa dunque per l’autonomia economica, politica e culturale. Aminata sospira ascoltando le notizie dall’Iraq: «Quel che il neoliberismo spaccia come soluzione ai problemi ne è, invece, la causa. Le sue risposte economiche non risolvono la guerra, la provocano. Dopo il genocidio dei tutsi in Ruanda, che le potenze occidentali hanno alimentato senza muovere un dito, dall’Unione europea sentiamo dire solo: tutto tranne le armi. Ma io direi: tutto tranne la menzogna. Perché sull’Africa mentono le grandi potenze, i nostri dirigenti, e noi mentiamo a noi stessi». Un telefono squilla. Madame Traoré ha un altro appuntamento. «Mentre noi parliamo – conclude – i vostri capi di stato lavorano a sconvolgere il mondo. Tocca a voi sfiduciarli».