1 Marzo 2007

Lettera aperta a donne e uomini che fanno capo all’autoriforma della scuola e dell’università

Vita Cosentino e Federica Giardini

Care e cari,

Al Ministero della Pubblica Istruzione è capitata una cosa che merita non solo attenzione, ma anche una ripresa di riflessione e di scambio per chi ha a cuore la cultura della differenza e la sua potenza trasformatrice nella scuola. Vi raccontiamo il fatto: martedì 6 marzo noi che scriviamo, Vita Cosentino e Federica Giardini, siamo state invitate a un convegno del ministero dal titolo “Che genere di saperi. Dal voto alle donne ai saperi di genere”. (alleghiamo la locandina) Sullo sfondo e in questione due elementi di grande complessità e spessore: la preparazione, entro maggio, delle nuove indicazioni nazionali per i programmi scolastici e la revisione dei libri di testo. Per questi ultimi, come forse sapete, negli anni scorsi le P.O. hanno portato avanti il progetto “Polite”, volto a elaborare un codice di autoregolamentazione per gli editori, perché recepiscano “il punto di vista di genere”. In quell’incontro la cosa è stata riproposta da due relatrici, Cortese e Serravalle, che a febbraio hanno organizzato a Napoli un convegno sul tema.
Proprio su cosa sia oggi “un punto di vista di genere” e su come cambia la cultura c’è secondo noi molto da dire e da discutere. Io (Federica), nel mio intervento, ho ricordato che nella comunità di Diotima, fin dall’inizio nel pensare si è attuato il passaggio dall’oppressione all’espressione. Questo significa che nel lavoro di quelle autrici veniva messo al centro il fatto di essere una donna, di avere un corpo e delle emozioni, delle passioni, che non potevano essere modellate su quelle maschili, e veniva data importanza a una frequentazione libera del sapere. Non più però nel modo della denuncia, della critica a un’oppressione millenaria, ma piuttosto come ricerca positiva di forme, di figure, di concetti che esprimessero questo nuovo mondo. Una ricerca che ha messo al centro il lavoro sulla lingua e sull’ordine del discorso nell’organizzazione dei saperi. E questo nuovo mondo ha cominciato a venire alla luce, attraverso un lavoro diffuso ad opera di molte donne sparse in tutta Italia, dalle formazioni e occupazioni più disparate: insegnanti, docenti, infermiere, scienziate, letterate, sindacaliste, solo per dirne alcune.
Sono passati alcuni anni da allora, brevi eppure lunghi nella portata, in quanto c’è una rivoluzione culturale in corso, rappresentata dalla femminilizzazione della società che scombina tutti i giochi. La risposta a cosa significa il sapere, i saperi di genere comincia ad essere un’altra, va aggiornata. Significa ad esempio registrare gli effetti di una rivoluzione culturale che, iniziata dalle donne, finisce per riguardare tutti e tutte. Potremo dirlo con il titolo dell’ultimo libro di Irigaray, In tutto il mondo siamo sempre in due, un uomo e una donna.
Che cosa significa all’atto pratico insegnare, imparare, un sapere, a partire dalla differenza di genere, dal fatto che i soggetti sono due? Il primo effetto è quello della posizione che si prende rispetto quel sapere, significa cioè poter mettere in gioco il fatto concreto di essere una donna o un uomo con il corpo e le passioni che segnano il più quotidiano. Così si dà immediatamente la possibilità di fare riferimento alla propria esperienza, di non frequentare il sapere in modo impersonale quando non passivo.
Siamo in un processo che investe anche la società per andare a una cultura dei due sessi. Questa chiamata si declina per l’uno e per l’altra in modo diverso, come sono diverse le storie che li precedono. Per l’uno si tratterà di aprirsi alla relazione con altre, per l’altra si tratterà di prendersi l’impegno che deriva dalla forza guadagnata, di pronunciarsi portando la propria differenza nella costruzione di un mondo comune. Oggi dunque segnare il sapere con differenza tra i generi è un’occasione grande, occasione di una politica di civiltà, a partire dalla formazione alla cittadinanza che non possiamo ridurre all’appartenenza a uno stato con il relativo bagaglio di diritti o all’assunzione dei ruoli previsti dalla società. Si tratta piuttosto di una cittadinanza intesa come costruzione di capacità sostanziali ad esprimere sé nella relazione con altri e con altre, dunque nel verso di una libertà praticata effettivamente.
Io (Vita), nello stesso intento ho ricordato che il grande successo dell’istruzione femminile in Italia non può essere letto solo in termini emancipazionisti. È stata una strategia di libertà in cui hanno avuto un ruolo essenziale le madri che hanno voluto per le loro figlie quello che non avevano potuto avere per sé. L’investimento positivo per sé è, a mio modo di vedere, l’alimento segreto che è passato tra madri e figlie e che ha sostenuto e ancora oggi sostiene uno sguardo non catastrofico sulla scuola da parte femminile. Noi insegnati proprio da questo alimento segreto e dalle relazioni abbiamo tratto forza per idee e pratiche capaci di ripensare la scuola. Ma questo cambiamento non può essere introdotto per legge, pena l’annullamento della sua forza trasformativa. Come Federica sono convinta che in ballo c’è una battaglia culturale più grande che sta nella società e non solo nella scuola.
In questo c’è da giocare un protagonismo femminile: il processo comincia se ciascuna di noi, che sia al ministero, in parlamento o in una scuola di periferia, si assume la libertà di significare qualcosa del suo essere donna lì dove è. Se ciascuna comincia anche a vedere e a valorizzare la presenza femminile quando questa si esprime, e nella scuola questo capita più spesso che in altri luoghi. In questi casi viene sempre in luce l’intreccio tra linguaggio e relazione ed è questa l’energia che le donne portano per trasformare I contesti. Ho fatto presente che proprio il linguaggio può essere il punto da cui ripartire, da cui riaprire le questioni, come proponiamo nel nostro libro Lingua bene comune.
Sul piano più immediato ho invitato a tener conto della lingua nell’elaborazione delle indicazioni nazionali, a far comparire qua e là esempi tratti dal mondo femminile, a ricordarsi pensando-parlando-scrivendo che ci si rivolge in maggioranza a donne. Ho proposto anche di ripensare la figura dell’insegnante accentuando l’aspetto di ricerca che è connaturato a questo mestiere, soprattutto in una discontinuità culturale come è quella che stiamo vivendo; e di rideclinare l’autonomia scolastica in senso cooperativo togliendo tutti gli aspetti da competizione aziendale che stanno creando non poca sofferenza alle insegnanti.
La nostra impressione è che ci sia stato un ascolto attento e anche una certa ricezione del nostro punto di vista. Per es. la senatrice Soliani all’inizio del suo intervento ha ripreso l’idea che l’essere umano è sempre due e che c’è bisogno di dare valore alle donne in nome della loro diversità. Ha parlato di diritti ma anche del fatto che nella società bisogna costruire una cultura diversa. A questo proposito ha molto apprezzato le recenti iniziative di uomini contro la violenza sessuale. Ha però fatto anche presente che non c’è coscienza pubblica, che in parlamento c’è una incultura di ritorno. La sottosegretaria De Torre è stata sensibile alla valorizzazione dell’intreccio linguaggio/relazione e della cooperazione, e ha espresso anche preoccupazione per il disequilibrio educativo rappresentato da così pochi uomini che insegnano. La viceministra Bastico ha fatto un grande riconoscimento alle maestre a cui va il merito di aver alfabetizzato l’Italia e ha anche affermato che “scopo delle nuove indicazioni sarà valorizzare le diversità di genere, puntando sulla centralità della persona e sui livelli di apprendimento essenziali per imparare ad essere cittadini”.
Secondo noi si è aperto uno spazio importante in cui esserci, anche con azioni e iniziativa politica. Non mancano i motivi di preoccupazione, soprattutto su due questioni: la prima legata al fatto che se non si aggiorna il dibattito, se si agisce sui libri di testo affrettatamente e con paradigmi già vecchi, l’operazione rischia di aprire più problemi di quanti intenda risolvere; la seconda riguarda il fatto che se non si tiene ben ferma la differenza uomo/donna, come quella centrale che apre tutte le altre (si è per esempio stranieri e straniere) si rischia di finire in un pluralismo confusivo che può accrescere il disorientamento culturale e umano.

 

 


Il Ministero della Pubblica Istruzione
In occasione dell’8 marzo
Festa della donna

promuove

il
Convegno

CHE GENERE DI SAPERI

DAL VOTO ALLE DONNE AI SAPERI DI GENERE

Martedì 6 marzo ore 10
Ministero della Pubblica Istruzione
Sala della Comunicazione

Un’esperienza dalla Scuola
Liceo Classico “Orazio” Percorso di lettura al femminile “Un così forte desiderio di ali” classe 3^A


TAVOLA ROTONDA

Modera, Angela Cortese, Assessore all’istruzione provincia di Napoli – Coordinamento Pari Opportunità dell’UPI

 

Federica Giardini Docente di Filosofia politica dell’Università Roma 3
Vita Cosentino, Insegnante e saggista, del movimento “Per un’autoriforma gentile della scuola”
Gabriella Bonacchi, Storica, della fondazione “Lelio e Lisli Basso”

 

Ne parlano con

La Sen. Albertina Soliani, della Commissione Istruzione del Senato
Letizia De Torre, Sottosegretario MPI
Mariangela Bastico, Viceministro MPI

 

Gabriella Bonacchi, Presenta la mostra realizzata dalla fondazione”Lelio e Lisli Basso”La lunga marcia della cittadinanza femminile”

 

È previsto il saluto del Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni

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