25 Giugno 2003
il manifesto

Le mani che smuovono la terra

La diversità e il decentrameno sono le risorse indispensabili per costruire un altro mondo. Ma la critica allo sviluppo industriale e al degrado ambientale e sociale che esso provoca può diventare efficace se le comunità
locali del Nord e del Sud del mondo trovano il modo per continuare a camminare assieme sulla strada della resistenza alla globalizzazione. Un’intervista con la fisica indiana Vandana Shiva
Francesca Pilla

L’incontro con Vandana Shiva avviene in un’affollata università napoletana, nella facoltà di scienze politiche della Federico II, circondata da studenti, attivisti, donne, che la tempestano di domande. Dopo il seminario organizzato dalla cooperativa «O’Pappece» sui temi della globalizzazione e sulle forme di resistenza ai sistemi monopolisti, è una corsa per ascoltare ancora la fisica indiana che da oltre 15 anni si batte per contrastare le multinazionali arrivate in India a sfruttare i terreni e le comunità locali. Vandana Shiva ha fondato un’organizzazione, Navdanya, che raccoglie dieci milioni di agricoltori indiani e che sostiene l’importanza della biodiversità per combattere l’introduzione della monocoltura e la neocolonizzazione occidentale. Attualmente è direttrice della «Fondazione per la scienza, la tecnologia e l’ecologia» ed è fra i membri del Third world network, una rete internazionale di associazioni per lo sviluppo e le relazioni Nord-Sud. Definita la «santona no global», ha sempre detto di preferire la parola pro local a «no noglobal». Ma in un’accezione atipica perché «la dicotomia locale/universale – scrive nel volume Sopravvivere allo sviluppo, Isedi – è mal posta se applicata alle tradizioni indigene e occidentali del sapere, perché il sapere occidentale è una tradizione locale che si è diffusa nel mondo attraverso la colonizzazione intellettuale. L’universale si diffonde come sistema aperto. Il locale globalizzato si diffonde invece con la violenza e l’inganno. Il primo livello di violenza che si riversa sui saperi locali è quello di non riconoscerli come tali».

I suoi testi – molti dei quali pubblicati in Italia: Monocolture della mente, Bollati Boringhieri; Biopirateria, Cuen; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi; Terra madre, Utet, edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo; Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli; Le guerre dell’acqua, Feltrinelli – hanno rappresentato e rappresentano una vera «didattica» per il movimento no global. Sono testi dove Vandana Shiva pone l’accento sull’ecologia sociale come metodo di resistenza e di costruzione di alternative alle conseguenze di uno sviluppo fondato sulla distruzione ambientale che induce i paesi poveri a sottoscrivere e applicare i programmi di aggiustamento strutturale decisi dal Fondo monetario internazionale, che comportano sempre drastici tagli al welfare state e una politica di privatizzazione dei «beni comuni», come possono essere l’acqua, l’elettricità, i trasporti, le risorse naturali.

Con i suoi vestiti colorati e un sorriso calmo, la «donna dell’Himalaya» ascolta e risponde senza fretta, camminando nel centro storico napoletano. Alla fine raggiungiamo un bar dove mediattivisti indipendenti e giornalisti preparano le telecamere, i registratori, le penne e i blocchetti e anche in questo caso vale il principio della condivisione.

Lei ha contribuito a sviluppare in India un’ampia opposizione agli effetti della globalizzazione economica. Inoltre, ha spesso sottolineato la necessità di un’allenza con i gruppi di attivisti nel Nord del pianeta. A che punto è la tessituta della rete Nord-Sud?

Tutti vogliamo convertire i discorsi in pratiche d’azione. Abbiamo però livelli e condizioni differenti. Questo non è un problema, bensì una risorsa. Ritengo che ogni luogo abbia il suo specifico livello d’interazione e discussione e non si devono imporre le proprie dinamiche di discussione ad altri. Con queste premesse dobbiamo costruire una rete di solidarietà con il Sud e con i paesi dell’Est Europa unendo le energie, condividendo le esperienze e rispettando le differenze. E’ su questa strada che gli attivisti occidentali devono combattere le proprie battaglie. Non si tratta di un soccorso etico o morale, ma di un meccanismo fondamentale per cambiare i giochi del potere.

In questo momento, per esempio, i polacchi stanno tentando di difendere le loro fattorie che presto saranno risucchiate nelle logiche del mercato mondiale, ma i leaders politici di Varsavia fanno accordi per consentire l’espropriazione da parte delle multinazionale dell’agro-business. Una delle sfide del movimento dei movimenti è riuscire a unire le forze dei paesi dell’Est con quelli del Sud del mondo per ribellarsi e difendere i propri spazi si autonomia.

Cosa vuol dire in concreto?

Certo non bastano gli appuntamenti internazionali, come possono essere i forum sociali continentali. In Occidente, ad esempio, è importante modificare le azioni quotidiane, trasformandole in testimonianza politica. Decidere cosa comprare o mangiare, come vestirsi o viaggiare per esempio sono tutte azioni attraverso le quali si può fare politica e opposizione alle multinazionali. Devo ammettere che molti si stanno muovendo in questa direzione, ma non è ancora abbastanza.

Il cambiamento passa nel decentramento e nella diversificazione, deve cioè creare pluralismo culturale e biologico in contrapposizione alla concezione di comunità fondata sulla fabbrica, produttrice di monocolture insostenibili in natura e nella società. Difendere quello che hai e non consentirne la distruzione è un bisogno primario per ogni individuo. Ma ripeto: voi in Occidente dovete riuscire a unirvi al Sud e all’Est dove il decentramento e la diversificazione ancora esistono.

Certo è un passaggio fondamentale, ma non così scontato e automatico…

In agricoltura il collegamento, il dialogo tra le piccoli agricoltori è un principio essenziale per portare avanti qualsiasi battaglia. Ritengo che questa sia la componente principale in ogni luogo: abbiamo bisogno che sia così anche in Europa. Vedi, l’uniformità e la centralizzazione sono alla base del degrado ecologico e sociale di tutto il pianeta. Un precesso «degenerativo» che, invece di fermarsi, si sta diffondendo nei paesi in via di sviluppo. Così nel Sud, ma anche in Europa, invece di tendere alla differenziazione ci si uniforma al modello industriale e agricolo statunitense.

La maggioranza dei cittadini europei non vuole un appiattimento delle politiche nazionali sulle logiche della globalizzazione economica. E tuttavia i governi europei costantemente disattendono le aspettative di una migliore qualità della vita con una politica che, mentre induce a credere nella possibilità di riforme sociali, propone parallelamente l’asservimento delle comunità locali alle grandi multinazionali.

Attualmente, coesistono due sistemi: la monocoltura statunitense e i sottosistemi della diversità. Molti studiosi, e io con loro, sono convinti che il secondo modello sia più produttivo. L’Europa è seduta al centro, così può ancora decidere di andare verso la diversità, la democrazia, il rispetto delle differenze o, al contrario, verso la monocoltura.

Nella prima settimana di luglio a Napoli si terrà il secondo appuntamento dei gruppi e delle associazioni per costruire il Forum sociale del Mediterraneo di Barcellona. Le difficoltà di riunire attorno a un tavolo realtà così diverse, come possono essere quelle italiane, libanesi, tunisine, alegrine, spagnole appare enorme…

Ogni politica innovativa costruisce le proprie basi secondo le condizioni di attuabilità in un dato momento storico. Non penso che bisogna essere disfattisti e insicuri in quello che organizziamo, ma guardare il contesto e cogliere il potenziale. Ci sono dei problemi nel Mediterraneo come ci sono in India. In ogni situazione esiste un potenziale, ma può essere raccolto solo attraverso la nostra determinazione. Sono convinta che in nessun luogo ci saranno mai le condizioni ideali per coinvolgere le comunità. Dipende molto da noi. Finché le persone saranno creative e solidali, pronte a condividere le esperienze, potranno provocare uno piccolo cambiamento. Ma poi sappiamo che i piccoli cambiamenti possono crescere, irrobustirsi, germineranno e i nuovi germogli inizieranno a fiorire. La transizione alimenta cioè se stessa. Per troppo tempo in politica si è adottata una parola che non posso sopportare: «posizione».

La realtà non è una posizione è un processo. «Posizione» è una parola artificiale, io non ho una posizione, il mio è un cammino, un percorso, un impegno in divenire. Raccogliamo i frammenti dei processi, le evoluzioni. Tutti noi non siamo esseri stagnanti con posizioni immutabili. E’ necessario comprendere quali energie possiamo mettere in campo e capire chi e che cosa è agli antipodi della nostra idea di società.

Personalmente, ritengo le multinazionali alimentari agli antipodi della mia comunità e le combatto, mentre posso convivere con i contadini e i loro piccoli commerci. Sbaglia chi propone la chiusura, l’assenza del mercato. I contadini nelle più isolate regioni dell’Himalaya hanno costituito un mercato, fondato sul baratto è vero, ma questo dimostra che nessuna società è mai stata totalmente chiusa

I progetti del futuro?

Partecipo a una commissione sul futuro alimentare organizzata in Toscana che crede in una politica della diversità, della localizzazione ed è contraria all’agricoltura biochimica. I gruppi impegnati nei lavori, un team globale con i principali attivisti del mondo, stanno cercando di costruire difese per il futuro contro lo sviluppo distruttivo e l’ecologia del terrore. L’idea è quella di formare una commissione mondiale e spingere i governi a promuovere la diversità. Poi c’è la battaglia in India contro la privatizzazione dell’acqua. Da un anno e mezzo abbiamo dato vita a un movimento chiamato water liberation per la difesa della sovranità comunitaria sull’acqua. Il mese scorso abbiamo conseguito un successo contro la privatizzazione del fiume Shivnat costringendo il governo a recidere il contratto con la Coca cola. Un progetto che prevedeva un’imponente diga che avrebbe spostato tutti i villaggi, nel raggio di due miglia dalle rive del fiume. Le donne si sono battute per un anno, poi la corte suprema ha deciso di sostenere le comunità locali, definendo il piano un’appropriazione illegale.

Ora stiamo cercando di impedire la privatizzazione delle rive del Gange. Una società francese ha intenzione di prelevare 635 milioni di litri per spostarli nelle condotte di Dheli. Contrastiamo anche il megaprogetto di 200 miliardi di dollari per spostare il corso naturale della maggioranza dei fiumi indiani. Far confluire l’acqua nelle grandi città e nelle aree industriali significherebbe sottrarre un bene primario per dieci anni alle comunità lungo la riva.

Per il prossimo futuro invece uno degli appuntamenti cui parteciperò sarà la mobilitazione per fermare il Wto, che si riunirà a Cancun in settembre. Il primo obiettivo degli attivisti globali è infatti fermare il Wto prima che renda irreversibili i meccanismi che mettono in ginocchio i contadini e i piccoli produttori nel Sud del mondo.

Lei si è battuta contro le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq, condotte in nome della lotta al terrorismo. Lei cosa pensa del concetto di guerra preventiva?

La parola terrorismo ha un significato complesso. Terrorismo è un sistema che porta appunto terrore e diffonde paura. Il terrorismo arriva nell’economia indiana e trascina via con sé le sicurezze dei contadini, li catapulta con forza nella società del XXI secolo. L’11 settembre tutti gli occhi erano puntati sulle due torri del World trade centere che crollavano. Molti hanno scritto parole toccanti sulle vittime delle Twin Towers. Quell’impeto di commozione e solidarietà ha coinvolto anche me.

Quel giorno io ero in un piccolo villaggio tra le montagne, chiamato Evisa. E quel giorno 23 persone sono morte di stenti. Sottrarre le risorse alle comunità, avere coscienza di provocarne la morte fisica, spingere i contadini a coltivare per il mercato è terrorismo a banda larga, è la profonda e permanente violenza quotidiana in ogni società. L’11 settembre è un giorno solo e ha distrutto due palazzi in una città. La globalizzazione è l’11 settembre ogni giorno, in ogni momento.

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