di Andrea Capocci
Formazione. Le scuole primarie tra innovazione della didattica e tagli di bilancio. La proposta finlandese di abolire l’insegnamento in base alle materie disciplinari riapre la discussioone sullo stato dell’arte della situazione della scuola italiana
Basta con le materie. Non si andrà più a lezione di matematica, storia, inglese e così via. Si studierà per argomenti interdisciplinari come «Il tempo in Europa», in cui le lingue straniere e la geografia si imparano nella stessa ora.
Dove succederà? In Finlandia, la «solita» Finlandia. Ormai nelle scuola la chiamano così. Perché ogni volta che si discute di come migliorare le nostre scuole, c’è sempre qualcuno che cita il paese di Babbo Natale come modello da seguire. Da anni, gli alunni finlandesi si piazzano ai primi posti delle classifiche mondiali per livelli di apprendimento, mentre i nostri arrancano nelle posizioni medio-basse. Le scuole finlandesi sono diventate meta di pellegrinaggio per gli esperti di didattica di tutto il mondo, alla ricerca dell’arma segreta.
I soldi, certo, contano. La Finlandia investe nell’istruzione circa il 7 per cento del Pil, contro il 4 per cento dell’Italia. Ma in termini assoluti non ci sono grandi differenze: se si esaminano gli investimenti per studente escludendo l’università, entrambi i paesi sono allineati nei pressi della media Osce. Se si osserva l’organizzazione del sistema, invece, le distanze aumentano. Le scuole finlandesi sono piccole, gestite in grande autonomia ma con un clima collaborativo tra docenti, presidi, alunni e famiglie. Niente test Invalsi e massima libertà sulla definizione dei programmi di studio.
Dalle conoscenze alle competenze
Talvolta può ricordare la scuola «Marylin Monroe» del film «Bianca» di Nanni Moretti. Per esempio la decisione di abbandonare l’insegnamento della scrittura a mano in favore della tastiera del computer a molti è sembrato un inutile nuovismo. Anche la nuova proposta di abolire le materie non riscuote apprezzamenti unanimi nella stessa Finlandia. Ma il governo non ha fretta: del resto, ogni cambiamento, sin dalla riforma del 1972 da cui è partito il rilancio finlandese, è stato attuato con estrema gradualità e costanza.
In realtà, l’innovazione di cui si sta discutendo oggi non è poi così rivoluzionaria. Persino in Italia, i famigerati programmi ministeriali sono stati aboliti già nel 2010 dalla riforma Gelmini, in favore di più flessibili «indicazioni nazionali». La riforma poneva l’accento sullo sviluppo e la valutazione delle «competenze» degli studenti, più che delle «conoscenze». Non è solo un gioco di parole. Secondo la ricerca didattica contemporanea (che si basa in gran parte sul «costruttivismo» di John Dewey, elaborato anni Trenta del Novecento), le competenze si possono valutare solo quando le conoscenze vengono applicate in contesti autentici, ad esempio nello studio di un problema tecnico concreto. Ma per essere autentico, un contesto deve necessariamente essere interdisciplinare, perché la realtà in genere si presenta simultaneamente sotto diversi punti di vista. Da questa riflessione nasce la proposta di superare la scansione tradizionale delle materie, da rimpiazzare con «unità di apprendimento» interdisciplinari.
A ben guardare, nella lodatissima scuola primaria italiana questo approccio è sempre stato ampiamente adottato, complice anche il ridotto numero di docenti per classe. Le aule dei nostri bambini sono piene di cartelloni su temi come «l’acqua» o «il terremoto», affrontati da diverse angolature e solitamente con lavori di gruppo. Non a caso, quando a Tullio De Mauro (linguista, studioso dei sistemi educativi ed ex-ministro dell’istruzione) è stato chiesto un parere su #labuonascuola, si è limitato a dire: «Renzi copi la primaria».
Agli insegnanti italiani, tuttavia, la riforma Gelmini è risultata indigesta perché qualunque innovazione didattica, accompagnata da tagli pesantissimi al bilancio delle scuole (otto miliardi in meno), è destinata a fallire. Le «unità di apprendimento», dunque, sono ancora poco diffuse e la valutazione delle competenze si limita per lo più a qualche crocetta apposta a fine scrutinio. Le sperimentazioni didattiche, dunque, sono per lo più autogestite dai docenti volenterosi e fanno fatica a diventare sistematiche. In Finlandia, gli insegnanti disposti a tentare nuove strade ricevono aumenti di salario.
Il bluff delle classifiche
Per altro, sull’efficacia di queste innovazioni vi sono anche dubbi legittimi. Lo storico della matematica Giorgio Israel, che pure ha collaborato con Mariastella Gelmini, ha parlato apertamente di «bluff», a proposito delle performance degli studenti finlandesi. «Le classifiche Ocse-Pisa dicono soltanto una verità parziale circa le abilità matematiche dei bambini finlandesi» mentre «le conoscenze matematiche dei nuovi studenti hanno subito un declino drammatico». Gli studenti finlandesi di oggi, infatti, fanno fatica a rispondere ai quesiti che venivano somministrati loro trent’anni fa. Dunque, i risultati sbandierati dipendono da come sono elaborati i test, che invece vengono spacciati per oggettivi. Basta parlare di scuola, e anche la matematica diventa un’opinione.
(il manifesto, 25 marzo 2015)